Cos’è e come funziona il Tavolo Permanente per la circolazione delle opere d’arte
La disciplina relativa alla circolazione delle opere d’arte necessita di una riforma che possa rendere più snello il processo di entrata e uscita delle opere dall’Italia. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Calabi, avvocato e massimo esperto in materia
Il 2 dicembre 2021 è stato costituito, presso il Ministero della Cultura, il Tavolo Permanente per la circolazione delle opere d’arte, un traguardo significativo per semplificare il processo di entrata e uscita delle opere d’arte dal nostro Paese, attualmente condizionato da un impianto legislativo obsoleto e da burocrazia macchinosa. L’avvocato Giuseppe Calabi dello studio legale CBM & Partners, grazie alla sua pluriennale esperienza nel campo relativo ai beni culturali e al mercato dell’arte, fa parte del Tavolo in qualità di esperto. Abbiamo parlato con lui per saperne di più.
Avvocato, come si è arrivati alla costituzione del Tavolo Permanente per la Circolazione delle Opere d’Arte?
Tutto ebbe inizio circa una decina di anni fa, in occasione di un forum organizzato da Il Sole 24 Ore. In quella circostanza iniziai a confrontarmi con alcuni esperti del settore in relazione alle problematiche attinenti alla circolazione delle opere e così nacque l’idea di intavolare un dialogo con le istituzioni al fine di sensibilizzarle sulle difficoltà operative degli intermediari del mercato dell’arte e di proporre soluzioni volte a migliorare e semplificare il sistema dei controlli sulla circolazione internazionale. A quel periodo si deve anche la nascita del Gruppo Apollo, che originariamente era costituito da un gruppo di soggetti molto più ristretto rispetto a quello attuale. In principio il confronto si ebbe con la Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e l’intento era quello di rivedere quanto stabilito dalle Linee Guida del 1974 in materia di circolazione delle opere d’arte, ma concretamente quel tentativo si risolse in un nulla di fatto. Qualche anno più tardi ci abbiamo riprovato, cercando di intercettare gli interlocutori politici presso il Ministero della Cultura, presieduto dal Ministro Franceschini, e lì è andata meglio.
“Si deve creare una sinergia proficua tra mercato e istituzioni al fine di rendere il sistema più snello e pronto alle sfide che il contemporaneo ci pone davanti”.
Cosa è successo dopo?
Pur senza la costituzione di un vero e proprio tavolo, ma con efficienti gruppi di lavoro, si è arrivati all’approvazione della riforma del 2017 (Legge n. 124 del 4 agosto 2017), la quale ha modificato il regime della circolazione internazionale. In particolare, si è previsto che le opere di autori non più viventi e realizzate da oltre 50 anni e meno di 70 anni, e le opere di autori non più viventi realizzate da oltre 70 anni e con un valore inferiore ai € 13.500, non richiedano una autorizzazione da parte dell’Ufficio Esportazioni per poter uscire definitivamente dal Paese, ma debba essere provato dall’interessato, mediante autocertificazione, che i beni rientrino in una delle due categorie.
Tale riforma è stata poi attuata dai due decreti n. 537 del 6 dicembre 2017 e n. 246 del 17 maggio 2018, i quali hanno rispettivamente introdotto nuovi criteri per la concessione o il diniego dell’attestato di libera circolazione. Mentre il decreto ministeriale n. 537/2017 ha modificato i criteri di valutazione adottati dagli Uffici Esportazione, limitando la sfera di discrezionalità dell’amministrazione e sostituendo le Linee Guida del 1974, il decreto ministeriale n. 246 del 17 maggio 2018 ha riguardato il regime di circolazione internazionale di beni culturali in entrata e in uscita dal territorio italiano, precedentemente disciplinato da un Regio Decreto del 1913.
E adesso?
I problemi non si sono risolti pienamente, c’è ancora tanto lavoro da fare. Questo dato è stato anche recentemente evidenziato dalla survey condotta da Nomisma e presentata lo scorso novembre 2021, dalla quale è emerso come si debba creare una sinergia proficua tra mercato e istituzioni al fine di rendere il sistema più snello e pronto alle sfide che il contemporaneo ci pone davanti. L’occasione è stata propizia per gettare le basi e costituire un Tavolo Permanente presso il Ministero della Cultura, Tavolo che dovrebbe lavorare proprio sull’armonizzazione tra le esigenze dei player della filiera dell’arte e le istituzioni.
COSA CI SI ASPETTA DAL TAVOLO PERMANENTE
Come il Tavolo Permanente riuscirà a rappresentare gli operatori del mondo dell’arte?
La prima riunione è fissata per il 13 gennaio 2022 e, sinceramente, sono fiducioso sul fatto che si possa creare un dialogo con le istituzioni, così come accade in altri Paesi dove esiste un sistema di tutela e controllo molto efficiente, ma allo stesso tempo il mercato non viene penalizzato come in Italia.
Di cosa avrebbero bisogno coloro che operano nel campo artistico?
Direi di tre cose: regole chiare; tempi rapidi e riscrittura di alcune norme del Codice dei Beni Culturali. Ad esempio, la soglia di € 13.500 per l’uscita delle opere d’arte dal nostro Paese dovrebbe essere innalzata, dunque si dovrebbe, quantomeno, allineare la normativa italiana a quella di matrice europea (Regolamento 116/2009): la normativa europea prevede soglie differenziate a seconda della categoria di opere. Ad esempio la soglia per i dipinti è di euro 150.000.
Si sente spesso parlare di passaporto delle opere d’arte. In cosa consiste?
È auspicabile che venga approvato un sistema di questo tipo. In sostanza, il passaporto dovrebbe consentire anche a un bene, di provenienza estera, di entrare e uscire dal Paese senza dover passare ogni volta dall’Ufficio Esportazione, evitando così una pesante burocratizzazione della circolazione.
“In Francia, quando lo Stato esercita la tutela, ha sempre un occhio di riguardo per il soggetto privato, il cui interesse non è considerato recessivo rispetto a quello pubblico”.
Qual è, secondo lei, il problema che deve essere affrontato con maggiore priorità dal Tavolo Permanente?
L’eccessivo uso dell’annullamento in autotutela a cui fa ricorso la Pubblica Amministrazione. Facciamo un esempio: poniamo che un privato, con debita licenza all’esportazione rilasciata dall’Amministrazione, decida di vendere all’asta un’opera e poi accade che, poco prima dell’asta, la stessa Amministrazione decida di annullarla in autotutela in base all’art. 21 novies, Legge 241/1990. Questo sistema mina severamente la certezza della circolazione delle opere d’arte, ledendo, da un lato, la credibilità dell’Italia; dall’altro, il privato che si trova impossibilitato a perfezionare la vendita, pur avendo ottenuto, in prima battuta, la licenza.
È paradossale. Si deve superare l’idea che il privato assuma necessariamente un atteggiamento ingannevole nei confronti della Pubblica Amministrazione. Si deve creare sinergia, non sfiducia.
FRANCIA E ITALIA A CONFRONTO
Secondo lei, in Europa, qual è il Paese da cui prendere spunto?
Direi la Francia, un Paese serio che alimenta il mecenatismo: si pensi alla legge Aillagon introdotta nel 2003 che ha dato un forte impulso alle sponsorizzazioni da parte delle società attraverso importanti agevolazioni fiscali. Inoltre, in Francia, quando lo Stato esercita la tutela, ha sempre un occhio di riguardo per il soggetto privato, il cui interesse non è considerato recessivo rispetto a quello pubblico. Vige, infatti, il principio per cui se lo Stato ritiene che il bene di un privato possa qualificarsi come un “tesoro” (trésor) nazionale, lo Stato debba indennizzare il privato, in quanto a seguito di tale qualifica numerose facoltà che scaturiscono dal diritto di proprietà vengono meno, ad esempio la possibilità di esportare l’opera all’estero. Inoltre in Francia se lo Stato vuole negare l’esportazione ha un periodo di tempo in cui deve trovare i fondi necessari per proporre al privato di acquistare l’opera a valori di mercato internazionale: in mancanza, l’opera deve essere lasciata libera di uscire.
E in Italia?
Se io voglio portare fuori dal Paese un bene, lo Stato può negarmi la licenza, il bene viene notificato e senza alcun indennizzo. Inoltre, in caso di richiesta di permesso di esportazione, lo Stato può imporre al privato di cedere l’opera al valore dichiarato al momento della presentazione della richiesta di esportazione (si parla infatti di “acquisto coattivo”): quindi, in Italia lo Stato ha una mera facoltà e non – come in Francia ‒ un obbligo di acquistare a un prezzo di mercato internazionale. Facoltà raramente esercitata (per mancanza di risorse disponibili) a cui il privato può sottrarsi rinunciando all’esportazione. Rimane comunque salva la potestà dello Stato di “notificare” l’opera, malgrado la rinuncia all’esportazione, senza riconoscere alcun indennizzo al privato, la cui posizione è quindi irragionevolmente subalterna rispetto all’interesse pubblico.
Cosa si aspetta dal 2022?
Che si apra una nuova stagione di riforme, in cui si cerchi una ragionevole mediazione tra l’interesse pubblico alla tutela e l’interesse del mercato e dei collezionisti, e in questo il Tavolo Permanente potrà essere un’utile piattaforma per formulare proposte innovative.
‒ Antonio Mirabelli
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