Art people voices. Parola a Francesco Taurisano
La Collezione Taurisano è una raccolta privata di arte contemporanea con base a Napoli. Avviata negli Anni Settanta da Paolo Taurisano, continua ad arricchirsi grazie alla passione di suo figlio Francesco, insieme alla moglie Sveva D'Antonio. E ora comprende attualmente circa 300 opere.
Come ti sei avvicinato all’arte contemporanea e al collezionismo?
La mia curiosità è nata presto. Una sera, a casa dei miei genitori a Napoli, mio padre discuteva con il suo gallerista di riferimento all’epoca. Io li ascoltavo dalla mia camera, poi mi sono unito a loro: si decideva se acquistare un’opera di Emilio Tadini o una di Piero Dorazio. Io propendevo per Dorazio, invece mio padre scelse il Tadini, che però restò in casa solo per un mese per essere poi sostituito, dopo lunghe e accese discussioni, dal Dorazio. Fu quella la mia prima conquista!
Cosa ti colpisce in un’opera? Quali gli artisti che segui di più?
Non mi sento un collezionista istintivo, le acquisizioni avvengono dopo un attento studio dell’opera, dell’artista e della galleria. Mi interessa e mi affascina l’arte che mostra un impegno socio-politico, che veicola messaggi legati alla complessità del quotidiano. Di recente sto seguendo attentamente il mercato sudamericano, ho acquisito due opere di Maxwell Alexandre dalla galleria A Gentil Carioca e ormai da tempo colleziono l’artista colombiana Alejandra Hernández della galleria Laveronica.
Ti affidi a rapporti di fiducia con i galleristi? Frequenti altri collezionisti?
Trovo sia fondamentale istituire un dialogo costante con le gallerie. Questo è un consiglio che il mio caro amico Giorgio Fasol mi diede un po’ di anni fa e di cui ho fatto tesoro. Così come frequento assiduamente altri collezionisti, sia del mio territorio sia all’estero.
Il primo e l’ultimo acquisto?
Il primo è stato Rainer Ganahl, mentre l’ultimo è uno dei neon più iconici, per me, di Claire Fontaine, Ma l’amore mio non muore da T293.
L’opera a cui sei più affezionato?
Piccolo Caos di Marinella Senatore, uno scatto della performance dell’artista a Cagliari. Un’opera legata alla mia famiglia e a un momento particolare della mia vita di cui vorrei serbare il ricordo. L’arte serve anche a questo.
Un’opera che non sei mai riuscito a raggiungere?
Una delle spugne di Yves Klein.
Come credi sia cambiato il sistema dell’arte da quando hai cominciato a collezionare?
Aste e fiere hanno di certo accentuato la valenza economica dell’arte. La definizione di “artista emergente” nata negli anni di Tangentopoli ne è l’esempio lampante. Noi crediamo si debba collezionare con gli occhi e non con le orecchie; ascoltare, e seguire il mercato, ha il suo peso, ma conta di più costruire una propria identità autonoma: la collezione rappresenta la nostra famiglia, i nostri affetti.
Come influisce il passaggio del tempo sul collezionare, come sono cambiati i tuoi gusti e la collezione?
I miei gusti si sono certamente modificati. Mi sono aperto a nuovi media, come audio-video e installazioni, ma allo stesso tempo, più di recente, noto un riavvicinamento alla pittura. Molto è cambiato anche rispetto al modo di collezionare di mio padre, che aveva iniziato con opere di Mimmo Paladino, Nino Longobardi, Gianni Pisani, Mario Persico, Lucio Del Pezzo, e poi Nouveau Réalisme, Movimento Nucleare e Informale. Oggi la CollezioneTaurisano è una collezione privata che guarda al futuro e prova ad ampliare il proprio spettro di influenza, sostenendo gli artisti in collezione e promuovendo iniziative partecipative, come ad esempio la residenza organizzata a fine dicembre 2018 nella nostra abitazione di Modica, che ha visto come protagonista il collettivo rumeno Apparatus22.
‒ Cristina Masturzo
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