Fiere d’arte. Un’altra occasione sprecata?
Vera e propria fonte di visibilità e guadagno per le città estere, in Italia fiere e biennali paiono non avere le medesime ricadute positive sul territorio. Qualche riflessione sui motivi e sulle ipotetiche soluzioni.
Il mondo dell’arte contemporanea procede per eventi, fiere, esposizioni, biennali, che si rincorrono sul calendario e sulle mappe geografiche. Londra, Parigi, New York, ma anche Istanbul, Miami ecc. Ognuno di questi eventi rappresenta un must-be. Un luogo in cui gli operatori del settore devono essere per stringere relazioni, accordi, per avviare progetti congiunti o soltanto per testimoniare lo stato di salute della propria organizzazione di appartenenza.
Ognuno di questi eventi, quindi, è un’occasione importante per il territorio: flussi di visitatori e turisti, aumento della visibilità spontanea sui social, introiti derivanti dai servizi ausiliari. Tutte queste dinamiche rappresentano dei plus importanti non solo per chi organizza l’evento, ma anche per chi è chiamato ad amministrare un territorio.
Basta guardare i numeri per capirne il motivo. Come riportato dall’Observer Culture, Frieze New York del 2013 ha generato un impatto economico stimato pari quasi a 100 milioni di dollari, mentre la rassegna di Londra dello stesso anno ha generato un impatto di quasi 70 milioni di dollari. Le voci di spesa più rilevanti sono, in entrambi i casi, rappresentate da strutture ricettive, ristorazione e consumi per servizi ausiliari richiesti dagli espositori. Un flusso di ricavi per l’economia urbana che giustifica l’attenzione che si pone alla tematica.
LA SITUAZIONE ITALIANA
L’Italia, come per il resto del mercato dell’arte, svolge un ruolo minoritario in questo settore. Non solo per una mancanza di competitività rispetto ad altri contesti territoriali, ma anche e soprattutto per alcuni vincoli strutturali (legislativi e fiscali) che rendono il Belpaese poco attrattivo per i collezionisti esteri (e anche per quelli italiani). Per riuscire a dare un dimensionamento sommario di cosa questo significhi in termini concreti, nel 2012 il weekend delle arti contemporanee di Torino (trainato da Artissima) ha generato un impatto economico stimato pari a circa 3 milioni di euro.
Basta guardare le statistiche relative al numero di visitatori per comprendere come nel mondo ci sia un’attenzione più forte a questo settore di quanto invece si riscontri nel nostro Paese:
Fuori dalla top ten, l’Italia può comunque vantare alcuni eventi di forte rilevanza, per i quali sarebbe forse il caso di iniziare a immaginare una più profonda prospettiva strategica:
Questo solo per quanto riguarda le cifre di fruizione e le spese di consumo. Ma la questione è ancora più rilevante. Eventi di questo tipo rappresentano un’importante occasione per consolidare una serie di infrastrutture immateriali che concorrono in modo deciso alla competitività e all’attrattività di un territorio ed è su queste che bisognerebbe avviare una strategia economico-culturale.
OPPORTUNITÀ E TERRITORIO
Ragionando in termini concreti, la costruzione di un evento legato all’arte contemporanea, soprattutto per un territorio che non può vantare la brand-awareness che hanno Londra o New York, dovrebbe avviare una profonda connessione con il tessuto sociale e produttivo locale. Se per i mega-eventi il ritorno economico è dato non solo dai consumi ma anche dall’utilizzo nel medio periodo delle infrastrutture tangibili (mobilità, costruzione di strutture ricettive ecc.), per un evento legato all’arte contemporanea il ritorno economico di un territorio dovrebbe essere calcolato anche sulla base di indicatori che non si esauriscono semplicemente nella spesa dei visitatori.
L’opportunità più importante è infatti quella di caratterizzare il proprio territorio, o almeno una parte di esso, attraverso azioni volte a incentivare l’emersione di una scena culturale e artistica attiva. In altre parole, perché un territorio possa realmente beneficiare di un evento di questo tipo, dovrebbe avviare delle azioni che mirino a rendere l’evento una parte integrante di un sistema territoriale di offerta che duri tutto l’anno.
Avviare la creazione di cluster di industrie culturali e creative sul proprio territorio, programmare l’offerta artistica pubblica in collaborazione con le offerte private, favorire lo sviluppo di iniziative culturali innovative e incentivare la fruizione culturale e artistica da parte dei propri cittadini. Questo porterebbe al consolidamento di un “capitale culturale” importante. Una serie di asset importanti, attraverso i quali favorire l’occupazione, gli effetti intersettoriali e la realizzazione di servizi ausiliari competitivi sui mercati internazionali.
In altre parole, se l’Italia non è presente, salvo alcuni casi d’eccezione (Verona, Venezia ecc.), nei circuiti internazionali, non è solo perché città come Londra e New York sono più famose. Il motivo reale è nell’insieme delle condizioni (fisiche e intangibili) che queste destinazioni riescono a offrire e che l’Italia non è riuscita a sviluppare.
Stefano Monti
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #34
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