Grande, semplice e colorato: il paradigma della bellezza
Aste e mercato confermano che puntare sulla bellezza paga. Puntando su un’esperienza sensoriale e visiva che coinvolga lo spettatore. Proprio come avviene all’HangarBicocca di Milano, ospite di Lucio Fontana.
Spesso lo dimentichiamo, ma le opere d’arte sono anche paradigmi di bellezza. Tempi, luoghi e gruppi sociali ne definiscono le caratteristiche. Gli articoli e i saggi la descrivono con le parole, attori e modelle la incarnano con i loro corpi e gli artisti la trasformano in immagini e materia. Oggi viviamo in un’epoca globalizzata in cui le esperienze spettacolari guidano i nostri desideri, al contrario delle differenze, che sono poco valorizzate. Cos’è per noi la bellezza e quali sono le forme che ci attraggono? Chi gli artisti e quali le opere che la rappresentano? Se si considerano i lavori che hanno attirato il maggior interesse nella prima metà di ottobre di questo 2017, tra Frieze, le aste autunnali e le mostre in gallerie e musei londinesi, è evidente che oggi la bellezza sta in forme semplificate e ripetute, in colori saturi e accesi e, sempre, sempre di più, nelle grandi dimensioni. Ciò di cui il corpo dello spettatore può fare un’esperienza più ampiamente sensoriale e non solo visiva.
I pigmenti puri di Wolfgang Tillmans, i segni grafici e mediatici di Wayde Guyton, le vedute di Hurvin Anderson, David Hockney e Peter Doig, le forme astratte di Joseph Albers, Yves Klein e Lucio Fontana, i numeri e le bandiere del revival di Jasper Johns, le sculturone di Antony Gormley, i disegnoni di Gilbert & George e le altalenone di Superflex… Tutto questo sta sullo stesso piano ed è assorbito e metabolizzato con i medesimi strumenti cognitivi.
Anche nel segmento più alto del mercato si predilige l’acquisto di opere iconiche, meno legate a contesti e pedigree e più all’effetto che hanno sui sensi. Non è la storia che discrimina l’acquisto: oggi gli artisti dal secondo dopoguerra ai giorni nostri vengono misurati sull’attualità e la pertinenza dell’esperienza e per il piacere che se ne trae. Per avere successo e migliorare i conti, almeno sul breve periodo, bisogna puntare quindi su grande, bello e colorato.
VENDITE E BELLEZZA
Quest’anno Christie’s lo ha capito meglio di Sotheby’s, anche se non tutto ha funzionato. Lo si vede sfogliando i cataloghi ma lo si legge ancor meglio nei numeri. Il risultato di Christie’s Post War and Contemporary Art Evening Sale è stato di 99,5 milioni di sterline (83% i lotti venduti e sette record per Grayson Perry, Howard Hodgkin, David Salle, Antony Gormley, Hurvin Anderson, Tony Bevan, Amy Sillman) contro i 34,2 milioni di sterline del 2016 – anno chiuso decisamente male soprattutto per le vendite all’asta. Sotheby’s si ferma a 50,3 milioni di sterline (nel 2016 erano stati 47,9 milioni) con l’88% di lotti venduti e tre record per Joseph Albers, Thierry de Cordier e Alex da Corte. Al di là della dinamica tra i due colossi, si confermano i segnali di ripresa che si percepivano prima dell’estate: il mercato sta effettivamente riprendendo fiato.
Come però ha sottolineato Anna Louise Sussman, efficientissima columnist di Artsy, “l’incertezza che ha caratterizzato il periodo tra la Brexit e l’elezione americana era meno esplicita a Londra, ma in ogni modo presente”. Alcuni galleristi a Frieze Masters hanno provato a facilitare le vendite puntando sugli artisti che incarnassero la bellezza, ma in quelle versioni che non spaventassero i potenziali acquirenti perché meno costose, realizzate ad esempio in materiali così detti minori o in dimensioni ridotte: la carta di Alexander Calder da Lévy Gorvy, la stoffa di Sheila Hicks da Alison Jaques, le bande di Daniel Buren da Lisson o i lavori più recenti di Carol Bove e Yayoi Kusama da Zwirner, solo per citarne alcuni.
Stesso trend anche per l’arte italiana. Le strisce colorate di Piero Dorazio da Tornabuoni, le passamanerie di Enrico Baj da Giò Marconi e le code di delfino di Pino Pascali da Massimo De Carlo attiravano decisamente l’attenzione e si può confidare nella capacità della fiera inglese di traghettare nel mare globale dell’arte contemporanea artisti attualmente confinati in alcune isole, o penisole…
IL CASO DI LUCIO FONTANA
È probabile che l’intero bilancio per l’arte italiana, infine, non sarebbe stato positivo se Christie’s non avesse presentato lo sbalorditivo Concetto spaziale. In Piazza San Marco con Teresita del 1961 di Lucio Fontana. Non solo per i 10 milioni di sterline a cui è stato scambiato – che hanno contribuito per un terzo al totale dell’asta di arte italiana a King Street – ma anche per l’impatto che ha avuto sui collezionisti. Il risultato aggregato di 50,5 milioni (i 32,1 milioni di sterline Christie’s sommati ai 18,4 milioni di Sotheby’s) è più alto dei 41,8 della somma ottenuta dalle due case d’asta nel 2016 (Christie’s 18,6 milioni e Sotheby’s 23,2 milioni). Cosa sarebbe successo senza le pietre di Murano del nostro miglior artista e senza le opere europee mescolate alle italiane di Sotheby’s? Come hanno capito a New Bond Street con il loro catalogo misto, arrivati a queste cifre, l’Italia è praticamente fuori gioco. Per crescere, l’arte italiana del dopoguerra deve consolidare la sua fama globale, giocando nello stesso campo dell’arte internazionale. HangarBicocca, con la ricostruzione degli ambienti spaziali luminosi di Fontana, artista trasformato in una rockstar globale, in grado di “dare la birra” ai minimalisti americani, di gran lunga meno creativi, poetici, misteriosi e affascinanti del nostro, ne è con tutta evidenza perfettamente consapevole.
‒ Antonella Crippa
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #40
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