Tutti i dubbi sulla nuova normativa di Roma per i pittori di strada. Così si fa cultura in città
L’avevano detto e l’hanno fatto. La nuova legge che disciplina la presenza di pittori di strada e caricaturisti è realtà. Una realtà piena di ingenuità, che fa a pugni con il grande vuoto di questa giunta sul piano della cultura e della ricerca contemporanea.
Alla fine è passata. Contro ogni senso del ridicolo. La proposta che lo scorso 9 marzo il consigliere grillino Andrea Coia presentava con orgoglio, è stata approvata dall’Aula Giulio Cesare: i pittori di strada avranno il loro regolamento, i loro luoghi dove operare, i loro obblighi, perfino il loro concorso per essere nominati. È una consiliatura, questa della Capitale, che approva pochissimi provvedimenti, ma quei pochi sono quasi tutti imbarazzanti. Non eravamo stati morbidi allora; non lo saremo tanto più adesso che questa bizzarra strategia per favorire l’arte tra le piazze e i municipi di Roma non è più una clamorosa ingenuità raccontata in un’aula consiliare ma è legge della città applicabile da tutti i territori.
Stiamo parlando della nuova normativa “che disciplina le attività di pittore, ritrattista, caricaturista e altre attività nel campo delle arti figurative su area pubblica a Roma”.
Nulla che risolva in modo rigoroso il fenomeno dei tanti abusivi e dilettanti sparsi tra piazze e scorci storici, a volte in modo del tutto invasivo (i casi più eclatanti restano quelli di Piazza Navona e di Trinità de’ Monti). Anzi. L’intento è quello di favorirne la proliferazione: più gente, distribuita in lungo e in largo, che metta in fila caricature, acquerellini, ritratti accademici, paesaggi e altre amenità, per rivenderle a passanti e turisti. Un modo, sottolineano dal Campidoglio, per combattere chi si limita a fare commercio con stampe di infimo livello, anziché dipingere e disegnare. Quasi che fosse quello il problema: smascherare gli spacciatori di fake e distinguerli da chi, invece, fa arte per davvero. Ma quale arte? Di che parliamo?
UN ESAME PER ASSEGNARE SPAZI AGLI ARTISTI. E ALLORA GLI ARTIGIANI?
A ricevere la concessione per l’occupazione di suolo pubblico saranno coloro che l’amministrazione avrà selezionato. Con un bando. Solo i migliori, e solo gli autori (non i meri venditori, ma tranquilli: non controlla nessuno), potranno allestire i loro banchetti dinanzi ai monumenti, tra le vie del centro e anche in tutti i quartieri, là dove i Municipi stessi avranno individuato le location idonee. Non si capisce lontanamente la logica: per quale motivo chi produce schizzi, acquarelli e disegni a grafite può vendere la propria merce sul marciapiede o in piazza (magari pagando poco o più probabilmente niente per l’occupazione di suolo pubblico), mentre invece chi produce borse di pelle, gioielli di metallo, preziosi di bigiotteria, no? E perché, ad esempio, il bando si estende ai pittori e non ai fotografi? Loro non possono vendere il loro lavoro “creativo”? Se sei un fotografo devi affittarti un negozio per vendere le tue stampe e se sei un pittore puoi usare il suolo di tutti? E se sei un maker? E se scrivi poesie? E se produci sciarpe o braccialetti fatti a mano? È evidente che la disciplina deriva da una visione ottocentesca dell’arte, da un’idea romantica (ma nel 2017 ridicola) dell’artista-pittore con il suo cavalletto, la sua tavolozza, in attesa dell’ispirazione col pennello in mano. Patetico.
Dunque giù a cercar di capire come valutare questi novelli van Gogh, bramosi di piazzarsi in mezzo alla pubblica via. Perché, come è noto, è pieno di validi artisti che invece di cercarsi ottime gallerie, partecipare a mostre internazionali, accaparrarsi il migliori collezionisti e andare a fare residenze in giro per il mondo, ambiscono a pittare in a Piazza Navona. D’altro canto il MoMA e il Pompidou acquisiscono ogni anno opere di artisti che hanno questo percorso di carriera.
E badate, non si tratterà di una mera valutazione basata su titoli e curriculum: come i romani hanno avuto modo di imparare per l’amministrazione a Cinque Stelle, il curriculum vale poco, pochissimo. Oltre alle mostre fatte e ai tanti anni di servizio su strada, conterà il fatidico e già annunciato esame. Una commissione ad hoc farà un provino ai candidati ed esaminerà disegni e dipinti. Una specie di talent per stabilire (con quali criteri?) il livello di artisticità dei lavori e il talento dei concorrenti. Da chi sarà composta la giuria? Non è chiaro, ma si suppone saranno funzionari o consiglieri: il che aggiunge comicità a tutta l’operazione.
LA PITTURA, QUELLA VERA
Secondo la grillina Eleonora Guadagno, Capo della Commissione Cultura, si tratta di “un regolamento che premia i veri pittori” e che consente “di animare le strade di tutta Roma creando nuove opportunità per promuovere la vita culturale ed artistica della città”. Difficile dire quanto appaia goffa la definizione di “pittori veri”, con quell’aggettivo che mortifica qualunque discorso serio sull’arte e l’estetica contemporanea (esistono gli artisti con molto o poco talento, e la questione s’attorciglia tra mille variabili complesse non cancellabili dallo zelo di una commissione comunale; quanto al concetto di verità in pittura lasciamolo a Heidegger o Derrida).
Ancor più sorprendente è che la verità supposta venga associata a persone volenterose, magari con una bella mano, ma che restano prive di formazione adeguata, di cognizione critica, di uno sguardo internazionale, di una gittata concettuale e di una professionalità maturata fra ricerche attuali, incisive. Artisti? Nel 90% dei casi artieri o, nella migliore delle ipotesi, artigiani del disegno e del colore. Concorrenza sleale, come dicevamo, sopra agli altri artigiani: allora apriamo a tutti.
Peraltro la totale impalpabilità dei controlli farà sì che chi andrà a sostenere l’esame sarà persona diversa rispetto a quella che sarà al banchetto a vendere. Ma questo è un problema contingente, mentre la faccenda andava risolta a monte: contenendo un fenomeno che è totalmente fuori luogo e limitandolo a pochissime postazioni.
E invece la consigliera ci segnala che “dobbiamo abituarci a guardare Roma in tutta la sua complessità e ricchezza; come un grande Museo diffuso”. Tocca abituarsi, perché non ce n’eravamo accorti: non bastava la straordinaria selva (anche se purtroppo cadente, e di questo dovrebbe occuparsi la Guadagno) di siti archeologici, di beni culturali e monumentali, di eccellenze architettoniche, per elaborare il concetto di museo diffuso. Serviva questo esercito di artisti di strada per farci balenare una consapevolezza nuova.
ARTE PUBBLICA? MACCHÉ. CI PENSANO I PITTORI DI STRADA
E quanto risulta malinconica una rappresentazione delle istituzioni che scambia per progetto culturale una operazione di questa mediocrità? Buona solo per raccogliere consenso tra la gente (chi non vorrebbe riconosciuti i propri acquerelli come capolavori? Chi non prova simpatia per l’artista incompreso che ha scelto la libertà della strada contro le grinfie del sistema cinico e opaco?). E buona per generare ulteriore confusione. Rumore di fondo. Equivoci. Con l’Istituzione che anziché sostenere, innovare, lanciare o rafforzare centri per le arti contemporanee, musei, fondazioni, accademie, collezioni, spazi non profit, spazi di formazione o di produzione artistica, conferisce ruolo intellettuale ai caricaturisti di strada, tra cavalletti romantici e mitologie ottocentesche. Nella convinzione che tutto questo dia “l’opportunità di contribuire alla ricucitura dello strappo culturale che insiste tra periferia e centro storico e alla costruzione di una rete culturale”. Pare di sognare.
Altro che avallare importanti progetti d’arte pubblica (magari grazie al sostegno di mecenati e sponsor), sostenere festival di livello internazionale, supportare i giovani talentuosi, potenziare la rete tra musei, gallerie, associazioni. E altro che attivare percorsi di riflessione con artisti, studiosi, architetti, urbanisti e visionari, capaci di interloquire con l’amministrazione stessa e di mettere a fuoco i bisogni delle comunità locali. Il problema dello strappo fra il centro e i territori, e quello dei nuovi network culturali, lo risolvi così. Improvvisando prove d’artista e dislocando per tutta la città le postazioni di chi disegna in piazza.
Persino L’Assessore Luca Bergamo, uno che le dinamiche dell’arte contemporanea le conosce e sa benissimo quanto siano fuori luogo le prese di posizione dei suoi compagni di maggioranza, non ha mancato di sottolineare quanto i pittori di strada rappresentino una “diffusione di attività culturali, che vuol dire controllo sociale”. E vabé.
“Il bando servirà per individuare i veri artisti” insiste poi Marcello De Vito, presidente dell’Assemblea Capitolina, “scelti per la reale capacità di dipingere”. Scegliere? Ma chi? E che significa “reale capacità”? Chiunque si occupi professionalmente di arte ha i brividi su per la schiena: nessun politico di primo piano di nessun’altra grande città occidentale si potrebbe permettere tali affermazioni vuote.
E pensare che si sarebbe potuta approvare la norma senza farla seguire da una simile narrazione ingenua e dalla solita liturgia di tweet, post e note stampa, zeppi delle solite sciocchezze. E dunque la caricatura, ancora una volta, invece che i “pittori” l’hanno fatta i politici.
– Helga Marsala
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