La tassazione sui collezionisti d’arte. Una sentenza della Cassazione fa ripartire il dibattito

Una sentenza dello scorso luglio su un'opera di Monet ha spinto a parlare dell’imposizione sulle plusvalenze realizzate dalla vendita tra privati di opere d’arte. Ecco con che argomentazioni

Una sentenza della Corte di Cassazione, la 19363 del 15 luglio 2024, ha riacceso il dibattito sulla tassazione dei collezionisti d’arte. Il collezionista in questione aveva venduto, per il tramite di una nota casa d’aste, un’opera di Claude Monet che aveva acquistato sette anni prima. Secondo l’Agenzia delle Entrate, la plusvalenza ottenuta dalla vendita dell’opera – oltre cinque milioni rispetto al prezzo di acquisto – costituiva “reddito derivante da attività commerciale non esercitata abitualmente”, soggetta quindi a imposizione. Il collezionista sosteneva, invece, che la vendita dell’opera non dovesse essere soggetta ad alcuna imposizione, trattandosi dell’unico affare da lui concluso in tutto l’anno ed essendo stata l’opera venduta unicamente con l’intento di acquistarne altre e rinnovare la propria collezione.

La tassazione dei collezionisti e la Cassazione

Sebbene in primo grado fossero state accolte le argomentazioni del collezionista, la Commissione Tributaria di II grado di Trento ha ritenuto che la plusvalenza ottenuta dalla vendita dell’opera oggetto di causa rientrasse nella nozione di “redditi diversi”, soggetta a imposizione. Così, il giudice di seconde cure ha qualificato il collezionista come “speculatore occasionale” (cioè persona che acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di fare utili). Il collezionista aveva quindi fatto ricorso per Cassazione, rigettato con la sentenza del luglio scorso.

Le argomentazioni dei giudici sul caso Monet: le case d’aste e le esposizioni

La Commissione Tributaria di II grado aveva individuato diversi elementi rivelatori dell’“intento speculativo” del collezionista: il primo è l’intermediazione nella vendita di una nota casa d’aste, per il solo fatto che “le case d’asta svolg[o]no attività commerciale”. Tale argomentazione è fuorviante: al di là dei riflessi positivi per la tracciabilità, anche ai fini fiscali, delle vendite all’asta (si pensi che le somme di aggiudicazione sono pubbliche), la compravendita di opere di artisti come Monet non può che avvenire per il tramite di professionisti. Poi c’è l’esposizione dell’opera presso prestigiosi musei con finalità di valorizzazione, un’attività che sarebbe strumentale alla migliore valorizzazione dell’opera. Ciò risulta in contrasto con i tempi moderni e con i principi costituzionali di promozione del patrimonio storico e artistico del Paese: al di là del fatto che opere di autori come Monet non necessitano di una mostra per incrementarne la notorietà e il valore, accettare che il prestito di opere a musei per esposizioni e mostre possa costituire un indice rivelatore dell’intento speculativo del collezionista significherebbe scoraggiare i collezionisti privati ad aprire le loro collezioni al pubblico e limitare la circolazione e fruibilità di beni del patrimonio storico e artistico del Paese. Cosa che comporterebbe un danno in termini culturali per la collettività, in particolare se si considera che la maggior parte dell’arte contemporanea è oggi nella disponibilità di privati.

Le argomentazioni dei giudici sul caso Monet: detenzione e plusvalenza

Poi ci sarebbe il “breve” periodo di tempo di detenzione (7 anni): sebbene non esplicitato, dalle conclusioni della Commissione si può desumere che la detenzione di un’opera per sette anni non sia sufficiente per smarcare l’intento speculativo al momento della vendita. Anche questa conclusione lascia molti dubbi: non si spiega perché per i beni immobili è sufficiente la detenzione per cinque anni al fine di beneficiare dell’esenzione sull’imposizione delle plusvalenze generate dalla loro successiva vendita, mentre per i beni mobili (che dovrebbero circolare più facilmente di quelli immobili) non ne sono sufficienti sette. Quindi è stato addotto l’importo della plusvalenza generata dalla vendita dell’opera, oltre cinque milioni di euro. Questo ragionamento pare semplicemente inconsistente: più che un’argomentazione giuridica, essa sembra piuttosto espressione della volontà dell’Agenzia delle Entrate di cercare di individuare a tutti i costi elementi rivelatori di una capacità contributiva nei confronti del collezionismo anche se questa spesso manca.

La necessità di una riforma sulla tassazione dei collezionisti d’arte

Il problema che emerge dal caso Monet non è tanto l’imposizione o meno sulle plusvalenze conseguite dalla vendita di un’opera d’arte, bensì l’assenza di una norma basata su criteri oggettivi che individui in modo inequivocabile i casi di compravendita tra privati soggetti ad imposizione. La recente pronuncia rende, quindi, evidente come sia ormai necessario procedere all’attuazione della Legge delega per la riforma fiscale che prevede, appunto, una delega al legislatore affinché proceda con “l’introduzione di una disciplina sulle plusvalenze conseguite, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, dai collezionisti di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione nonché, in generale, di opere dell’ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative, escludendo i casi in cui è assente l’intento speculativo, compresi quelli di plusvalenza relativa a beni acquisiti per successione o donazione, nonché esonerando i medesimi da ogni forma dichiarativa di carattere patrimoniale”. È dunque auspicabile che, con l’attuazione di questa legge delega, il legislatore contemperi le esigenze di equità del sistema tributario con quelle di promozione e fruizione della cultura, possibilmente evitando i gravi errori commessi in passato nel tentativo di normare la materia.

Emanuele Sacchetto e Federico Ciravegna

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Emanuele Sacchetto

Emanuele Sacchetto

Emanuele Sacchetto è un avvocato specializzato in diritto dell’arte, media e della proprietà intellettuale e svolge attività di assistenza legale, stragiudiziale e giudiziale, in particolare per gallerie, collezionisti privati, musei, archivi e fondazioni. Collabora attualmente con lo studio internazionale Andersen…

Scopri di più