Diritto di seguito e arte tribale
Avete presente quella percentuale che va all’artista a ogni rivendita di una sua opera? Si chiama diritto di seguito ed è piuttosto irrilevante. Ma se andasse alla comunità da cui proviene l’artista? Nel caso dell’arte “tribale”, allora sì che diventerebbe un gesto utile.
NASCITA DEL DIRITTO DI SEGUITO
Il droit de suite nacque in Francia nel 1920 come una sorta di indennizzo alle vedove e ai figli degli artisti morti in guerra. In Italia fu introdotto abbastanza presto, quando nel 1941 fu approvata la legge sul diritto d’autore. Ben prima che in Germania (1965), Spagna (1987) e Grecia (1993), mentre la Gran Bretagna se ne guardò bene dal pensarci finché ha potuto farlo.
Il problema, però, fu che i legislatori italiani, da sempre creativi e fedeli alla loro tradizione, si inventarono un sistema probabilmente più equo dell’attuale ma pesantemente burocratico, incredibilmente macchinoso e completamente privo di certezza (una partecipazione dell’autore all’incremento del valore dell’opera calcolato in percentuale sul prezzo della prima vendita) tale da essere, nella pratica, inattuabile e che perciò rimase, coerentemente, inattuato.
UNA TASSA TEORICAMENTE ETICA
Con l’approvazione della direttiva europea relativa al diritto dell’autore di un’opera d’arte sulle successive vendite dell’originale, le cose sono in parte cambiate.
Il fondamento del diritto di seguito è quello di uniformare gli artisti indipendentemente dal loro specifico campo. Le opere musicali, teatrali e letterarie sono legate al loro autore e questi trae frutto dalla loro più o meno grande fortuna. Il diritto di seguito consente agli artisti “figurativi” di trarre profitto, almeno in parte, da quello che è l’unico momento avvicinabile all’utilizzazione successiva: la rivendita.
Ritenere che il diritto di seguito possa risolvere il problema dell’equiparazione dei mercati è, ovviamente, ingenuo e fuorviante e così anche pensare che l’acquisto di un’opera possa essere influenzata in maniera sostanziale dal sottostare o meno a un prelievo che, anche finanziariamente, non appare significativo.
Né l’incasso del diritto che in termini assoluti coinvolge cifre degna di nota potrà certamente modificare le sorti economiche di un artista: si tratta, per le opere di fascia bassa, di cifre certamente poco significative e soggette, oltretutto, alla decurtazione della provvigione dovuta all’onnipresente SIAE e alle relative imposte sul reddito. Per le opere di grande valore il prelievo tende a perdere addirittura senso.
La legge, inoltre, è spesso francamente eludibile (applicandosi solo alle transazioni che passano tramite professionisti del settore e escludendo quelle tra privati), passibile di traslazione sul prezzo in modo da gravarne l’acquirente al posto del venditore, poco efficace e, da ultimo, anche contraria alla propria ragione d’essere che dovrebbe essere l’incremento di valore dell’opera operando, invece, come una sorta di tassa sul passaggio di proprietà.
Il diritto di seguito ha, in definitiva, una ragione puramente etica: proteggere gli artisti giovani o comunque poco noti fornendo loro una sorta di surplus contrattuale e un giusto diritto d’autore sulle proprie opere scambiate da altri operatori. Nel caso dell’arte tribale tutto questo, però, viene meno e, date le dimensioni del fenomeno forse occorre cominciare a rifletterci un poco.
ARTE TRIBALE E CONTRIBUTI ALLE COMUNITÀ
Il mercato dell’arte tribale rimane un settore di nicchia in voga tra Parigi e New York che vale ben meno dello 0,7% delle transazioni globali; un mercato ancora avulso dalla speculazione anche se non sempre trasparente e i cui prezzi, certamente inferiori agli altri mercati, rimangono poco prevedibili. Nel corso del 2014, però, l’arte etnica ha prodotto vendite in asta per quasi € 100 milioni: un incremento evidente rispetto ai poco più di € 50 dell’anno precedente ed esponenziale se si considerano i meno di € 15 del 2001. Il 76% del volume delle transazioni è riferibile a opere africane e il 15% a opere provenienti dall’Oceania in ogni caso anonime e riferibili, per lo più, solo all’etnia di provenienza.
Proprio l’anonimato non può essere una scusante per la mancata attribuzione del diritto di seguito in quanto questo è espressamente dovuto anche in caso di opere pseudonime e anonime ma può essere la chiave di volta per una ipotesi di revisione di un sistema che, come accennato, non funziona per le finalità per cui è stato immaginato.
Nel dicembre 2011 è stato presentato al congresso americano un progetto di legge federale (peraltro tuttora rimasto lettera morta) per l’introduzione del diritto di seguito (non presente, oggi, in nessuno Stato con l’eccezione della California). Il progetto prevede che metà del gettito sia devoluta a un fondo per il finanziamento di opere di artisti emergenti americani da parte di musei. Si è quindi, introdotto (anche se per ora solo a parole) un principio di solidarietà e redistribuzione che non vada a favore del singolo artista (o, quanto meno, solo a suo vantaggio) ma a una comunità più ampia di beneficiari, trasformando così quella che attualmente è sostanzialmente vissuta come una ‘tassa’ sul passaggio di proprietà in un contributo sociale e culturale.
Nel caso dell’arte tribale una simile applicazione del diritto di seguito potrebbe andare a vantaggio delle etnie o degli Stati di provenienza delle opere. Si parla, allo stato attuale, di alcune centinaia di migliaia di euro che potrebbero nel corso di pochi anni diventare anche molti di più e che potrebbero essere destinati al finanziamento di operazioni culturali in zone in cui l’investimento in cultura non è, spesso, una priorità.
Franco Broccardi
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