Le fiere d’arte ci hanno definitivamente annoiato?

Già gran parte del circuito confessava a mezza bocca di dichiararsi scocciato nel 2019, figurarsi nel 2021 con un evento epocale di mezzo e con le fiere che pretendono di ripartire come nulla fosse accaduto…

Grazie al coraggio e all’incoscienza di Milano, anche il mondo della cultura contemporanea italiana è tornato a vivere eventi fieristici dal vivo. Prima il Salone del Mobile, subito dopo miart. Questa sorta di flashback al 2019 ha emozionato e stordito. Qualche riflessione critica e costruttiva, dunque, non può mancare.

TUTTO CAMBIA. E LE FIERE NO?

Tutto è cambiato in questo che è stato l’anno e mezzo più folle della contemporaneità. Davvero in tale scenario la liturgia della fiera pretende di rimanere la medesima senza curarsi che il 2019 è temporalmente l’altro ieri ma culturalmente un evo fa? Viaggiamo in maniera diversa, mangiamo in maniera diversa, acquistiamo beni e servizi in maniera diversa, comunichiamo in maniera diversa, andiamo al lavoro e talvolta a scuola e all’università con uno spirito diverso. Abbiamo vissuto esperienze che, con questa pervasività, nessuna generazione aveva vissuto prima.
Tutto si è risettato su equilibri inediti e le fiere restano identiche? Fintamente ignare del fatto che, in loro assenza, il mercato dell’arte sia andato avanti lo stesso e dunque spocchiosamente incuranti della loro ancorché parziale superfluità?
Panorama. Per Barclay. Installation view in Procida, 2021. Courtesy Italics. Photo Barbara Rossi

Panorama. Per Barclay. Installation view in Procida, 2021. Courtesy Italics. Photo Barbara Rossi

COSA DEVE FARE UNA FIERA

Sia chiaro, il punto non è – come chiede Francesca Bonazzoli sul Corriere della Sera – dare alle fiere la responsabilità di parlare dei grandi temi dell’attualità internazionale. Le fiere non sono il tg né un talk show e gli artisti non è detto che debbano starsene sintonizzati sulle news del giorno. E quando succede (eccome se succede), per questo abbiamo le mostre, abbiamo i riallestimenti delle grandi collezioni museali, abbiamo le personali in galleria (e a Milano ce ne sono di potenti, in queste settimane). Le fiere debbono fare le fiere e dunque mettere il connessione nell’intervallo intenso di pochi giorni e in uno spazio definito la domanda con l’offerta, puntando in larga misura – con buona pace di chi si aspetta di trovare la Biennale visitando ArtBasel – su opere commercializzabili in maniera relativamente agevole.
E il punto non è neppure vaticinare la fine del concetto stesso di fiera: le fiere esistono dal Medioevo e hanno costituito la spina dorsale economica dei Paesi sviluppati occidentali per secoli (superando ben altre emergenze globali) e così faranno in futuro per il banale motivo che gli individui per concludere dei buoni affari hanno necessità di vedersi, sorseggiare un caffè, mangiare assieme, annusarsi. E i prodotti oggetto delle loro contrattazioni anche loro beneficiano quasi sempre di un’analisi dal vivo, non mediata da alcunché se non dai propri sensi: visiva, tattile, volumetrica, ambientale.
E, di più, il punto non è neppure demonizzare a priori i quartieri fieristici che anzi sono ottimali per molte merceologie. Probabilmente però molte merceologie, ma non più l’arte…
Palai. Installation view at Palazzo Tamborno Cezzi, Lecce 2021. Photo Raffaella Quaranta. Courtesy Palai

Palai. Installation view at Palazzo Tamborno Cezzi, Lecce 2021. Photo Raffaella Quaranta. Courtesy Palai

TUTTO SI ACCELERA (ANCHE LA NOIA VERSO LE FIERE?)

La crisi sanitaria non è una crisi trasformativa, sarà invece una crisi accelerativa. Succede che i processi che erano già in corso hanno subito (beneficiato?) una accelerata repentina: in pochi mesi abbiamo bruciato tappe che avrebbero richiesto alcuni anni.
Era già in corso un processo secondo cui le fiere d’arte nella loro forma tradizionale dimostravano stanchezza e dunque questo processo ha subito una accelerazione pure lui.
Non solo il nodo dell’eccessivo numero di appuntamenti nell’agenda annuale verrà al pettine, ma gli appuntamenti che sopravviveranno (una frazione di quelli attuali) dovranno rivedere il loro display e il loro set up. Così non può andare: è del tutto evidente che il luogo adatto per coinvolgere il pubblico, convincerlo a investire, fargli passare delle ore piacevoli che alimentino il business non è quello dei classici vecchi quartieri fieristici. Sono luoghi che vanno bene per altri prodotti, non per l’arte. Iniziative come Palai a Lecce (prima ancora Granpalazzo oppure Dama) o Panorama a Procida sono piccoli ma significativi indizi in questo senso che sarebbe ingenuo non cogliere.
Il pubblico di Granpalazzo 2017. Photo Giorgio Benni

Il pubblico di Granpalazzo 2017. Photo Giorgio Benni

LE FIERE SOPRAVVIVONO SOLO SE CAMBIANO UN PO’

Occorre inventarsi qualcosa per rendere più coinvolgente, inclusiva, piacevole e esperienziale tutta la faccenda. Se lo faranno i quartieri fieristici bene, se non saranno in grado di capirlo vi saranno altri organizzatori che si piglieranno il mercato (magari le gallerie stesse in prima persona).
In ogni caso è davvero arduo pensare che ancora per molti anni il pubblico accetterà di buon grado di spendere ore o giorni in capannoni chiusi, malsani, dotati di servizi gastronomici indifendibili, suddivisi in box tipo centro vaccinale, con biglietti di ingresso insensati che umiliano chi non è invitato (pagare per visitare una mostra-mercato? Ma seriamente?). Cose che erano okkay fintanto che tutti correvamo nella ruota del criceto, ma adesso?
Nessuno chiede grandi rivoluzioni per l’amor di dio, ma un pizzico di impegno quello sì. Come quello ad esempio dimostrato (pur in chiave emergenziale e da mettere a punto) dal Salone del Mobile: allestimento arioso e coinvolgente disegnato da un grande architetto, spazio ben suddiviso tra mostre e stand con la possibilità di passeggiare, illuminazione ben studiata, cibo eccellente e un leggendario programma di iniziative collaterali in città. È un modello, altri differenti possono essere analizzati. Tutto, ma non restare uguali a se stessi.
– Massimiliano Tonelli

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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