Russia in coma
Nuovo capitolo per la “Vucciria” di Angela Madesani, una delle nostre editorialiste su Artribune Magazine. Questa volta l’attenzione è puntata su Alexander Brodsky e una sua opera che dice molto sull’ex Unione Societica all’alba della seconda dozzina d’anni del nuovo millennio. Quando Putin torna alla ribalta.
Pare che la società dello spettacolo stia tirando gli ultimi. Il mondo è in crisi, perlomeno quello occidentale. Basta lussi, basta esasperazioni. O almeno questo è quello che si respira nell’aria. La perfida logica dell’audience sarà finalmente confinata nel ripostiglio? Ce lo auguriamo. Ma ugualmente c’è poco da ridere. Siamo destinati a raccoglierci con le nostre amarezze e le nostre solitudini, a pensare al disastro generale. Economico, certo, ma anche ecologico, sociale, politico. Bisogna che se ne prenda atto. Sarebbe utile una pausa, magari rintanati nella propria “cittadella interiore”, per usare la definizione del filosofo Isaiah Berlin.
Mi pare che la grande opera di Alexander Brodsky, installata fino a fine febbraio alla Galleria Nina Lumer di Milano, sia un manifesto di tutto questo. Non è la prima volta che il grande Brodsky vede lontano. Architetto, formatosi nell’ex Unione Sovietica, negli anni ‘80 ha fatto parte del movimento Bumazhnaja Architektura, “Architettura di Carta”. Sono gli ultimi anni del governo Breznev e il gruppo di giovani architetti ha voglia di liberarsi delle autocelebrazioni di regime. Neppure a dirlo, se li sono tirati tutti contro. Però la Perestrojka sta per sbocciare e loro sono decisamente in sintonia con quanto sarebbe successo di lì a poco: ci vedono lontano. L’arte, quando è tale, arriva un attimo prima della storia. Negli anni ‘90, Brodsky dà vita a un’opera simbolo, Coma: si tratta di una città di argilla minacciata dal petrolio, e ancora una volta il russo colpisce nel segno.
Il centro della sua ricerca sin dall’inizio è il suo mondo interiore. Lui è un piccolo uomo simpatico dal profilo di uccello, che si è rifugiato in quella famosa casina di argilla, un po’ troppo fragile, oggi collocata al centro di una grande gabbia metallica. L’uomo ha sempre più bisogno di rintanarsi nel suo nido. Un nido poetico, con le luci calde alle finestre, sopra il quale pende una lampada fioca. Il mondo fuori è opprimente e la gabbia che tutela la fantomatica quanto illusoria “libertà” non è che una fredda e angosciante coercizione.
Angela Madesani
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati