Miami art week 2018. Come stanno andando le gallerie italiane ad Art Basel? Le interviste
Abbiamo fatto un giro tra gli stand di Art Basel per chiedere ai galleristi nostrani come stanno andando le vendite in questi giorni di fiera. E sembra proprio stia andando “abbastanza bene”…
Provate a fare un esperimento – scriveva Artnet News mercoledì dopo la preview di Art Basel Miami Beach -, chiedete a un dealera una fiera d’arte come stanno andando le cose e vi risponderà sempre “alla grande”. Si vede che il giornalista non ha intervistato molti italiani. E non perché agli italiani le fiere d’arte non vadano bene, ma perché, si sa, siamo un popolo sempre un po’ insoddisfatto, con l’entusiasmo non ci sbilanciamo mai. Durante la seconda giornata della fiera abbiamo fatto un giro tra le gallerie italiane, fermandoci a farci raccontare come stava andando e la risposta standard è stata “abbastanza bene, ma può sempre andare meglio”. Anche se poi, continuando a parlare, è venuto fuori che tutte avevano fatto vendite già dal primo giorno, che avevano in ballo trattative con grandi fondazioni e musei e che, in fin dei conti, le cose stavano andando alla grande.
L’ITALIA AD ART BASEL
Sono tantissimi i nomi italiani che si incontrano tra gli stand di Art Basel, gli artisti nostrani, sia i grandi del passato che quelli viventi, hanno posti di rilievo negli spazi di grandi gallerie come Landau Fine Art, Simon Lee Gallery, Perrotin. Molte meno le gallerie italiane: se ce n’è un discreto numero che, tra le varie sedi in giro per il mondo, ha una base anche in una città della Penisola, sono appena dieci quelle nate in Italia e che conservano una matrice fortemente italiana. Siamo andati a trovarne alcune che, tra un collezionista che si informava sui prezzi e qualche turista dell’arte che cercava di farsi foto abbracciato a un’opera, si sono prese il tempo di raccontarci un po’ come stava andando la fiera. L’impressione generale sembra essere che, rispetto agli altri anni, questa edizione della fiera di Miami Beach sia stata un po’ più lenta e un po’ meno partecipata. Ma di affari se ne sono conclusi e generalmente c’è (moderata!) soddisfazione.
LA GALLERIA PACI
Tra i più entusiasti i galleristi di Paci, forse anche perché alla prima volta ad Art Basel e selezionati all’interno della sezione Survey dove alle gallerie viene chiesto di esporre un progetto curatoriale su un massimo di tre artisti con opere realizzate prima del 2000. Paci, che è una galleria di Brescia specializzata in fotografia, ha scelto di presentarsi con una raccolta di scatti realizzati tra gli anni ‘70 e ‘80 dalla fotografa americana Nancy Burson. “Già dalla giornata di apertura”, ci ha raccontato Giampaolo Paci, “abbiamo avuto un’importante fondazione di Chicago che ha acquisito delle opere, e la National Gallery di Washington ci ha chiesto in prestito delle immagini per una mostra che realizzeranno intorno all’idea del dittico. Non esporranno solo fotografia, ma Nancy Burson, che noi rappresentiamo a livello internazionale, è stata una pioniera della computer morphing technology ed è perfetta per la loro mostra”. E poi una trattativa con un misterioso grande collezionista americano e, al ritorno in Italia, subito al lavoro per l’apertura, il 15 dicembre, della nuova sede, uno spazio espositivo di 700 metri quadrati, tutto dedicato alla fotografia.
ALFONSO ARTIACO E FRANCO NOERO
Meno contento Alfonso Artiaco dell’omonima galleria napoletana, che però poi confessa di aver venduto qualche importante pezzo. “Ci hanno cambiato posizione e, per quanto questa sia più centrale, temo che qualcuno dei nostri clienti non ci abbia trovato”, ha spiegato il gallerista. “E poi mi pare che ci sia meno affluenza degli altri anni. Però la fiera è comunque bella e importante, noi veniamo da dieci anni e ormai abbiamo una clientela consolidata: abbiamo nomi che senza dubbio interessano, da Sol LeWitt a Kounellis, tanto per citarne due”. Anche da Franco Noero possono contare su nomi di sicuro interesse, tra cui Francesco Vezzoli e Lara Favaretto. “Cerchiamo sempre di portare”, ci ha detto Isabella Noero, “artisti che siano rappresentati solo da noi in contesto americano e che quindi non siano ancora molto visti. Portiamo anche tanti artisti latinoamericani perché a questa fiera vengono molti collezionisti del Sud America. Ma abbiamo anche molti collezionisti italiani che vengono a trovarci qui ad Art Basel Miami Beach”. Contenti del redesign degli spazi del convention center e di una nuova posizione più centrale per la loro galleria, i Noero non si sbilanciano: “finora abbiamo avuto delle buone vendite, ma si può sempre fare meglio”, ha commentato Franco Noero.
LA PROMETEO GALLERY
Si sbottona un po’ di più Ida Pisani della Prometeo, galleria di Lucca e Milano specializzata in videoarte e performance. “La nostra è una nicchia non facile, vendiamo soprattutto ai musei, non sono molti i collezionisti che comprano videoarte, è un collezionismo d’essay. Ma a mio avviso l’arte contemporanea deve parlare un linguaggio contemporaneo e la nostra è una sfida”. La galleria, ospitata nella sezione Nova, seleziona opere dal forte valore etico e sociopolitico: “questo rende le cose ancora meno facili, ma per noi è importante selezionare solo artisti che facciano ricerca e che abbiano un valore etico. Se poi riusciamo ad avere un connubio tra etica ed estetica, ancora meglio, ma non vendiamo arte decorativa. Quest’anno però sta andando bene. Abbiamo venduto un’intera serie di Beto Shwafaty a un importante collezionista di New York e abbiamo in corso una trattativa con un museo di Los Angeles”.
LE MEDIE GALLERIE E LE GRANDI FIERE
Ha esordito invece con un “benino” Gabriele Gaspari della romana Magazzino, che all’ingresso del proprio spazio espone un bel tappeto di Elisabetta Benassi. “C’è una tendenza generale, che a mio avviso quest’anno si è rafforzata”, ha spiegato Gaspari, “che vede le gallerie più grandi non soffrire di alcuna crisi, mentre quelle medie come noi fanno più difficoltà, a fronte di spese altissime per la partecipazione a eventi come questo. Ovviamente per un collezionista investire in nomi storici non presenta alcun fattore di rischio, investire in artisti viventi e meno noti è una sfida. Noi siamo al decimo anno ad Art Basel e resta una delle fiere più importanti che facciamo ed è una grossa risorsa di contatti americani. Abbiamo collezionisti che tornano”, continua il gallerista, “anche perché ogni anno cerchiamo di portare una grossa fetta di artisti italiani: almeno una metà, quest’anno per esempio sono cinque su nove. E quest’anno abbiamo venduto prevalentemente artisti italiani, tra cui un video di Fiamma Montezemolo a una fondazione di Chicago specializzata in nuovi media. L’interesse c’è, ma la difficoltà è nel farli conoscere, perché, a differenza di altri paesi, gli italiani soffrono di un sistema inadeguato sul panorama internazionale. Noi, anno dopo anno e con un lavoro costante, stiamo riuscendo a far conoscere i nostri artisti: Alessandro Piangiamore ha avuto la sua prima personale negli USA, a New York, grazie alla fondazione dei coniugi Spanu; Elisabetta Benassi è stata acquisita dal museo di Philadelphia”.
MAZZOLENI
Non ha il problema di dover far conoscere i propri artisti, invece, la galleria Mazzoleni di Torino che ha in catalogo ed espone a Miami Beach nomi come Burri, Fontana, Bonalumi, Pistoletto, Melotti, Boetti, Kounellis. “Questo è il nostro quarto anno ad Art Basel Miami”, ha detto Davide Mazzoleni, “e siamo contenti di vedere che ora c’è un pubblico non solo di collezionisti ma anche di appassionati d’arte. C’è molto lavoro dietro un allestimento del genere, richiede un’attenzione curatoriale non casuale e ci fa piacere che riesca a suscitare l’interesse del pubblico”. Tra i clienti di Mazzoleni molti americani e sudamericani: “L’interesse per l’arte povera sta crescendo molto negli Stati Uniti anche perché ormai queste opere sono in molti musei americani. Ai sudamericani invece interessano più artisti come Fontana o Burri”. Ci sono ancora due giorni per tornarsene in Italia con un tutto esaurito.
– Maurita Cardone
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