Dazi e arte: quando la bellezza incontra le barriere commerciali
In un mondo sempre più interconnesso, dove l’identità passa anche dalla condivisione culturale, i dazi sull’arte rischiano di diventare barriere non solo economiche, ma anche simboliche. E forse è il momento di ripensare a come rendere l’arte davvero libera di viaggiare

Nel dibattito globale sui dazi commerciali, raramente si pensa all’impatto che tali misure possono avere sull’arte. Eppure, anche il mondo dell’arte — fatto di opere, collezioni, mostre itineranti e mercati internazionali — non è immune dalle logiche protezionistiche. I dazi, infatti, non colpiscono soltanto beni industriali o agricoli, ma possono interessare anche quadri, sculture, oggetti d’antiquariato e design contemporaneo, trasformando opere d’arte in veri e propri “beni commerciali”.

I dazi e il mercato globale dell’arte
Il mercato globale dell’arte ha raggiunto nel 2023 un valore stimato di circa 68 miliardi di dollari, con Stati Uniti, Regno Unito e Cina che da soli rappresentano oltre il 70% delle transazioni mondiali. In questo contesto, anche piccoli aumenti nei costi di importazione o esportazione possono incidere pesantemente su gallerie, case d’asta e collezionisti.
Negli Stati Uniti, ad esempio, durante la guerra commerciale con la Cina, opere d’arte cinesi importate sono state soggette a dazi fino al 15%, con ripercussioni significative sulle vendite. Allo stesso modo, l’Unione Europea impone dazi variabili (fino al 5%) su opere provenienti da Paesi terzi, e richiede autorizzazioni specifiche per beni culturali con più di 50 anni, aggiungendo costi e burocrazia. Dall’altro lato, alcuni Paesi hanno scelto politiche di agevolazione. La Cina, per esempio, ha esentato da imposte doganali molte categorie di opere antiche riportate nel Paese, incentivando il rimpatrio del proprio patrimonio disperso.

Corridoi culturali per l’arte
Questo scenario solleva una domanda cruciale: l’arte dovrebbe essere considerata un bene come gli altri? Oppure meriterebbe una corsia preferenziale, in nome della sua funzione universale? Alcuni esperti propongono la creazione di “corridoi culturali” esenti da dazi, per favorire il dialogo tra le nazioni attraverso le arti visive, la storia e la creatività.
In un mondo sempre più interconnesso, dove l’identità passa anche dalla condivisione culturale, i dazi sull’arte rischiano di diventare barriere non solo economiche, ma anche simboliche. E forse è il momento di ripensare a come rendere l’arte davvero libera di viaggiare.

Il caso italiano: tra IVA e barriere fiscali
In Italia, il mercato dell’arte ha registrato una lenta ma costante ripresa dopo la flessione causata dalla pandemia. Secondostime recenti, nel 2023 il giro d’affari ha superato 1,8 miliardi di euro, segnando un incremento rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, il mercato resta ancora lontano dai volumi delle principali piazze internazionali, frenato anche da una struttura fiscale poco favorevole.
Uno degli ostacoli principali è l’IVA al 22% applicata alle vendite d’arte, tra le più alte in Europa. In confronto, la Francia applica un’aliquota ridotta del 5,5% per le transazioni artistiche, incentivando gli scambi e rendendo Parigi più attrattiva per collezionisti e operatori. A ciò si aggiunge la complessità burocratica legata all’esportazione di beni culturali e la presenza di dazi per l’importazione da paesi extra-UE, che possono incidere fino al 5% sul prezzo finale delle opere.
Queste barriere fiscali e normative contribuiscono a rendere meno competitivo il mercato italiano, nonostante la ricchezza artistica del Paese. In un sistema globalizzato, dove arte e capitali circolano rapidamente, diventa cruciale ripensare il quadro normativo per valorizzare il patrimonio nazionale senza penalizzare la sua circolazione.
Angelo Argento
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