L’India? +830%. E se la prossima frontiera fosse Baghdad?
Faro puntato sulle novità provenienti dai Paesi artisticamente in via di sviluppo. Sono gli "emer-genti" scovati da Martina Gambillara. Direttamente dalle pagine di mercato di Artribune Magazine.
In occasione della 54. Biennale d’Arte, cinque Paesi hanno fatto il loro ingresso a Venezia.
L’Arabia Saudita presenta Shadia e Raja Alem, note al pubblico dell’incanto come collettivo Edge of Arabia. La scena contemporanea saudita fatica a svilupparsi: gallerie e istituzioni sono ancora cristallizzate sull’arte antica, rifiutando la nuova creatività dei giovani artisti.
Il titolo della mostra al Padiglione dell’India, Tutti sono d’accordo: sta per esplodere, di primo acchito parrebbe suggerire l’euforia che ha investito il mercato dei suoi artisti e la crescita spropositata dei suoi indici di prezzo dell’830% rispetto a dieci anni fa. I rappresentanti indiani alla Biennale sono stati invece accuratamente scelti per la loro estraneità al mercato. Due grandiose mostre celebrano l’arte indiana nel mondo quest’anno: Indian Highway IV, che viaggerà attraverso l’Europa, il Sudamerica e l’Asia (pure al Maxxi), e Paris Delhi Bombay, l’Harmonie des contraires, che dal Centre Pompidou volerà a New Delhi.
Roba da tenere d’occhio: Baghdad è sempre stata la capitale storica della cultura araba e, dopo la guerra, la scena artistica dell’Iraq sta sbocciando nuovamente, non senza numerosi ostacoli. Nella capitale, chiunque voglia recarsi nelle poche istituzioni culturali esistenti, deve passare rigorosi controlli e perquisizioni, scoraggiando quindi potenziali acquirenti. Per la sua prima apparizione dopo il 1976, l’Iraq propone due diverse generazioni di artisti, la prima nata negli anni ’50 e i più quotati della seconda generazione degli anni ’70.
Il Bangladesh, crocevia di antiche culture che convivono con la grande forza di rinnovamento odierno, in concomitanza con questa sua prima apparizione veneziana festeggia i suoi quarant’anni d’indipendenza.
La piccola Andorra propone le opere di due artisti, Helena Guàrdia Ribó e Francisco Sánchez, mentre al Padiglione di Haiti non si dimentica il tragico terremoto del 2010: la mostra Death and Fertlity ricorda al mondo intero che a Haiti non ci sono più istituzioni culturali operanti.
Martina Gambillara
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #1
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