Lo scempio e la condanna
La cronaca è zeppa di individui che imbrattano e talvolta distruggono monumenti. E allora ci si sdegna, si chiedono pene più severe, ma le leggi ci sono, basta applicarle inflessibilmente.
Alla fine di luglio la bicroma facciata romanica della collegiata d’Empoli è stata sfregiata da scritte nere, vergate con bombolette spray. Un restauratore, convocato tempestivamente, ha subito constatato la difficoltà dell’intervento per via della porosità della materia. Il vandalo, ch’è stato presto rintracciato e ch’è un uomo di 42 anni, s’è giustificato col dire che la sua era stata una “ragazzata fatta in un momento di difficoltà”. Invero quella “ragazzata” è un crimine. Ma vien da chiedersi quanti siano oggi quelli che davvero lo considerino tale. Ci si sdegna, è ovvio; ma non c’è la coscienza della ferita inferta, non dirò al patrimonio (ch’è parola a tal segno abusata da lasciare ormai indifferenti i più) ma alla nostra stessa vita, giacché proprio della nostra vita si tratta; come se qualcosa di nobile e d’amabile del passato d’ognuno di noi fosse stato stuprato.
“Ci si sdegna, è ovvio; ma non c’è la coscienza della ferita inferta, non dirò al patrimonio (ch’è parola a tal segno abusata da lasciare ormai indifferenti i più) ma alla nostra stessa vita”.
Per anni ho sperimentata l’indifferenza della gente (milioni di persone, dico) al cospetto di graffiti e frasi insulse che imbrattavano la pietra serena degli Uffizi e i pilastri del Corridoio vasariano sul lungarno. Dopo avere (senza speranza) disposti il restauro della pietra e l’imbiancatura dei pilastri, feci sistemare tabelle metalliche coll’avvertimento che scrivere sui muri d’edifici storici comporta la pena della reclusione, da tre mesi a un anno e mezzo (oltre a una sanzione pecuniaria). Non pensavo certo di dissuadere i cretini dall’imbratto (sarebbe stata fatica vana). Intendevo, piuttosto, informare della rilevanza penale di quegli oltraggi alla nostra storia i tanti che, passando di lì, quasi neppure più s’avvedono d’uno scempio ch’è divenuto usuale. E anche quando n’avvertano il danno, lo misurano col danaro, come la cultura mercantile odierna insegna; mai che si pensi alle nefaste ricadute sull’eredità che lasceremo alle generazioni future e sulla stessa educazione dei giovani.
“Sta proprio qui la ragione per cui in Italia riesce difficile debellare molti reati: non mancano le leggi (anzi); manca appunto la certezza d’esser presi e condannati”.
Quando un’architettura pregiata per storia e arte, come la collegiata d’Empoli, patisce di queste violenze brutali, il primo pensiero che viene, a chi voglia scongiurarle, riguarda l’inasprimento della pena; quasi che una pena aumentata avesse una forza deterrente. Si sa invece che a dissuadere i delinquenti non è l’entità, ma la certezza della pena. Sta proprio qui la ragione per cui in Italia riesce difficile debellare molti reati: non mancano le leggi (anzi); manca appunto la certezza d’esser presi e condannati. A Empoli il responsabile è stato individuato quasi subito; ed è un bell’esempio di prontezza. Resta da vedere cosa accadrà ora, per capire se la vicenda potrà avere un valore esemplare. Lo Stato si convinca che della “valorizzazione” ha più bisogno il territorio che i grandi musei: una “valorizzazione” che sia capace di far crescere la coscienza storica dei cittadini. Non si tratta di cavar più danaro possibile dai nostri beni; si tratta di restituire “valore” culturale a beni che nel tempo l’abbiano perduto e di renderne partecipi soprattutto i nativi.
‒ Antonio Natali
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #6
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