Opere d’arte espatriate e vendute all’asta. Un tema da affrontare
Mentre la Russia chiede indietro le opere in prestito all’estero, il tema della movimentazione degli oggetti d’arte torna alla ribalta. Fabrizio Federici lo affronta prendendo in esame i lavori espatriati che finiscono all’asta e il loro, eventuale, “ritorno a casa”
Quando un capolavoro espatriato passa all’asta, da più parti si levano voci che chiedono il rientro dell’opera in Italia. Il più delle volte gli appelli restano inascoltati: i ricconi nostrani, che potrebbero fare una bellissima figura, magari donando o prestando poi l’opera, da veri mecenati, a una raccolta pubblica, non mettono mano al portafogli; lo Stato, che non ha o dice di non avere le cifre necessarie, si tira indietro. Senza scomodare l’episodio del Salvator Mundi attribuito a Leonardo (un caso a parte, per il prezzo di vendita iperbolico), possiamo ricordare la riscoperta Donna Olimpia Maidalchini di Diego Velázquez, venduta per poco più di due milioni e mezzo di euro nell’estate del 2019, e il più recente caso dell’affascinante (ma discusso) Parmigianino raffigurante Saturno e Filira, che un anonimo acquirente si è assicurato per l’abbordabile cifra di 587.770 euro.
“Quando un capolavoro espatriato passa all’asta, in molti ne chiedono il ritorno in Italia”.
Gennaio del 2022 si preannuncia ricco da questo punto di vista: il 27 vanno all’asta da Sotheby’s, a New York, tra le altre gemme, un Vir Dolorum attribuito a Botticelli, uno splendido ritratto di Andrea del Sarto e una Maddalena distesa e leggente in cui va forse riconosciuto l’originale di Correggio, noto sinora attraverso copie e derivazioni. Ciascuno di questi dipinti parte da una stima di diversi milioni di dollari. Più contenuta (né d’altra parte siamo agli stessi livelli di qualità) è la valutazione per un’opera comunque di grande interesse, il monumento sepolcrale di Anna Colonna Barberini, realizzato in bronzo dorato e marmo nero poco dopo il 1658 da Gabriele Renzi. Sarebbe bello se la scultura potesse tornare in Italia: magari a Palazzo Barberini, dove la bronzea Anna ha soggiornato per alcuni anni alla fine dell’Ottocento, dopo che la chiesa che accoglieva il monumento era stata demolita, e dove l’effigie sepolcrale potrebbe trovare posto nella sala dedicata alla famiglia Barberini da poco inaugurata.
LA COLLEZIONE CYBO MALASPINA
Per un’opera che potrebbe tornare, altre potrebbero lasciare l’illustre dimora. Due dipinti di Salvator Rosa lo hanno già fatto, nell’ambito dell’intelligente iniziativa del Ministero della Cultura 100 opere tornano a casa, e sono state portate a Matera. Altre opere della Galleria Nazionale non esposte, che sarebbe bello “rimpatriare” per un certo periodo, sono alcuni dipinti della collezione Cybo Malaspina, già custoditi nel Palazzo Ducale di Massa, trasferiti a Roma negli Anni Venti del Settecento e pervenuti allo Stato, dai Torlonia, nel 1892. Spicca in questo nucleo di opere il Ritratto di Leone X con due cardinali da Raffaello, dipinto da Giuliano Bugiardini nel 1520, con una notevole variante: si fa fuori il cardinale Luigi de’ Rossi e al suo posto si inserisce il ritratto del committente del dipinto, Innocenzo Cybo, anch’egli porporato nipote di papa Medici. L’effigie starebbe proprio bene nella reggia cybea di Massa, e la prospettiva del suo rientro potrebbe anzi rappresentare uno stimolo fondamentale a far sì che lo splendido palazzo sia finalmente liberato, almeno in parte, dagli uffici e venga destinato a usi culturali.
‒ Fabrizio Federici
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #27
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