Record per Donald Trump. 107 milioni di dollari donati da vip, aziende e ricconi dell’art system
Collezionisti, imprenditori, finanziatori di musei: c’è anche una fetta del mondo dell’arte internazionale tra i sostenitori di Donald Trump. Ed è record di raccolta fondi per il suo Inauguration Day.
È il motivo principale per cui il finanziamento pubblico ai partiti è cosa da difendere e non da demonizzare. L’accesso alla politica non è appannaggio dei ricchi ed è alla collettività – certo in presenza di meccanismi trasparenti – che spetta finanziare la gestione della cosa pubblica. Annosa questione, che vede contrapposti ad esempio il modello italiano e quello americano. La politica made in USA vive all’ennesima potenza questa contraddizione, mentre l’Italia, in pieno fervore populista, cavalca spesso la retorica dei tagli, rispondendo al cancro degli abusi dei partiti con la rinuncia a un principio superiore: l’indipendenza dell’azione politica e il suo sostegno da parte della comunità. Lobby e imprenditori? Dovrebbero limitarsi a un ruolo di contorno. A scanso di ricatti post elettorali.
Ma anche oltreoceano le polemiche non mancano. È appena stata divulgata una relazione di 500 pagine, presentata lo scorso 18 aprile alla Commissione Federale per le Elezioni, in cui sono elencate decine e decine di mecenati, che avrebbero fatto consistenti regali a Donal Trump in occasione del suo Inauguration Day.
FIUMI DI DOLLARI PER IL PRESIDENTE. ANCHE DALL’ART WORLD
Dunque, mentre artisti, musicisti, attori e registi – americani e non – imbastiscono proteste contro il neopresidente, per via del suo orientamento razzista, populista, conservatore e nazionalista, il gotha dell’arte che muove i capitali sta con Trump. E lo copre di doni.
Tra i più zelanti ci sono il collezionista e speculatore finanziario Steven Cohen, noto per aver acquistato nel 2006 Woman III (1952-53) di Willem De Kooning, per ‘soli’ 137,5 milioni di dollari. Al Presidente ha dato un piccolo presente, pari a un milione di dollari. O ancora c’è Hushang Ansary, ex ambasciatore iraniano negli Stati Uniti, colui che ha ampiamente contribuito a finanziare la raccolta d’arte islamica dello Houston Museum of Fine Arts: il suo obolo è equivalente a 2 milioni di dollari. Oppure Henry Kravis, marito della presidente del MoMA di New York, Marie-Josée: anche lui ha donato 1 milione.
E sono solo alcuni casi. Nulla di nuovo, in linea generale, dal momento che la pratica del fundraising da parte dei candidati alla presidenza USA è prassi antica. Nel corso della campagna e in occasione dei giorni di festa per l’insediamento. Ed è nota l’altissima partecipazione di gente che arriva dal mondo della cultura e dello spettacolo, tra vip, celebrities, produttori.
IL RECORD DI TRUMP
Ma – in virtù delle problematiche di cui dicevamo – si è sempre cercato di mettere un tetto. Vediamo qualche dato. Nel 2001 George W. Bush aveva accettato doni fino a $ 100.000 per ogni supporter e fino a $ 250.000 nel 2005; Barack Obama, nel 2009, aveva fissato il limite a $ 50.000, rifiutando coraggiosamente donazioni di lobbisti e aziende; nel 2013 l’asticella si alzò a $ 250.000 per i regali individuali e a $ 1 milione per i contributi di ogni azienda. La realpolitik vinse sull’ideale.
Quanto a Trump, il limite dichiarato di 1 milione di dollari è magicamente sfumato. E alla fine il bottino è stato di ben 107 milioni. Record assoluto, secondo solo ai 53 milioni racimolati da Obama nel 2009, con tutta la sua linea rigorista. A chi l’”onore” di aver sborsato la cifra più alta? Secondo il New York Times si tratta del magnate Sheldon Gary Adelson – nel 2008 il terzo uomo più ricco del mondo, dopo Bill Gates e Warren Buffett -, che avrebbe offerto 5 milioni di dollari.
Come ha speso Donald Trump questi soldi? In teoria per i tanti eventi connessi al suo insediamento. In pratica non è tenuto a rivelarlo. Ma il suo comitato ha voluto rassicurare l’opinione pubblica: tutto quel che è arrivato dopo l’Inauguration Day è andato in beneficenza. Sulla fiducia, naturalmente.
– Helga Marsala
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