“Questa è la mia edizione più bella”. Intervista al direttore della fiera miart Nicola Ricciardi
Dalle problematiche dovute affrontare nel 2021 in piena pandemia agli obiettivi raggiunti quest’anno fino alle nuove prospettive. La 28esima edizione della fiera d'arte moderna e contemporanea di Milano miart promette di essere la più bella degli ultimi anni. Il suo direttore ci racconta perché
Oltrepassare i confini geografici ma anche, e soprattutto, concettuali (no time, no space di Franco Battiato è il claim del 2024) portando l’arte in contesti non solo fieristici e istituzionali ma negli uffici, nei caffè e nei cinema è l’obiettivo di Nicola Ricciardi, per il quarto anno consecutivo direttore artistico di miart, la fiera d’arte moderna e contemporanea organizzata da Fiera Milano che quest’anno precede non solo il Salone del mobile ma anche la Biennale di Venezia. Alla vigilia dell’inaugurazione della 28edizione della rassegna fieristica meneghina (si inizia giovedì 11 aprile per poi concludere domenica 14) abbiamo chiesto a Ricciardi di fare un bilancio dell’operato svolto finora, tra risultati raggiunti e obiettivi futuri, e di anticiparci perché, secondo lui, questa sarà l’edizione più bella degli ultimi anni.
miart 2024. Intervista a Nicola Ricciardi
Come vedi la progressione delle edizioni di miart da te curate in questi anni?
Quando nel 2020 abbiamo iniziato a pensare all’edizione del 2021 eravamo in un mondo che non ne voleva più sapere delle fiere e in cui le gallerie avevano capito di poterne fare a meno. Quello che dovevamo fare era ricostruire la fiducia delle gallerie come degli stakeholder, di Fiera Milano e delle istituzioni. C’era bisogno di far capire che era possibile tornare a organizzare delle fiere come si faceva nel 2019 e secondo me l’edizione 2024 è il culmine di questo percorso, perché se guardo alla lista delle gallerie, al numero di eventi che ci sono, al calibro e all’internazionalità dei collezionisti mi viene da pensare che siamo arrivati all’obiettivo che ci eravamo posti. Tuttavia, non ci fermiamo qua: stiamo già lavorando all’edizioni 2025 e 2026 perché vogliamo concludere un percorso non solo in una traiettoria ascensionale ma portarci oltre. Da qui, il tema stesso dell’edizione di quest’anno “no time, no space”, dunque andare oltre i confini spaziali del contesto fieristico come quelli temporali del nostro periodo storico. Per esempio, tra le novità, c’è la sezione Timescape, una piccola navicella spaziale lanciata indietro nel tempo, che ospiterà ogni anno secoli diversi e sempre più a ritroso. Per ora partiamo dal primo Novecento.
Quali erano i problemi della fiera che ritieni di aver aggiustato e migliorato?
Lo dico sempre, penso di essere stato fortunato a prendere la fiera in un momento così difficile, perché si è ricominciato da zero. Se ne fossi stato direttore durante i fasti e poi di nuovo nel 2021 non so se sarei riuscito a fare questo lavoro. Soprattutto, ho avuto la possibilità di costruire una fiera più coerente con i tempi: fino al 2019 tutti desideravano partecipare a miart, quando sono arrivato io nessuno voleva più farla. Siamo partiti dal presupposto che le gallerie andavano ascoltate e capite, costruendo una rassegna sulle loro esigenze, senza imporre le nostre, perché eravamo noi ad aver bisogno di loro e non viceversa. E questo ha fatto molto bene al sistema. Vogliamo lavorare affinché la fiera sia utile sia a loro sia a noi.
Insomma, bisogna vendere!
Di questi tempi è un grande onere, il mercato è fermissimo, c’è poca liquidità e dobbiamo fare di tutto perché miart non sia solo una bella storia da raccontare ma funzionale a far girare l’economia in un sistema che ne ha fortemente bisogno. Altrimenti cosa ci stiamo a fare?
La fiera inaugura tra poche ore, dunque, hai già visto molti degli stand. Sei soddisfatto? Mercanti e galleristi si sono impegnati?
Sono molto sorpreso. In tempi difficili solitamente cosa possono fare le gallerie? Svuotano il magazzino e cercano di non produrre nuove opere e invece quello che hanno fatto sono dei progetti fatti ad hoc per la fiera, curati ed estremamente generosi. Penso, per esempio, a Raffaella Cortese che con 52 metri quadri di stand ha portato una sola opera e questo è un gesto estremamente resiliente. Credo sia l’edizione più bella che ho diretto: dal paravento di David Hockney portato dalla Galerie Lelong & Co all’autoritratto di Sironi del 1918, è incredibile vedere tutta questa qualità. Sono poi molto fiero della partecipazione di Galerie Buchholz (Colonia, Berlino) e Fortes D’Aloia & Gabriel (San Paolo, Rio de Janeiro), gallerie che si incontrano nel primo corridoio di Art Basel e che per la prima volta arrivano anche a miart, a cui si aggiungono greengrassi (Londra), Galerie Tschudi (Zuoz, Zurigo), KOW e Galerie Neu (Berlino). Ci sono tre motivi che hanno reso possibile questa crescita: la buona reputazione della fiera costruita negli ultimi anni, la prossimità della 60ma edizione della Biennale di Venezia e Flavia Lo Chiatto, la nostra nuova VIP Manager che ha rivoluzionato il modo in cui ci rapportiamo a collezionisti e a galleristi, seguendoli uno ad uno.
Eri abituato alla vicinanza ingombrante con il Salone. Quest’anno c’è una vicinanza ingombrantissima anche con la Biennale, cosa ha comportato questa sovrapposizione?
Sono molto, molto, felice di questa vicinanza. Noi siamo un po’ come l’antipasto da cui cominciare. Se fosse stato il contrario sarebbe stato diverso, in questo modo siamo una preview. Abbiamo anche tanti artisti che verranno presentati in Biennale, altrettanti che hanno partecipato negli scorsi anni, oltre a progetti specifici dedicati a Venezia, come quelli della Galleria dello Scudo o ML Fine Art.
Nascono nuove fondazioni e arrivano nuove gallerie anche da fuori Italia. Come vedi in generale la situazione di Milano? Quali i pro e i contro…
La vedo veramente bene, è sicuramente l’Art Week più ricca che abbia mai dovuto gestire. Le istituzioni sanno che è virtuoso mettere insieme le energie. Anche quelle che hanno deciso, per vari motivi, di non inaugurare questa settimana (9 – 14 aprile) saranno comunque presenti, da Fondazione Prada che tiene una serie di video proiezioni su Pino Pascali all’Hangar Bicocca che propone un talk con Nari Ward e la direttrice del MACBA di Barcellona Elvira Dyangani Ose. Oltre alle gallerie e anche tanti sponsor hanno messo a disposizione spazi e risorse, uscendo dai confini tradizionali della fiera e creando contenuti extra, come la mostra che ho curato da BiM – Bicocca incontra Milano di David Horvitz, la rassegna Comete, Avanguardie di un altro sistema solare curata da Marta Bianchi e Marta Cereda di careof al Cinema Anteo o i talk ospitati al Reserve Roastery di Starbucks con lo stesso Horvitz e i Masbedo. Vogliamo far scoprire anche a un pubblico non affezionato all’arte che ci sono delle opportunità se ci si lascia guidare dalla curiosità.
Caterina Angelucci
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