L’arte in tilt. Gli artflipper e il mercato delle perle artificiali
Figure sempre più presenti sul mercato, gli artflipper stanno mettendo in seria difficoltà le regole che da sempre lo caratterizzano. Gonfiando i prezzi delle opere e ponendole nuovamente in circolo nell’arco di tempi brevissimi. Il guadagno è assicurato, ma a farne le spese sono gli artisti, specie quelli giovani.
Ogni perla è il frutto di una contaminazione. Un corpo estraneo, irritante, che si introduce nell’ostrica e non ne viene espulso. Qualcosa che ci si ritrova in sé e che non viene eliminato ma rivestito. Ogni perla è un’immagine archetipica, è il talento di un artista, il frutto di una sofferenza che è bravo chi sa tramutarla in dono.
Ma una perla può essere causa di rovina, può svelare istinti ignobili come l’avarizia, il bisogno falso di dover avere più di ciò di cui si ha davvero bisogno. Lo raccontò benissimo John Steinbeck nella storia di Kino e Juana, povera gente colpita da una fortuna troppo grande che non riusciranno a gestire perdendo più di quel poco che avevano.
Il lavoro di un gallerista è proprio quello di riconoscere le ostriche che contengono perle, di raccoglierne le storie e infilarle in quel filo prezioso e resistente che è la galleria. Ma come in tutti i mercati in cui gli affari e le opportunità crescono anche l’uomo, come sempre, trova il modo di pescare di frodo, di costruire falsi racconti, di inquinare.
Il flipping è un fenomeno di pura speculazione e, come tale, rischia di minare il mercato delle vendite nell’arte contemporanea. Un flipper non segue regole se non quelle della massimizzazione del profitto nel minor tempo possibile: acquistare a basso costo opere di esordienti, come ad esempio giovani artisti appena usciti dall’accademia, gonfiarne artificialmente il valore come un biliardino elettrico con luci colorate, suoni sintetici, relè, molle e lampadine per poi rivenderle in breve tempo traendone profitto immediato e mandando in tilt il mercato. Che si tratti di opere d’arte è del tutto incidentale come fu incidentale diventare un pinball wizard per Tommy.
LIMITI E PERDITA DI VALORE
Per l’olandese Bert Kreuk, uno degli artflipper più attivi “l’arte è diventata una classe d’investimento finanziaria: la realtà si riflette anche nei prezzi e non ci vedo niente di male. Compro arte perché mi piace e adoro convivere con essa ma chiaramente guardo al prezzo: c’è una bilancia in continua oscillazione tra principio estetico e analisi di mercato”.
Gli artflipper agiscono sulle vendite private o direttamente in asta e, al contrario di altri operatori che hanno cura della riservatezza degli scambi e della privacy dei loro clienti, alimentano la visibilità attraverso i canali social postando i loro acquisti in modo compulsivo. L’obiettivo di questa tecnica è portare un pubblico e una clientela nuovi al mercato dell’arte, caratterizzato da possibilità d’investimento limitate. Pubblico e clientela invogliati all’acquisto di opere senza particolare cura nella loro analisi, nella conoscenza dell’artista e del suo percorso e delle prospettive, ma solo spinti da un effetto moltiplicatore del denaro con cui, inevitabilmente, qualcuno rimarrà scottato. Un fenomeno, poi, che rischia di dissipare il valore dei nuovi talenti emergenti bruciandoli assieme alle loro quotazioni.
“Il flipping è un fenomeno di pura speculazione e, come tale, rischia di minare il mercato delle vendite nell’arte contemporanea“.
Il controverso Stefan Simchowitz, collezionista e, soprattutto, celebre artflipper, ha speculato su talenti come Oscar Murillo, Lucien Smith o Petra Cortright e altri pittori appena usciti dall’accademia, acquistandone opere per pochi dollari e facendole decollare sino a quote di alcune decina di migliaia. Simchowitz agisce secondo regole opposte a quelle seguite da un mercante tradizionale. Non si appoggia a un gallerista di riferimento, non agisce sul mercato primario, ma nelle vendite private o direttamente in asta. Le opere d’arte sono considerate veri e propri beni d’investimento capaci di surrogare la moneta nella funzione di riserva e di incremento del valore e vengono intese come beni rifugio, a maggior ragione in periodi di crisi. L’investimento in opere d’arte dipende dal tasso d’interesse di mercato: più basso è il tasso di interesse, maggiore è la quantità di denaro che si investe in tali beni. Il valore artistico ed estetico dell’opera può accrescersi e rivalutarsi nel tempo e dunque l’opera d’arte può essere considerata un investimento in grado di offrire un capital gain, attirando molti speculatori.
Come altre pratiche di finanziarizzazione dell’arte il flipping è il sintomo di un malessere più legato alla natura umana che al mercato dell’arte in sé. Le biglie di un flipper sono tonde e luccicanti, ma non sono perle: sono solo il prodotto artificiale dell’opera dell’uomo. Non ne hanno il valore perché non sono il frutto di un processo raro e a suo modo sofferente. E in una collana del valore (non solo economico) questo avrà sempre un peso.
– Franco Broccardi
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