L’arte, la vita, la politica. Il nuovo libro di Teresa Macrì
A fare da filo rosso, anzi da “paradigmi”, ci sono Francis Alÿs e Jeremy Deller. Ma la loro opera è allo stesso tempo uno spunto per disperdersi fra Guy Debord e Antonio Gramsci. Per una lettura dell’arte come praticata calata nel reale.
Politics/Poetics, il recente libro di Teresa Macrì pubblicato dalla Postmedia Books, sfida la recente tradizione critica. Vi si parla di “deriva psicogeografica”, di necessità dell’utopia, di “corpo comunitario dissidente”, di “sublime quotidiano”, di storie che escono dal mondo della simulazione per cercare prove d’esistenza reale e dunque prove di un “inconscio politico” collettivo.
La sfida consiste nel connettere arte e politica. Anzi, per essere più chiari: poetiche e politiche. E lo fa seguendo il tracciato di due artisti: Francis Alÿs e Jeremy Deller. Ma questi due artisti fungono da ricettori o da connettori (da “paradigmi” secondo l’autrice): perché i loro nomi, benché individualità artistiche, appunto, tuttavia collettivizzano la loro esperienza. Sono nomi collettivi. Forzando un po’ le cose, si potrebbe dire che questi artisti sono dei vuoti attivi o dispositivi. Sono la voce e il corpo di una visionarietà plurale che dai suoni alle immagini toccano il corpo collettivo del sociale nella sua polimorfa configurazione: Phil Collins e Vito Acconci, Alejandro Gonzales Inarritu e Santiago Sierra, Mike Kelley, Gramsci e Debord… Un tempo dell’arte stratificato e nello stesso tempo libero di coniugare tempi e luoghi apparentemente lontani fra loro, come in un collage dadaista. Forse sta in questo senso l’utilizzo della parola “paradigmi” da parte di Teresa Macrì. Si tratta di uscire dalla rigida classificazione che separa l’arte dalla vita e l’arte, a sua volta, dalle altre esperienza visionarie.
Perché in questi artisti è significativo il fatto che, pur partendo dalla finzione (ogni artista non può farne a meno), approdano al reale, anzi provocano un reale (in parte rimosso in parte da ridefinire).
Alÿs lo fa attraverso performance podistiche ed epiche che coinvolgono intere comunità; Deller ricostruendo i vuoti della memoria storica e collettiva generati dal potere. Il primo fa appello al paradosso di ascendenza surrealista, il secondo attraverso la pratica della collisione fra generi, esperienze, saperi. Ma in entrambi gli artisti la posta in gioco è la pratica del détournement teorizzato da Guy Debord. E non solo. Entrambi si servono della forza simbolica e rituale collettiva per scardinare la separazione fra arte e vita. E non è un caso che i riferimenti teorici qui sono, oltre a Debord già citato, Rancière, de Certeau, Deleuze, Foucault, ma anche Gramsci. Perché la nozione di “egemonia” ci viene proprio da lui. E, oggi, questo concetto è uno dei perni su cui ruotano gran parte delle ridefinizioni culturali, politiche ed estetiche del presente.
Mentre per quanto concerne lo scenario artistico, un’importante finestra è quella relativa al rapporto fra questi artisti (ma sarebbe il caso di dire questi “paradigmi”) e l’esperienza degli happening degli Anni Sessanta, Kaprow in testa. Qui il libro della Macrì fornisce un interessante punto di confronto circa i rapporti fra arte e vita di queste due esperienze che, benché storicamente lontane, tuttavia si pongono sullo stesso versante estetico-politico.
Un libro contro l’egemonia culturale del sistema dell’arte? Non direttamente.
Certo questi artisti fanno a meno dei luoghi istituzionali dell’arte. È in questa deliberata assenza dei luoghi deputati all’arte che il poetico e il politico si scambiano le parti.
Perché fuori da questi luoghi consacrati sfuggono le linee di separazione fra l’arte e la vita. L’esperienza dell’arte alla luce di questa congiunzione (arte/politica) diventa la rottura di uno specchio: l’autoreferenzialità. Questo specchio è la superficie estetica che ha incorniciato gran parte delle esperienze artistiche che hanno celebrato soltanto la figura dell’artista.
Questo libro per certi aspetti traccia un sentiero significativo nella direzione di un’appropriazione collettiva dello spazio o di una “riterritorializzazione” estetica dei luoghi.
È in questo scenario che l’espressione “sublime quotidiano” per Teresa Macrì acquista tutta la forza di uno scarto concettuale che separa l’esperienza reale dalla sua concreta sperimentazione: si tratta di provocare un reale che scaturisce tra un modo di presentazione sensibile (le performance che coinvolgono collettività di Alys e di Deller in questo caso) e un regime d’interpretazione dei dati da cui queste esperienze estetiche muovono, che sono sempre esperienze sociali. L’utopia – via Ernst Bloch – narrata dalla Macrì consiste appunto in questo: creare non una rappresentazione della vita, ma costruire direttamente un’esperienza di vita. L’arte così diventa un cortocircuito semiotico ed estetico che mette in gioco il dominio totalizzante del capitalismo attraverso la separazione delle esperienze di vita che trovano unità solo nel consumismo e nell’alienazione.
La sfida è questa: non ci sarebbe un mondo fuori dell’arte. Ma l’arte è già e sempre nel mondo.
Non c’è un mondo “reale” fuori dell’arte, perché non c’è un reale in sé se non nella nostra rappresentazione del mondo. Il reale è sempre l’oggetto di una finzione. E sia Alÿs che Deller affrontano questa sfida fino in fondo. La Macrì citando Hannah Arendt osserva che “la politica nasce tra gli uomini”, quel “tra” è decisivo. È tutto. Ugualmente l’arte nasce tra le sensibilità. La separazione tra arte e vita è un artificio, un costrutto sociale.
Questo libro però pone un’altra questione: è possibile un’arte critica? In altre parole: è possibile un’arte della separazione? Separazione da cosa? Dal consenso. Per certi aspetti, leggendo questo libro è come se venisse formulata una specie di “educazione estetica” per diffrazione, per contrasto, per sviamento, o al negativo. E dal momento che la miseria non si può estetizzare, pena la sua caduta nel banale, si tratta allora di coniugare l’esperienza estetica con quella della vita, le quali sono separate solo per finzione storico-sociale. Insomma, il libro di Teresa Macrì pone la necessità rinnovata di un’arte legata alla vita, come un patchwork. E dove si aprono passaggi verso nuove forme di soggettivizzazione che coniugano estetica e politica.
Marcello Faletra
Teresa Macrì – Politics/Poetics
Postmedia books, Milano 2014
Pagg. 208, € 21
ISBN 9788874901104
www.postmediabooks.it
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