Abu Dhabi Art. Prime impressioni dalla fiera glocal
In mattinata ci siamo aggirati fra gli stand in preparazione, in attesa dell’apertura ufficiale della decima edizione di Abu Dhabi Art. Ecco le nostre prime impressioni su una fiera piccola ma ben curata, che si estende in un festival lungo tre mesi. In un emirato che sta facendo del glocalismo la propria bandiera.
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Abu Dhabi non è Dubai, dunque Abu Dhabi Art non è Art Dubai. Pare un truismo ma la scarsa conoscenza di quest’area geografica – e talora della geografia tout court – ha come conseguenza quella di mescolare realtà politiche e culturali molto differenti l’una dall’altra.
FIERA E FESTIVAL
Abbiamo tentato di approfondire l’argomento qualche mese fa su Artribune Magazine e non è il caso di tornarci in questa sede. Basti qui dire che Abu Dhabi Art è una piccola fiera, se la intendiamo dal punto di vista degli stand e delle relative gallerie che vi partecipano, che sono quarantatré. Con una postilla che la rende interessante: questa è una fiera sì internazionale, ma estremamente attenta – come d’altra parte lo è la politica culturale di questo emirato – a intrecciare l’internazionalità con le proprie radici. E in un attimo la fiera diventa un festival.
Quest’anno si celebra il primo decennale di Abu Dhabi Art, proseguendo un programma espansivo che non riguarda tanto il numero delle gallerie, quanto piuttosto la succitata dimensione di festival: dalle mostre all’interno degli spazi del Manarat Al Saadiyat (nella gallery vedrete alcuni scatti di quella curata da Hammad Nasar) alle performance (Durub Al Tawaya, giunto alla sesta edizione), si tratta di un programma che si estende fino alla fine di gennaio 2019.
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Rachid Koraïchi, L’Amour au bord de l’âme, 2016. October Gallery, Londra
GALLERIE E COLLEZIONISTI
Tornando alla fiera propriamente intesa, immancabile la presenza italiana, con Giorgio Persano da Torino, Officina dell’Immagine da Milano e Galleria Continua da San Gimignano (e Beijing, Les Moulins e L’Habana). Così come non mancano alcuni grossi nomi, fra i quali Sprüth Magers da Berlino e Lisson da Londra.
E se il collezionismo è ancora un fenomeno in crescita (a sostenere i galleristi ci pensa in qualche modo la fiera stessa, organizzata dall’Ufficio Cultura e Turismo, poiché i primi acquirenti sono gli appartenenti alla famiglia reale), d’altro canto le commissioni abbondano, come quelle per Al Ain affidate a Moataz Nasr, Imran Qureshi e Ammar Al Attar, per non parlare del nuovo film di Sarah Morris prodotto dal nascente Guggenheim di Abu Dhabi.
TALK E GIOVANI ARTISTI
Nella medesima ottica di alfabetizzazione e riflessione sul proprio specifico contesto, il programma dei talk curato da Nada Shabout e Salwa Mikdadi: al centro vi sono infatti tre mini-convegni (a uno dei quali partecipa il “nostro” Stefano Curioni) in cui verranno affrontati temi caldi per la Gulf Area in rapporto al sistema globale dell’arte, invitando specialisti, accademici e operatori del settore che vivono in questa zona del mondo e mettendoli a confronto con figure omologhe che lavorano altrove. Ovvero: non è la consueta sfilata di nomi arcinoti che parlano sempre e comunque dei medesimi argomenti e nella medesima maniera, che si trovino a Miami o a Karachi.
Ancora nella stessa prospettiva, da segnalare è il Portfolio Review con Holly Hughes, fra le attività di approfondimento che sono rivolte agli artisti emergenti – da intendere in prima persona, ma anche come “oggetto” da valorizzare agli occhi dei potenziali collezionisti.
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Loris Cecchini, Mugraph Reliefs, 2018, particolare. Galleria Continua.JPG
TRADIZIONE INNOVATIVA
Attenzione dunque a captare soprattutto temi e motivi tradizionali e le loro reinterpretazioni, materiali o concettuali. Dai tappeti di Antonio Santin alle palme di Gary Webb o di Yto Barrada, dai dipinti dell’ottantenne Huguette Caland alla calligrafia di Idris Khan o di Rachid Koraïchi, dall’harem “rivisitato” di Lalla Essaydi alla “sabbia” di Loris Cecchini, fino alla Storia e alle storie di Wael Shawky.
– Marco Enrico Giacomelli
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