Munari incanta Milano. E la piazza italiana volta alto
In controtendenza rispetto al trend globale, migliorano tutte le case d’asta italiane. Ed è il paradosso di questa settimana: mentre a Basilea si vedeva poca arte italiana, a Milano andava a gonfie vele.
LE RAGIONI DEL SUCCESSO
Le recenti aste milanesi d’arte moderna e contemporanea invertono la tendenza registrata a New York e Parigi. Milano-capitale-dell’arte-contemporanea si difende meglio delle aspettative: le tornate di questi giorni registrano risultati complessivi e percentuali di venduto migliori rispetto alle omologhe vendite dell’anno scorso.
Tante ragioni spiegano questo fenomeno. Tutte le case d’asta hanno compreso che è a Milano che va proposto il moderno e contemporaneo e anche Pandolfini e Wannenes si sono adeguate. Con il passare del tempo, le case nazionali hanno trovato la maniera di reagire al cambiamento di policy di Christie’s e Sotheby’s in Italia. È da qualche semestre che i due global player hanno alzato il valore medio dei lotti e conseguentemente ridotto sensibilmente la proposta e pertanto la raccolta; gli operatori nazionali hanno quindi occupato intere porzioni di mercato non più presidiate, mettendo i venditori a loro agio con le opere tra i 10.000 e i 250.000 € non valorizzate dai molossi, inglesi e settecenteschi, meno agili dei mastini italiani, che godono di più libertà, meno pressione, si possono permettere scelte non del tutto “presentabili” in società e possono rischiare qualche invenduto in più.
I galleristi italiani, quelli che hanno la possibilità di comprare in Italia e vendere a Londra con margini sensibilmente più alti, in queste aste nazionali riescono ad approvvigionarsi. Non va sottovalutato neppure il binomio galleria internazionale d’arte contemporanea /arte post war, che oggi funziona come un orologio svizzero. Per alcuni operatori, inoltre, resiste il mondo reale del collezionismo “sopravvissuto” (rubo l’espressione a un noto esperto) che resiste a comprare opere su cui c’è minore fame e pertanto minor competizione, come il novecento storico e figurativo; altri fanno breccia sui trendsetter che cercano di fiutare le tendenze in atto, mettendo sullo stesso orizzonte le proposte delle gallerie d’arte contemporanea, ciò che si vende alle fiere e quello che emerge dalle collezioni italiane storiche.
QUALCHE CIFRA
Veniamo ai numeri. Super il risultato complessivo raggiunto nell’asta de Il Ponte: € 5,7 milioni di euro con il 92,7% di venduto (l’anno scorso il totale era di € 4,5 milioni). Buona anche la performance di Pandolfini che vende opere per € 2.162.500 con una percentuale di venduto del 77% (nel 2015 era €2.012.000). Cambi vende un totale di € 1.152.850 contro il precedente di €1.134.410 e i € 733.484 di Wannenes raddoppiano il risultato dell’anno scorso e dimostrano che la strada intrapresa è giusta.
Mentre si scrive questo report, le nove sessioni di Meeting Art (1.110 lotti!), non sono ancora concluse, ma ad oggi la percentuale di venduto è l’89% per un risultato complessivo di € 2.244.200.
COSA SI VENDE, E COME
Ma cosa si vende? La Macchina inutile del 1945 di Bruno Munari segna il record per l’artista. Il Ponte vende il delicatissimo mobile a € 190.000, creando un benchmark molto più alto di qualche settimana fa. Che l’interesse sul grafico/artista fosse alto è dimostrato anche dal recente acquisto del Pompidou di una Macchina inutile del 1949 da una collezione privata – grazie all’interessamento della Galleria Clivio (Parma, Milano) -, oltre che dal lavoro di alcune gallerie internazionali. In via Pontaccio assicurano che: c’è speranza anche per l’astrazione italiana prebellica (Rho, Reggiani…), come del resto aveva suggerito anche la sezione Decades di Miart; che Jesus Rafael Soto sia un buon investimento – lo dice anche Perrotin; che l’arte pop italiana sia in un buon periodo, per quanto i risultati di Schifano siano discontinui; che Agnetti e Baruchello stanno diventando una certezza, a prescindere dalla sede di vendita. A Bonalumi, Pandolfini fa bene, e viceversa, dato che vende il Bianco del 1967 a 295.800 € e il Rosso del 1984 a € 149.400, prima e seconda aggiudicazione della serata. La casa d’asta fiorentina sostiene bene anche Igor Mitoraj: delle due Teste in bronzo, quella grande del 1993, è stato aggiudicata a € 106.250 mentre l’altra a € 81.250. In questo caso, è la mostra di Pompei ad avere funzionato come cassa di risonanza. Cambi vende bene una splendente Crocifissione di Lucio Fontana, € 80.000, e il verde pesce pop del 1989 di Keith Haring, € 143.750. Wannenes aggiudica le due tele di Nam June Paik (€ 49.600 e 47.120) a un collezionista americano e l’intrigante camera d’aria di Carol Rama dal titolo La guerra è astratta del 1971 (€ 99.200) a un collezionista nord europeo.
Il paradosso di questa settimana è che mentre alla corrente edizione di Basilea si è vista meno, molta meno arte italiana rispetto all’anno scorso, a Milano negli stessi giorni l’arte italiana è andata bene, molto bene. Insomma, se per gli advisor, la coincidenza di queste aste con la Fiera di Basilea è stata devastante, ha portato evidentemente fortuna alle case d’asta italiane!
Antonella Crippa
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