Tefaf 2015. La rivincita del post-war?
Domenica scorsa si è chiusa l’edizione 2015 del Tefaf, la fiera d’arte che dal 1988 è organizzata ogni anno a Maastricht, in Olanda. Nei numeri, il bilancio è positivo: 75mila visitatori, collezionisti arrivati da 65 Paesi, 262 musei accreditati, 400 jet privati atterrati nell’aeroporto di Maastricht-Aachen. Parlando con gli espositori, emergeva la moderata soddisfazione per un andamento delle vendite definito “soft”. Non la frenesia di Art Basel Hong Kong (aperta negli stessi giorni) o quella delle primissime edizioni di Frieze, ma una risposta meno speculativa e più solida e rassicurante.
Il Tefaf è la fiera d’arte più blasonata del mondo, quella dei vetting comitee prestigiosi che tutelano gli acquirenti sulla bontà e la qualità degli acquisti; è la Wunderkammer che i collezionisti aspettano ogni anno, il cabinet des curiosités del XIX secolo. Scorrendo le 31 pagine dell’estratto degli oggetti e delle opera d’arte vendute, si comprende bene che, guardato da qui, il mercato è sfaccettato, segmentato ma in perfetta salute, come se si fosse ristabilito dopo una lunga degenza. Secondo l’Art Market Report pubblicato dal Tefaf, nel 2014 il mercato mondiale ha raggiunto il livello più alto mai registrato con un totale di scambi valutato € 51 miliardi e un aumento del 7% rispetto all’anno precedente; un risultato che supera i 48 miliardi spesi nel 2007 prima della recessione che tanto ha afflitto il sistema. In generale, meno lotti venduti a prezzi più alti e una contrazione del numero delle vendite dominata da player spesso provenienti da aree extra EU, in grado di spendere cifre apparentemente astronomiche.
La novità di questa edizione era la mostra Night Fishing curata da Sydney Picasso, secondo i comunicati stampa un successo commerciale e curatoriale. Uno spazio relativamente piccolo, con poche opere di grandi dimensioni, faceva da cerniera tra la sezione dell’arte antica e quella moderna. Le opere in mostra erano state selezionate per i riferimenti storici con gli oggetti tradizionalmente presenti negli stand. Le gallerie Ropac, Buchmann, Benitez, Fisher, Mayer, Cadot e Zeno X si dividevano lo spazio visivamente dominato da due grandi sculture di George Baselitz (di cui una, Torso Rosa, venduta tra le prime della fiera per 1.400.000 euro), due Tony Cragg e due Wolfgang Laib (apparentemente affetto da gigantismo). La ragione di questo esperimento va cercata in tre fatti, ormai largamente assodati: le transazioni più remunerative si registrano nel campo dell’arte post war; il gusto degli acquirenti e dei visitatori dei musei si sta orientando verso il moderno; l’età avanzata dei collezionisti privati impone ai galleristi un rinnovamento generazionale per sopravvivere.
Tenuti a mente questi tre assunti, non stupiva che tra i meravigliosi tulipani sistemati nei corridoi, negli stand della sezione Antiques e Old Master Paintings si vedessero anche opere d’arte moderna e contemporanea. Tra una Madonna con il Bambino di Luca di Tomè e un fondo oro di Barnaba da Modena faceva bella figura una estroflessione di Enrico Castellani del 1970 (Moretti); dietro a un quieto Canaletto e uno spettacolare Marieschi risaltavano i dipinti rossi di Agostino Bonalumi e Paolo Scheggi (Voena); accanto all’acquerello di van Gogh e al ritratto di Henry Raeburn, lo sguardo era attratto dalla Laila di Van Dongen (Dickinson); sul caminetto, tra due vasi policromi di Delft di primo Settecento, si incrociavano gli occhi dell’elegante bambina della fotografia di Marie Cecile Thijs (Aaronson); una superficie riflettente di Getulio Alviani era sistemata tra il marchese Ginori – Doccia, 1750 – e bronzetti veneziani della prima metà del Cinquecento (Altomani); una grande scultura policroma di Vajradhara proveniente dal Tibet o dal Nepal del XVI secolo si stagliava davanti a un coloratissimo dipinto di Tenzing Rigdal (Rossi&Rossi). Il senso di straniamento maggiore si percepiva di fronte a due fioriere settecentesche in legno dorato che incorniciavano un lussuoso armadio a forma di siepe d’edera… realizzato apposta per la fiera (Mallett).
Questa tendenza a “mescolare le carte” non è nuova, anzi, ed è cominciata anni fa anche grazie all’inossidabile dealer Axel Vervoordt, ma nel 2015 ha certamente trovato la sua manifestazione più appariscente rivelando, in filigrana, la crescente preoccupazione che l’antico non basti più, non sia sufficiente a sostenere il giro d’affari delle grandi gallerie.
In controtendenza rispetto a questo mood, però, lo stand più convincente era quello del tutto omogeneo della galleria di Fraçois Laffanour, Downtown, che esponeva i mobili Shaker in collaborazione con lo Shaker Museum di Mount Lebanon, New York. Fin dalla sua fondazione nel 1787, la comunità utopistica ha prodotto semplici ma raffinati arredi, d’ispirazione per i designer di oggi come per quelli del modernismo, andati letteralmente a ruba secondo i rumors del Tefaf.
Antonella Crippa
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