Overground (IV). A passeggio sul confine

Stare nei ranghi, essere nostalgici verso un passato concluso, non criticare e non discutere. E se invece uno degli antidoti alle piccole e grandi ingiustizie quotidiane fosse intraprendere una lunga passeggiata sul confine, guardando, con lucidità, da una parte e dall’altra?

“No particular place names
No particular song
I’ve been hiding
What am I hiding from?”
U2, Zooropa (1993)

Tutti in fila, ordinati come soldatini – a farsi la guerra e a sgomitare – a mettersi in luce: “Sono io il più affidabile!”, “Sono io il più efficiente!”, “Sono io il più ubbidiente!” – “Non vi farò sorprese, non darò in escandescenze, non farò nulla che possa mettervi in imbarazzo. E, di certo, non discuterò le condizioni: è compito mio forse? E che cosa ci guadagnerei, in ogni caso? È colpa mia se è andato tutto a rotoli? Il massimo che possa fare è: mettermi in fila, non fiatare, percorrere la carriera. Ma è davvero questo il senso di “percorso?”. “Boh, chi se ne frega… Non mi scocciate con le vostre idee infantili e irresponsabili – l’arte, la rivoluzione, il cambiamento, la salvezza… E poi, che vuol dire, io sono sempre stato a favore della cultura e del patrimonio artistico italiani: siamo “i migliori” in questo, le “eccellenze” creative, i più bravi e brillanti – o no? non è così? – tanto è vero che direttori di orchestra e di museo li esportiamo ovunque… Basta, tutte le critiche a questo sistema, sono di invidiosetti e falliti, spiantati che non hanno diritto di parola, che non possono intervenire, né tantomeno elaborare un discorso compiuto…”. Quale discorso? Eh?

Pamela Diamante, Nel vuoto non c'è propagazione di suono ma silenzio assoluto, 2016 - courtesy l'artista e Galleria Rossmut, Roma

Pamela Diamante, Nel vuoto non c’è propagazione di suono ma silenzio assoluto, 2016 – courtesy l’artista e Galleria Rossmut, Roma

Energia residua: lo scarto prodotto da un impulso, da un progetto, da una relazione, da un’opera, da un nucleo creativo – e poi questo scarto serve a generare una nuova linea, una nuova idea da sviluppare e accrescere, in modo che tutto funzioni in maniera organica e per accumulazione. Strati su strati, frammenti accanto a frammenti – i materiali di scarto divengono materiali da costruzione, perché lo erano fin dall’inizio, e lo sono sempre stati.

***

Non siamo nel territorio della retorica berniniana, un barocco mainstream così adatto ai tempi attuali nella sua attitudine spettacolare e superficiale, ma ci troviamo catturati in un dominio più sottile, spettralmente sottile, in cui valgono regole precise e ineffabili che quasi mai – tranne che in momenti fondamentali – sono state applicate sul suolo italiano. Con queste regole la peculiare “invisibilità” di Borromini (il fatto per esempio che gli spazi creati dal geniale artista siano sistematicamente sottratti) è del tutto coerente.

Passeggiata in Corso Giulio Cesare, dal centro a Barriera di Milano, Torino - photo Alessandro Bulgini

Passeggiata in Corso Giulio Cesare, dal centro a Barriera di Milano, Torino – photo Alessandro Bulgini

Gemito – strepito – macellaio.

L’idea del “fuori”. Star dentro non costa nulla – un buffet pagato dagli sponsor – stai al caldo, ben riparato – non ti scontri. Stai al coperto. Rifiuti categoricamente l’idea del conflitto: un intero periodo che fa finta di non vedere il contrasto e la contraddizione attorno a sé, al suo interno. Fare meglio. Fare in modo di conservare qualcosa: siamo arrivati al punto che un professore sessantenne può dire bene della nostalgia come forza “riattivatrice”; non percepire l’altro al proprio esterno – e dire queste cose davanti a studentesse ventenni. Ricordi e racconti (lacerti) generazionali imputriditi, ammuffiti; memorie sconnesse; storie collettive come case abbandonate. (In riva al fiume, nelle sere d’estate… Looking for the Baby Jesus under the trash…)

Luci sgargianti, e lampioni stradali che sembrano invece prelevati di peso da una serie tv sul degrado urbano; “acchiappaporci” verghiani dappertutto, che fanno pagare le multe a chi proprio non se le merita; piccole ingiustizie assortite; un povero guardiano delle docce di origini siciliane, senza un dito, che ha elaborato nei decenni della sua vita difficoltosa nella metropoli del Nord una visione completa e dignitosa di come va la società.

Gemiti: Taranto intrappolata nella storia dell’industria italiana e nel suo racconto terminale, l’anziano libraio fin troppo consapevole delle colpe – e dei destini – dei suoi concittadini; una passeggiata da un quartiere all’altro di Torino – dal centro benestante ed europeo alla zona di confine assordante e meticcia. Odore di macelleria e spezie. Mercati con il tetto di ghisa costruiti nel 1906; tettoie; fiori sparsi, alcuni veri altri finti; bancarelle del mercato ripiegate a fisarmonica, come piccole astronavi in disuso.

Germogli; frattaglie; frutta spappolata e marcescente; umili allucinazioni; grafiche scadenti e coloratissime, stampate su enormi pannelli in pvc (verde acido giallo fosforescente arancione); lingue straniere e pensieri semoventi. Giunture. Coccole. La linea del tram tutta dritta punta a un orizzonte che non arriva mai.

Passeggiando sul confine, si imparano un sacco di cose sul posto invisibile e inavvicinabile che chiamiamo casa. Let’s go to the overground.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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