Overground (IV). A passeggio sul confine
Stare nei ranghi, essere nostalgici verso un passato concluso, non criticare e non discutere. E se invece uno degli antidoti alle piccole e grandi ingiustizie quotidiane fosse intraprendere una lunga passeggiata sul confine, guardando, con lucidità, da una parte e dall’altra?
“No particular place names
No particular song
I’ve been hiding
What am I hiding from?”
U2, Zooropa (1993)
Tutti in fila, ordinati come soldatini – a farsi la guerra e a sgomitare – a mettersi in luce: “Sono io il più affidabile!”, “Sono io il più efficiente!”, “Sono io il più ubbidiente!” – “Non vi farò sorprese, non darò in escandescenze, non farò nulla che possa mettervi in imbarazzo. E, di certo, non discuterò le condizioni: è compito mio forse? E che cosa ci guadagnerei, in ogni caso? È colpa mia se è andato tutto a rotoli? Il massimo che possa fare è: mettermi in fila, non fiatare, percorrere la carriera. Ma è davvero questo il senso di “percorso?”. “Boh, chi se ne frega… Non mi scocciate con le vostre idee infantili e irresponsabili – l’arte, la rivoluzione, il cambiamento, la salvezza… E poi, che vuol dire, io sono sempre stato a favore della cultura e del patrimonio artistico italiani: siamo “i migliori” in questo, le “eccellenze” creative, i più bravi e brillanti – o no? non è così? – tanto è vero che direttori di orchestra e di museo li esportiamo ovunque… Basta, tutte le critiche a questo sistema, sono di invidiosetti e falliti, spiantati che non hanno diritto di parola, che non possono intervenire, né tantomeno elaborare un discorso compiuto…”. Quale discorso? Eh?
Energia residua: lo scarto prodotto da un impulso, da un progetto, da una relazione, da un’opera, da un nucleo creativo – e poi questo scarto serve a generare una nuova linea, una nuova idea da sviluppare e accrescere, in modo che tutto funzioni in maniera organica e per accumulazione. Strati su strati, frammenti accanto a frammenti – i materiali di scarto divengono materiali da costruzione, perché lo erano fin dall’inizio, e lo sono sempre stati.
***
Non siamo nel territorio della retorica berniniana, un barocco mainstream così adatto ai tempi attuali nella sua attitudine spettacolare e superficiale, ma ci troviamo catturati in un dominio più sottile, spettralmente sottile, in cui valgono regole precise e ineffabili che quasi mai – tranne che in momenti fondamentali – sono state applicate sul suolo italiano. Con queste regole la peculiare “invisibilità” di Borromini (il fatto per esempio che gli spazi creati dal geniale artista siano sistematicamente sottratti) è del tutto coerente.
Gemito – strepito – macellaio.
L’idea del “fuori”. Star dentro non costa nulla – un buffet pagato dagli sponsor – stai al caldo, ben riparato – non ti scontri. Stai al coperto. Rifiuti categoricamente l’idea del conflitto: un intero periodo che fa finta di non vedere il contrasto e la contraddizione attorno a sé, al suo interno. Fare meglio. Fare in modo di conservare qualcosa: siamo arrivati al punto che un professore sessantenne può dire bene della nostalgia come forza “riattivatrice”; non percepire l’altro al proprio esterno – e dire queste cose davanti a studentesse ventenni. Ricordi e racconti (lacerti) generazionali imputriditi, ammuffiti; memorie sconnesse; storie collettive come case abbandonate. (In riva al fiume, nelle sere d’estate… Looking for the Baby Jesus under the trash…)
Luci sgargianti, e lampioni stradali che sembrano invece prelevati di peso da una serie tv sul degrado urbano; “acchiappaporci” verghiani dappertutto, che fanno pagare le multe a chi proprio non se le merita; piccole ingiustizie assortite; un povero guardiano delle docce di origini siciliane, senza un dito, che ha elaborato nei decenni della sua vita difficoltosa nella metropoli del Nord una visione completa e dignitosa di come va la società.
Gemiti: Taranto intrappolata nella storia dell’industria italiana e nel suo racconto terminale, l’anziano libraio fin troppo consapevole delle colpe – e dei destini – dei suoi concittadini; una passeggiata da un quartiere all’altro di Torino – dal centro benestante ed europeo alla zona di confine assordante e meticcia. Odore di macelleria e spezie. Mercati con il tetto di ghisa costruiti nel 1906; tettoie; fiori sparsi, alcuni veri altri finti; bancarelle del mercato ripiegate a fisarmonica, come piccole astronavi in disuso.
Germogli; frattaglie; frutta spappolata e marcescente; umili allucinazioni; grafiche scadenti e coloratissime, stampate su enormi pannelli in pvc (verde acido giallo fosforescente arancione); lingue straniere e pensieri semoventi. Giunture. Coccole. La linea del tram tutta dritta punta a un orizzonte che non arriva mai.
Passeggiando sul confine, si imparano un sacco di cose sul posto invisibile e inavvicinabile che chiamiamo casa. Let’s go to the overground.
Christian Caliandro
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