Breve storia delle hit
Per cercare di dare un ordine al sovraccarico di offerta artistica, alcune riviste specializzate e database di mercato stanno incrementando la creazione di classifiche. Sono incentrate sui risultati d’asta ma anche sul grado di popolarità e reputazione di un artista. Lo fanno ArtReview, ArtInfo, Art+Auctions e anche la storica Kunstkompass.
Le classifiche rispondono soprattutto all’esigenza di fare previsioni di mercato e sono utili per quei collezionisti che non disdegnano l’investimento. Il mercato dell’arte, si sa, non è immune alle mode e alle fluttuazioni delle tendenze, che sono tuttavia guidate dai suoi principali attori. Ed è così che il prezzo incorpora anche la reputazione dell’artista, partendo dal presupposto che il riconoscimento culturale sia un fattore basilare nella definizione del valore monetario del lavoro.
Nella letteratura economica, molti ricercatori hanno analizzato correnti artistiche o tendenze di mercato prendendo in considerazione anche il fattore della reputazione o della fama di un artista. L’ultimo in ordine cronologico è lo studio della Washington State University, che dimostra come l’aumento di un punto percentuale sul numero dei risultati di Google corrisponde a un aumento del 38% del prezzo in asta. Il modello utilizzato è quello della regressione edonica, tramite la quale il prezzo di un’opera viene ricostruito sommando il valore dei singoli attributi: anno, dimensioni, tecnica, mostre, letteratura, ma anche “fama” o “reputazione” dell’artista. Per fare un confronto, l’anno di creazione influisce del 5,2% sul prezzo finale, la presenza della firma il 50%, mentre se il quadro è stato regalato dall’artista si ha una diminuzione del 29% del valore.
Come confermano la maggioranza di questi stessi studi, le variabili che hanno un peso maggiore nella formazione del prezzo sono la tecnica, l’anno e la fama dell’artista, valutata sulla base dell’importanza delle gallerie con cui lavora e delle mostre e musei in cui ha esposto. Includendo la variabile di Google si è aggiunto al fattore reputazione una componente di popolarità che ha dimostrato di avere un effetto positivo sul prezzo.
Il 2007 è stato l’anno in cui venne utilizzato Google per la prima volta da un ricercatore tedesco, Christian Knebel, con l’obbiettivo di misurare la quantità di attenzione mediatica attirata da un artista, prendendo in considerazione il conteggio dei risultati complessivi in lingua inglese. In questa variabile erano comprese pagine biografiche, informazioni sugli eventi e sulle ultime vendite, estratti da articoli stampati, commenti dei blog e altro. Il numero di risultati è stato dunque usato come misura approssimativa della popolarità. Secondo questa logica, Picasso era l’artista più popolare, seguito da Dalí, Magritte e Klimt.
Uno dei risultati più interessanti emerso dalla ricerca dell’università di Washington è che gli artisti vengono premiati in popolarità anche grazie ai soggetti raffigurati nelle loro opere, come le pipe, le mele, le nuvole, le donne nude. Ad esempio, l’opera di Picasso Ragazzo con la Pipa ha battuto il record per un’opera in asta nel 2004, con un’aggiudicazione di $ 104 milioni, seguito da Nudo, Foglie Verdi e Busto sempre di Picasso, battuto nel 2010 a $ 106 milioni, fino all’Urlo di Munch ($ 119,9 milioni questa primavera). L’Urlo è stato reso ancora più popolare grazie alla sua apparizione in serie televisive come i Simpson e South Park, cliccati su YouTube e quindi rilevati da Google.
Le classifiche sono state create per fornire ai collezionisti uno strumento che si vuole trasparente e oggettivo, analizzando la carriera di un artista sia a livello di reputazione e influenza, sia a livello economico. La prima rivista a stilare una classifica è stata Capital nel 1970, con Kunstkompass, ovvero i 100 migliori artisti valutati secondo il riconoscimento internazionale di cui godevano. Con questo metodo veniva attribuito un punteggio calcolato sulla base delle quotazioni medie delle opere e dell’entità dei riconoscimenti culturali. Una ripresa di questo modello l’ha effettuata Artfacts.net che, oltre a una valutazione di mercato del singolo artista, lo analizza in relazione all’attenzione professionale che viene investita in loro nome, dando molta importanza alla presenza internazionale in strutture affermate.
Ma questi modelli sono solo apparentemente oggettivi, in quanto ogni tipologia di mostra, collettiva o personale, in museo o in galleria, ha un punteggio che viene assegnato da una cerchia di esperti, e le mostre prese in considerazione sono solamente quelle organizzate da istituzioni “riconosciute” e la letteratura scelta soltanto sulle riviste established.
In Google si “perde” invece questo carattere di esclusività: il motore di ricerca individua come significative tutte le mostre a cui ha partecipato un artista, tutti i testi prodotti su di lui, dai blogger dilettantistici agli articoli su commissione e, come dicevamo prima, la sua popolarità può dipendere anche dagli oggetti raffigurati nelle opere e dalla comparsa in tv. I media hanno la capacità di incanalare l’attenzione verso pochi individui. Rappresentano dunque un modo per far emergere artisti il cui operato è percepito come di qualità, laddove la qualità può essere anche solo un riflesso della maggiore popolarità. Ecco quindi come il termine ‘popolarità’ diverge da ‘reputazione’, che rimane comunque un concetto arbitrario se utilizzato in termini matematici di indicizzazione.
Martina Gambillara
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #10
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