La Cina rallenta, la Cina matura
Come recita un proverbio cinese, “gli alberi non possono crescere più alti del cielo”. Con un tasso di crescita annuale che si aggirava attorno al 40%, il mercato dell’arte del colosso asiatico all’incanto ha registrato una contrazione a partire dall’autunno 2011. Che la velocità di crociera si stia stabilizzando?
Il 2011 è stato un anno da record per le aste in territorio cinese, con un giro d’affari pari a $ 4,8 miliardi, il doppio rispetto all’anno prima. Ma tassi di crescita così elevati iniziano a diventare insostenibili pure per un’economia come quella dell’ex Celeste Impero. Questa primavera, le cosiddette big four – Christie’s HK, Sotheby’s HK, Poly e China Guardian – hanno registrato una caduta del 32% del fatturato rispetto all’autunno 2011, per un totale di $ 1,5 miliardi rispetto ai $ 2,2 miliardi di sei mesi prima, e del 43% in meno rispetto alla scorsa primavera. Tra le quattro, China Guardian è quella che ha registrato un rallentamento maggiore, del 45% rispetto allo scorso autunno, mentre Poly Auction mantiene il suo ruolo di leader con un fatturato del 36% superiore a Christie’s Hong Kong, pari a 485 milioni di dollari.
Le aste di questa primavera a Hong Kong hanno portato a Christie’s $ 39,7 milioni e a Sotheby’s $ 23 milioni. L’anno scorso, nello stesso periodo, Christie’s aveva totalizzato $ 53,9 milioni. Ma mentre Zhang Daqian un anno fa batteva il prezzo record di $ 21,8 milioni, quest’anno l’opera più costosa dell’artista è stata aggiudicata a $ 3,8 milioni.
Il tasso di crescita mantenutosi costantemente in aumento aveva fatto credere che il mercato all’incanto cinese sarebbe potuto espandersi ulteriormente, all’infinito. Ma anche in Oriente si è fatta pressante la richiesta di opere di qualità di artisti già storicizzati pur se contemporanei. A differenza del mercato occidentale, le case d’asta erano ancora orientate alla quantità, con cataloghi corposi in cui inserire qualsiasi nome, purché cinese. Inoltre, si è modificato l’approccio del collezionismo verso l’investimento in arte: non più orientato alla speculazione di brevissimo termine, ma investimenti più sicuri in grado di portare rendimenti nel lungo periodo – anche perché il livello dei prezzi raggiunto non consentiva più i guadagni di qualche anno fa. Il venir meno delle componenti speculative è andata di pari passo con la diminuzione del fatturato annuale delle big four.
Ed ecco che, con l’evoluzione del collezionismo, le case d’asta hanno cambiato le loro strategie. Per quanto si sia registrata una contrazione del fatturato, le percentuali di vendita rimangono mediamente invariate rispetto all’anno scorso, il che indica un abbassamento del prezzo medio delle opere proposte in asta, oppure un’offerta ridotta in catalogo. Nel comparto del moderno sta diventando sempre più difficile reperire opere appetibili per i collezionisti, dato che qui entra in gioco il fattore scarsità. Ma anche nel comparto del contemporaneo non è meno difficile: le opere cruciali dell’avanguardia cinese si trovano ora serrate nelle collezioni, che talvolta si son trasformate in musei privati.
Che si tratti di arte antica o contemporanea, quando un pezzo di eccezionale qualità passa sotto il martelletto, le offerte si fanno incalzanti e c’è molta concorrenza fra i bidder, mentre i pezzi minori vanno sotto le stime o addirittura invenduti. Ad esempio, Bloodline-Big Family: Family No. 2 (1993) di Zhang Xiaogang ha raddoppiato le stime, venendo aggiudicato a $ 6,7 milioni a un museo privato di Shanghai ad aprile da Sotheby’s.
Anche se la pioggia di record si è fermata già da un anno, i prezzi rimangono a livelli mediamente alti, in quanto c’è un afflusso continuo di nuovi collezionisti cinesi che entrano nel mercato. Basti pensare che, nel 2011, 744 opere sono state vendute al di sopra del milione di dollari in Cina, il doppio di tutta l’Eurozona messa insieme. Infatti, il collezionismo cinese è composto da nuovi operatori che continuano a entrare in gioco e ad alimentare il sistema, comprando però ciò che a loro è più familiare, ovvero artisti cinesi, che siano opere calligrafiche, moderne o contemporanee. L’arte occidentale rimane dunque relegata a una piccola percentuale nelle collezioni cinesi, che mantengono il loro carattere nazionalistico.
Fino al 2008, il mercato delle opere cinesi era dominato dai collezionisti occidentali. I compratori orientali esistevano già, ma in numero molto esiguo. Fino a cinque anni fa erano proprio gli occidentali a sostenere i prezzi di artisti come Zhang Xiaogang, Zeng Fanzhi o Wang Guangyi. Con il tempo la tendenza si è invertita, e dal 2009 – complice la crisi economica – i compratori occidentali hanno iniziato a giocare un ruolo meno significativo, a fronte della crescita di quelli orientali. Se prima i collezionisti cinesi che compravano arte cinese contemporanea erano solo il 15%, oggi sono proprio loro a guidare il mercato, con l’85% della torta.
La crisi economica globale ha comunque intaccato anche il collezionismo cinese. Nel 2011 il Pil era cresciuto del 9,4%, un tasso di crescita assolutamente insostenibile, soprattutto per il fatto che l’economia dei Paesi in cui la Cina esporta sono in piena crisi. La percentuale infatti si è abbassata drasticamente quest’anno, accompagnata da una stretta creditizia e da una fuga dal mercato immobiliare, che ha portato i compratori a raffreddare le loro spinte speculative anche nell’arte.
Nonostante questa contrazione del volume d’affari, l’entusiasmo e la voglia di creare un sistema dell’arte non sono venute meno. È solamente cambiato l’approccio al collezionismo, proprio come sta avvenendo in Occidente, pur partendo da un livello meno surriscaldato. Il numero di galleristi stranieri che aprono i loro avamposti a Hong Kong continua a crescere, e le adesioni per ArtHK confermano la fiducia su questo mercato.
La Cina si sta avvicinando a un punto di svolta nel processo di maturazione del proprio mercato artistico. L’aumento di professionalità e la costruzione del sistema stanno dando i loro frutti nel contribuire a correggere un mercato che si era sviluppato unicamente su basi monetarie.
Martina Gambillara
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #9
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