Top e flop Arte Fiera 2020: il meglio e il peggio della settimana dell’arte bolognese
Come di consueto stiliamo per voi la classifica del meglio e del peggio di Arte Fiera Bologna a manifestazione ormai conclusa. Fateci sapere se condividete i nostri pareri
In un’Emilia Romagna risvegliatasi con i risultati elettorali si è conclusa anche un’altra maratona: quella dell’arte. A colpi di opere, mostre ed eventi tutta la città si è data da fare per fornire alla propria fiera, la più antica di Italia, una art week con i controfiocchi. Ecco cosa è successo, cosa ci ha convinto e cosa no della settimana dell’arte intorno Arte Fiera Bologna.
TOP – LA VOGLIA DI CAMBIARE
Non siamo persuasi al 100% che quella intrapresa dal duo Menegoi – Bartoli sia la direzione giusta – sarà solo il tempo a dirlo – e sicuramente qualche lamentela non è mancata. Certamente però la voglia di nuovo e di dare un taglio netto rispetto alle edizioni precedenti con questa Arte Fiera 2020 si è vista: il ritorno alla vecchia collocazione nell’agenda dell’arte contemporanea, l’abolizione del lunedì figlio di un retaggio ormai ingiallito, la destrutturazione dello spazio espositivo e la conquista dei nuovi padiglioni dimostrano una certa voglia di provarci, che va premiata.
TOP – LE MOSTRE DI ART CITY
Se sulla fiera restano ancora molti dubbi, sulla programmazione di Art City e anche sul programma cittadino generale non inserito nel calendario collaterale alla fiera, il nostro placet è abbastanza convinto. Tanti i begli eventi aperti al pubblico anche le performance come l’azione di Valentina Vetturi al Teatro Comunale di Bologna. E poi le mostre: strepitosa Sissi a Palazzo Bentivoglio, Etruschi al Museo Civico Archeologico, Traces al Museo Civico Medievale di Bologna, 3 Body Configurations (sempre belle le esposizioni alla Fondazione del Monte!) e l’alto livello della mostra curata da Davide Ferri a Palazzo de’ Toschi della Banca di Bologna.
TOP – LA NUOVA VIVACITÀ DI BOLOGNA
Ça va sans dire, è la città che ci ha messo lo zampino. Con una partecipazione straordinaria delle fondazioni, dei musei e dei centri culturali, come MAST, MAMbo, Opificio Golinelli, CUBO e l’exploit strabiliante con una super mostra della Fondazione Cirulli che hanno regalato alla art week un programma di mostre ed eventi di grande respiro e alta qualità. Sono nati nuovi spazi, come il Markt e sono stati presentati nuovi progetti come Puck Verkade // Doing Lucy // allo Spazio&. Con opening che hanno visto affluire fiumi di giovani che non si vedevano da tempo in queste occasioni a Bologna e che hanno invece piuttosto defezionato la fiera madre (forse anche a causa delle scarse scontistiche previste per i più giovani quest’anno).
TOP – IL PROGETTO DEDICATO A POZZATI
Tra le più belle iniziative di questa edizione di Arte Fiera c’è il progetto (ancora in corso, fino a marzo 2020) Inventario Pozzati, a cura di Elena di Gioia, con spettacoli e performances teatrali dirette da Angela Malfitano. Dedicato all’artista Concetto Pozzati, vanta un programma che unisce nella migliore tradizione bolognese cinema, teatro, arte e celebra un grande maestro, in una città che giustamente ripercorre le proprie orme alla scoperta delle eccellenze del territorio.
FLOP – LE FIERE
Più che un flop è una considerazione: in una settimana dell’arte che gira intorno alle fiere ciò che ci sembra abbia funzionato di meno sono proprio le fiere. Se abbiamo salutato con piacere l’idea di innovare e cambiare per Arte Fiera, dobbiamo anche dire che la nuova disposizione dei padiglioni ha generato non pochi malumori, soprattutto da parte di alcuni espositori del contemporaneo, che si sono ritrovati improvvisamente alle pendici della manifestazione. È mancata spesso anche la voglia di rischiare proprio all’interno dei booth. E, parlando delle collaterali, di certo Booming e Paratissima non ci hanno fatto proprio sognare… La faccenda è che la fiera – fatte salve alcune eccezioni di livello globale come Art Basel e poco altro – è un format polveroso, un rito stanco, una liturgia superata che andrebbe innovata profondamente.
FLOP – ANTONI MUNTADAS A VILLA DELLE ROSE
Mentre la collettiva AGAINandAGAINandAGAINand, allestita nella sede principale del MAMbo, ci è sembrata una proposta convincente, la retrospettiva di Antoni Muntadas a Villa delle Rose lascia un po’ l’amaro in bocca. Un artista di tale caratura avrebbe meritato una mostra curata con maggiore attenzione, un allestimento più elegante e dei materiali informativi che aiutassero il pubblico a comprendere a fondo la sua poetica. Invece niente didascalie, niente spiegazioni e un set up a tratti davvero mortificante. Trattandosi della prima retrospettiva museale italiana di un gigante dell’arte concettuale, oltre che di un pioniere assoluto del settore multimediale, era lecito aspettarsi di meglio.
FLOP – LA COMUNICAZIONE DI ARTE FIERA
Una cosa che sarebbe un top va detta: con la direzione di Simone Menegoi e la vice Gloria Bartoli finalmente i social di Arte Fiera hanno ricominciato a marciare. Per ciò che concerne invece l’identità e gli strumenti della fiera (il sito, le mappe, la logistica confusionaria in fiera) c’è ancora tanto lavoro da fare. È chiaro che Roma non è stata costruita in un giorno, ma se compariamo l’immagine di Arte Fiera con quella delle competitor settentrionali, non possiamo fare a meno di sottolinearne la scarsa attualità.
FLOP – L’AZIONE DI CASTELLUCCI
Un’enorme navata in un edificio ex industriale. Una serie di automobili parcheggiate ordinatamente, ciascuna coperta da un telo bianco. Elementi che ricordano, pur con le debite differenze, una installazione realizzata in un ambiente simile e con elementi simili pochi mesi fa: allora era Mike Nelson alle OGR di Torino, questa volta è Romeo Castellucci a DumBO. Allora era arte contemporanea, ora è teatro, volendo restare alle categorie più note. Main project di Art City 2020, La vita nuova è arrivato a Bologna per due giorni dopo un lungo tour che lo ha portato da Bruxelles a Vienna, da Atene a Parigi. Con un gruppo di attori neri, in sandali coi tacchi e tunica bianca, che manipolano strumenti totemici e ribaltano le auto, per poi recitare un pugno di frasi ispirate dallo Spirito dell’utopia di Ernst Bloch. Impatto sicuro, fascino garantito, coordinate politiche esplicite e condivisibili. Ma un tono moralizzatore che lascia interdetti e rischia di far precipitare il tutto. Se il pubblico si salva grazie alla breve durata, non è un buon segno.
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