Non tutto è cultura. L’editoriale di Stefano Monti
La cultura è una risorsa ineguagliabile, eppure spesso viene strumentalizzata per operazioni che con essa hanno davvero poco in comune. Qualche riflessione su un confine sottile.
Parliamoci chiaro. La cultura è effettivamente una grande opportunità e, in determinate condizioni, la più grande opportunità del nostro tempo. Oggi tutto è cultura: dalla smart innovation fino alle industrie tradizionali (che ricorrono sempre più frequentemente all’industria dei contenuti per avere un valore aggiunto). Ma non tutto ciò che va sotto il nome della cultura è veramente “meritorio”.
Se dimentichiamo per un attimo le conseguenze economiche e monetarie del termine “meritorio” (che si richiama a quella dottrina secondo la quale ciò che è “meritorio” deve anche essere finanziato dai conti pubblici), il cardine del concetto è quello di analizzare i benefici sociali di un determinato bene (prodotto o servizio).
La cultura ha degli enormi impatti sulla vita individuale, economica e sociale di un territorio. Ed è per questo che le manifestazioni della cultura vanno valorizzate. Ma da qualche tempo a questa parte la Cultura è anche diventata un escamotage per qualsiasi tipologia di intervento, anche quelli che non hanno dei reali impatti sociali.
OLTRE LA CULTURA
Sotto l’egida della cultura vengono finanziati istituti di credito, vengono realizzati investimenti infrastrutturali ecc. che non sono destinati a creare un reale impatto sociale. Un esempio tra tutti? Il fondo di investimenti immobiliari di Cassa Depositi e Prestiti. Si legge su Milano Finanza che CDP sgr (società di gestione del risparmio) ha investito 92 milioni di euro nel turismo. Davvero? Nello stesso articolo si legge che “secondo il piano industriale di CDP, il Fondo per il Turismo ha lo scopo di investire in fondi immobiliari specializzati nei diversi comparti dell’infrastruttura turistica italiana“.
Vale a dire: un fondo che investe denaro (pubblico) in infrastrutture quali: real-estate, mobilità, alberghi. A ben vedere questo è un fondo di investimento con una specializzazione nel comparto delle infrastrutture.
Questi fondi sono importantissimi, ma perché definirlo uno strumento attraverso il quale si finanzia il turismo?
LA SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO
Questo tema non ha implicazioni semplicemente economiche ma anche etiche.
La reale domanda è: fino a dove siamo disposti a spingerci, cosa ci sentiamo di poter “ammettere” in nome della cultura?
Prendiamo il caso Franceschini e il pasticciaccio brutto delle nomine dei direttori: in nome della cultura siamo disposti ad accettare che una nomina che è stata dichiarata inaccettabile possa essere ribadita attraverso la redazione di una legge, fatta dopo, che modifica la legge precedente?
O, caso diverso, siamo pronti a considerare legittime le proteste che furono attivate per evitare che nel quartiere Isola di Milano sorgesse il progetto di riqualificazione di Porta Garibaldi (oggi Piazza Gae Aulenti)?
Ancora, siamo disposti ad accettare che la soprintendenza blocchi una mostra per “verifiche in corso delle autorizzazioni edilizie da parte dei competenti organi amministrativi” in uno stabile che prima di essere riqualificato (Made in Cloister, Napoli) era usato come parcheggio?
Fino a che punto la parola “cultura” può provocare la nostra sospensione del giudizio?
– Stefano Monti
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