Mercato e grandi mostre. Nasce prima l’uovo o la gallina?
Sono le mostre a condizionare il mercato o viceversa? E quali fattori determinano il successo commerciale di un artista? Sono interrogativi a cui non è semplice dare risposta. Ecco un tentativo di analisi e qualche esempio concreto.
Da quando il mercato dell’arte è come lo conosciamo ora, sostanzialmente dalla seconda metà dell’Ottocento, i suoi andamenti sono sempre stati condizionati dal susseguirsi delle mostre che, a loro volta, vengono programmate anche sulla scorta di spinte che provengono dal mercato. Il gusto si nutre di esperienze visive e si esprime nell’attività di raccolta degli oggetti; quando la frequenza degli acquisti diventa convincente anche per i direttori dei musei, alimenta il circuito espositivo. La storia del mercato e la storia delle esposizioni – che non si limita alle Biennali ma comprende anche le grandi retrospettive – formano una specie di nodo di Moebius.
La relazione tra i due sistemi è oggi più leggibile che mai: le case d’asta pubblicano i risultati di vendita, consentendo ai trend di diventare potentissimi strumenti di marketing. Più i record fanno notizia, più i direttori dei musei sono indotti a dedicare tempo e spazio agli artisti in prima pagina. Gli artisti hanno l’intuizione e, se sono bravi, fiutano l’umore, i desideri e le frustrazioni di un’epoca; poi vengono i galleristi, che elaborano e ne trasferiscono il risultato ai collezionisti; il sistema espositivo, messo sotto pressione, organizza mostre e, quando può, raccoglie e conserva. A un certo punto, per ragioni diverse, le opere entrano nel secondo mercato ed emergono gli emuli, le seconde e terze linee che creano in base a quello che percepiscono sia di moda. Con l’accesso al mercato secondario anche da parte di artisti giovani – vedi il caso di Oscar Murillo – la corrente diventa veloce e spesso porta tutto a mare.
IN CERCA DELL’ORIGINE
Seduti su questo carosello, è molto difficile capire quale sia l’elemento originario, ma il combinato disposto di mostre e trend aiuta a comprendere gli orizzonti dei collezionisti. Se alcune grandi mostre di questa primavera potrebbero ispirare i collezionisti, altre rappresentano invece l’apice di un fenomeno in atto da tempo.
Alberto Giacometti sintetizza molto bene le inquietudini dell’Europa attuale ed è forse anche per questo che è stato scelto quale protagonista della stagione espositiva della Tate Modern (fino al 10 settembre). È difficile immaginare che la mostra possa ulteriormente valorizzare le sue opere, dato il record del 2015 de L’Homme au doigt, la scultura del 1947 venduta per più di 141 milioni di dollari. Negli ultimi anni sono passate di proprietà più di trenta opere a una cifra superiore ai 10 milioni di dollari, rendendo lo svizzero lo scultore più costoso al mondo. È possibile, tuttavia, che la sovraesposizione anche mediatica consenta ad altri lavori, magari i dipinti, di crescere di valore, e che pertanto la retrospettiva sia stata generata anche dalla pressione di chi ha investito sul suo mercato.
Certamente più prevedibile è che l’antologica del MoMA sulle artiste all’epoca dell’Espressionismo Astratto (fino al 13 agosto) avrà un effetto molto positivo sulle quotazioni. Lee Krasner, Helen Frankenthaler, Joan Mitchell, ma anche Lygia Clark, Lygia Pape, Agnes Martin, Magdalena Abakanowicz, Sheila Hicks, perfino Louise Bourgeois hanno prezzi non ancora saturi, comunque non paragonabili ai colleghi, e dunque con margini di rivalutazione più ampi. Joan Mitchell, ad esempio, ha sfiorato i 12 milioni di dollari nel 2014 ed è molto ricercata, come è noto a chi visita di frequente le fiere internazionali. Il record di Lee Krasner, la compagna di Pollock, è poco più di 3.1 milioni di dollari, mentre le migliori performance di Helen Frankenthaler sono state registrate tra il 2015 e il 2016 (2.8 milioni di dollari nel 2015): il suo mercato è in crescita.
DA PARIGI…
Il Centre Pompidou ha recentemente dedicato a Cy Twombly l’esposizione principale. Sono antichi e solidi gli interessi di galleristi, collezionisti e speculatori sull’americano di casa a Roma e nel 2015 è stato raggiunto il record dei 70 milioni di dollari. Dal punto di vista del mercato, più curiosa è l’altra operazione del centro d’arte parigino: Saâdane Afif ha pensato di raccogliere, entro la fine dell’anno, 1.001 riproduzioni dell’Orinatoio per festeggiare il centenario del più celebre ready-made del mondo. Benché Marcel Duchamp abbia condizionato, per non dire plagiato, tutte le generazioni di artisti e intellettuali venute dopo di lui, il suo modus operandi, la natura stessa delle opere e la loro pressoché completa musealizzazione rendono molto difficile acquistare una sua opera significativa. La dinamica dell’offerta e della domanda non genera incrementi significativi, tanto che il suo record risale al 2009 e si è fermato a 8.9 milioni di euro, cifra che non riflette neppure minimamente il peso dell’artista nella storia del pensiero e dell’arte del secolo scorso.
… A LONDRA E NEW YORK
Nessun dubbio, infine, che la retrospettiva della scorsa primavera alla Tate Modern abbia gettato una nuova luce su Robert Rauschenberg. L’esposizione ha ricevuto quasi all’unanimità un’accoglienza da stadio e avrà, a medio e a lungo termine, un effetto evidente sulle quotazioni. Che potrebbero alzarsi decisamente sopra i 18.6 milioni di dollari, record che risale al 2015, con cifra che, anche in questo caso, non sembra “arrivata”. Ci si aspetta quindi grandi cose anche dalle mostre che il MET e il New Museum di New York hanno dedicato rispettivamente a Marisa Merz e a Carol Rama (fino al 9 ottobre). Nel corso dei prossimi mesi, le 200mila sterline che rappresentano il record in asta della prima e le 180mila della seconda dovrebbero essere ampiamente superate.
– Antonella Crippa
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #36
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