Immobili pubblici e alienazioni. L’editoriale di Stefano Monti
La vendita di immobili da parte di imprese a partecipazione pubblica è un tema delicato e molto attuale. Quali sono le strategie da adottare nel rispetto del bene comune?
Quando un’impresa a partecipazione pubblica decide di dismettere parte del proprio patrimonio immobiliare per far fronte a disavanzi di gestione accade un paradosso che depaupera i cittadini per ben tre volte: la prima è costituita dall’allocazione di risorse che l’amministrazione centrale ha destinato alle imprese (risorse che, quantomeno in passato, erano provenienti in larga parte dalle tasse dei contribuenti); la seconda è rappresentata dall’alienazione di un immobile che ha vocazione pubblica; la terza è invece rappresentata dai mancati “guadagni” che lo Stato potrà realizzare, nel medio periodo, attraverso un utilizzo più intelligente della semplice alienazione.
Perché se tutto il patrimonio che per mala gestio è adesso infruttuoso viene svenduto, l’Italia perde non solo quanto già è stato investito nell’immobile, ma anche la possibilità di trasformare un immobile in disuso in una grande opportunità per il territorio.
Economicamente, l’alienazione di questi immobili non è un male aprioristico: è soltanto necessario adottare dei criteri, e delle strategie, che permettano al “pubblico” (inteso come i cittadini) di trarne il giusto e doveroso beneficio.
Attualmente, una delle più grandi attività di “valorizzazione” dei beni pubblici è affidata a Cassa Depositi e Prestiti che, attraverso la propria società di gestione del risparmio, CDP investimenti SGR, ha attivato tre principali fondi di investimento in questo senso: il primo, Fondo Investimenti per l’Abitare, è deputato al Social Housing; il secondo, Fondo Investimenti per la Valorizzazione, è deputato alla “valorizzazione e allo sviluppo”; il terzo, Fondo Investimenti per il Turismo, è destinato al Turismo e all’Hospitality.
I MECCANISMI
La meccanica del gioco è però sempre la stessa: il Fondo Investimenti (con risorse che provengono in larga parte dai risparmiatori italiani) acquista immobili pubblici (spesso da comuni in disavanzo di bilancio), li valorizza e li vende al miglior offerente.
Non sempre questo accade attraverso pubblico bando: il comparto Extra del FIV (Valorizzazione) è stato dedicato, come si legge dal sito, “all’acquisizione di immobili dello Stato e di alcuni Enti Pubblici, secondo le modalità previste all’art. 11 quinquies del Decreto 203/2005” il che vuol dire, attraverso vari rimandi legislativi, che l’alienazione può anche passare attraverso la trattativa privata. Andando a ritroso, l’articolo 11 quinquies prevede che: “Nell’ambito delle azioni di perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso la dismissione di beni immobili pubblici, l’alienazione di tali immobili è considerata urgente con prioritario riferimento a quelli il cui prezzo di vendita sia determinato secondo criteri e valori di mercato. L’Agenzia del demanio è autorizzata, con decreto dirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con le amministrazioni che li hanno in uso, a vendere con le modalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, i beni immobili ad uso non abitativo appartenenti al patrimonio pubblico, ivi compresi quelli individuati ai sensi dei commi 13, 13-bis e 13-ter dell’articolo 27 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni (139)”.
A sua volta, l’articolo 7 del decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282 recita che:
“Nell’ambito delle azioni di perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso la dismissione di beni immobili dello Stato, l’alienazione di tali immobili è considerata urgente con prioritario riferimento a quelli il cui prezzo di vendita sia fissato secondo criteri e valori di mercato. L’Agenzia del demanio è autorizzata a vendere a trattativa privata, anche in blocco, i beni immobili appartenenti al patrimonio dello Stato di cui agli allegati A e B al presente decreto. La vendita fa venire meno l’uso governativo, le concessioni in essere e l’eventuale diritto di prelazione spettante a terzi anche in caso di rivendita. Si applicano le disposizioni di cui al secondo periodo del comma 17 dell’articolo 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, nonché al primo ed al secondo periodo del comma 18 del medesimo articolo 3.”.
“Se tutto il patrimonio che per mala gestio è adesso infruttuoso viene svenduto, l’Italia perde non solo quanto già è stato investito nell’immobile, ma anche la possibilità di trasformare un immobile in disuso in una grande opportunità per il territorio”.
Perché invece non prevedere un altro tipo di “valorizzazione” che non agisca attraverso un meccanismo tipico delle azioni di real-estate-development?
Da un lato abbiamo gli enti territoriali che danno in concessione gratuita beni in disuso per fini “culturali” e “non lucrativi”; dall’altro abbiamo un fondo di investimento che acquista beni dagli enti territoriali, li valorizza e li rivende.
In questo modo la logica da seguire sembra proprio unica: se l’immobile è tale da poter incontrare l’interesse di CDP allora si può vendere (a prescindere dall’utilizzo che se ne intende fare); se invece non rientra tra quelli che fanno gola allora si rifila alle associazioni, che tanto sono sempre in cerca di uno spazio gratuito in cui stare.
Si può opinare o meno su questo ragionamento, fatto sta che gli immobili venduti sono per la maggior parte in zone molto importanti di città come Firenze e Milano.
Perché dunque, invece di ragionare semplicemente su una logica dualistica, non si inizia ad avviare una strategia che permetta di massimizzare i benefici?
Mettere a reddito questi beni, anche attraverso il ricorso a forme di finanziamento private, può ribaltare completamente la situazione: laddove adesso i cittadini “perdono” il proprio bene tre volte, potrebbero nascere esempi in cui i cittadini “guadagnano” due volte.
Ancora una volta, sia il privato a fare il privato e lo Stato a fare lo Stato.
Al momento, sembra proprio non sia così.
‒ Stefano Monti
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