Donald Trump, i bambini migranti, le copertine del Time e la comunicazione politica

Politica e comunicazione. O sarebbe meglio dire ‘propaganda’. I piani si intrecciano in modo febbrile, con al centro temi caldi: uno su tutti quello dei migranti. Donald Trump (come Salvini in Italia) è protagonista indiscusso di questa guerra politico-mediatica. Oggi al centro dello scandalo sui bambini richiedenti asilo, in Messico. Con la stampa che sforna efficaci contro-narrazioni e copertine esemplari.

Mr. ‘pugno di ferro’ Donald Trump, armato delle sue retoriche nazionaliste, fa i conti con il peso del disprezzo. Quello dei democratici americani, dei sostenitori del mercato globale, di molti governi europei e di chi conduce battaglie per i diritti umani e civili, a favore di migranti, rifugiati, minoranze. Il tema dei confini – e della libera circolazione di merci e di persone – continua a essere pittoresco marchio di fabbrica di una politica aggressiva, fortemente intrecciata alla comunicazione. Con tutta la fatica di difendere la linea dura – come da promesse elettorali – e insieme di governare la pressione mediatica, non arrivando a tradire del tutto l’esprit di un’America fondata (in teoria) su valori democratici, baluardo della modernità. Complesse operazioni di calibrazione, tra propaganda e azione di governo.
Trump sconta dunque la naturale simpatia per personaggi come Orbàn (con cui di recente si è congratulato al telefono, ribadendo la necessità di alimentare insieme una cultura dei “forti confini nazionali”) e ha il problema di non assomigliare troppo alla caricatura di sé stesso, cavalcata dai media e dalle opposizioni: imprenditore cinico, spietato, ambizioso, intollerante, maschilista, xenofobo, militarista. Too much, anche in tempi di populismo spinto.

Il CASO POLITICO-MEDIATICO: I PICCOLI RIFUGIATI IN LACRIME

L’ultima “seccatura” arriva da quel Messico che, secondo i piani, dovrà ospitare una possente muraglia a difesa della frontiera con gli USA: nell’attesa che il bastione sia edificato, Trump decideva lo scorso aprile di schierare la guardia nazionale – cioè l’esercito a disposizione dei singoli Stati – per supportare la polizia di frontiera nel contenimento dei flussi di clandestini (ma anche dei traffici illegali, tra armi e droga). Operazione irrituale, di solito attuata in caso di calamità naturali, di guerra o di gravi rischi per la sicurezza del Paese, anche se – va detto – già Bush e Obama avevano impiegato in un paio di occasioni le truppe della NG, per programmi di controllo aereo sul confine.
Il nuovo caso esplode a metà giugno, grazie ad alcuni filmati girati di soppiatto e diffusi in rete: il pianto di piccoli rifugiati, separati dalle loro famiglie e confinati dentro gabbie durante le operazioni di blocco sul confine messicano, sconvolge il mondo intero. Diventando l’immagine simbolo di quella “tolleranza zero” invocata con orgoglio dalla Casa Bianca. Si stima che siano stati circa duemila i bambini sottoposti a questo strazio.
E a proposito di immagine e di caricature, ecco che Trump si trova di colpo nei panni dell’orco cattivo: un’ondata di indignazione lo sommerge e persino la silenziosa Melania, dipinta dai giornali come una first lady triste, sottomessa, schiacciata dalla figura del consorte bullo, ha preso posizione. Di sua iniziativa si reca sul posto, a bordo di un Air Force One, e si mette a disposizione: “Sono venuta per ascoltare e per vedere come posso aiutarvi per essere certa che questi bambini siano riuniti con la loro famiglia il più velocemente possibile”. Dieci punti per lei, così diversa da Michelle Obama, solitamente poco impegnata e piuttosto invisibile (copertine fashion e occasioni mondane a parte), oggi riscopertasi donna forte, capace di operare una rottura rispetto alle politiche del marito. La stampa la celebra, l’opinione pubblica approva: è il suo riscatto.
Nelle stesse ore, però, Trump provava a rimediare, chiedendo ai ministeri della Giustizia, della Sicurezza Interna e della Salute “di lavorare insieme per mantenere le famiglie unite durante le procedure di immigrazione e di riunire quelle che erano state separate all’inizio”. Ma che fine hanno fatto i piccoli? E dove sono i loro genitori?

Trump sul TIME

Trump sul TIME

LA COPERTINA DEL TIME

Destinata a restare nella storia la copertina che il TIME dedica alla vicenda, sul numero uscito giovedì 21 giugno. Sintetica, eloquente, inquietante, misurata alla perfezione sul piano visivo e concettuale. Non una copertina d’artista, ma il frutto di una felice intuizione della redazione. Sul consueto fondo rosso si staglia, incombente – giacca, cravatta, abito blu e aria da molestatore – il Presidente Trump. Ai suoi piedi, totalmente sovrastata, c’è una bambina straniera di pochi anni, disperata. Lo guarda e piange. Lui resta impassibile, come dinanzi a una creatura curiosa. C’è un’unica scritta, nell’angolo, sussurrata e severa: “Welcome to America”.
Si tratta di un collage, realizzato a partire da un recente scatto del premio Pulitzer John Moore, diffuso dall’agenzia Getty Images e divenuto virale: la piccola richiedente asilo, dell’Honduras, due anni appena, era stata fermata insieme alla madre sul confine USA-Messico. È lei il fulcro della foto, scattata proprio ad altezza bambino: sulla sinistra campeggia la ruota possente di una jeap, mentre a destra si scorgono le gambe di un uomo, forse un poliziotto, e quelle della donna arrestata. L’inquadratura stretta lascia fuori gli altri attori e stritola l’esile figura, nel contrasto tra l’innocenza e l’orrore di un mondo adulto consegnato al conflitto. Ritagliata la silhouette della bimba, il TIME la mette in dialogo col Presidente Trump. Dialogo muto, carico di tensione, suggellato da un sinistro “benvenuto”: l’America come la casa dell’orco, per l’appunto.
Nel giro di poche ore la cover è diventata topic trend, condivisa sui social e ripubblicata da qualunque testata. Amara icona di un momento storico che elegge a bersaglio collettivo lo straniero in fuga (o le minoranze in generale), dato in pasto alle masse e alle loro paure. Se non altro un buon metodo per distogliere la rabbia del popolo da chi detiene capitali e potere: classi povere e media borghesia aizzate contro gli ultimi, i vinti, i sans papier, gli irregolari. Così, all’antipolitica ideologica e giustizialista si sostituisce la xenofobia: entrambe figlie della stessa strategia e alleate per un lungo tratto di strada, ma con la seconda assai più efficace quando l’anticasta si trasforma in casta. In Italia il processo è in atto ed è ben incarnato dalla debolezza di Luigi Di Maio rispetto a Matteo Salvini.

UOMINI E NO. POLITICA E COMUNICAZIONE

La nuova copertina del TIME non è certo l’unica che il mitico settimanale ha dedicato a Donald Trump. Tante le belle intuizioni grafiche, spesso firmate da artisti e illustratori noti, raccolte addirittura in un divertente video. L’apertura del breve filmato è affidata allo stesso Presidente, che durante un discorso pubblico esclama beffardo: “Credo di avere ottenuto il record di sempre  nella storia del TIME“. Da capire se si tratti di un merito o di un problema. Il “purché se ne parli” non è un fattore sempre positivo, anzi. La reazione mediatica contro chi costruisce la propria narrazione del potere ha un peso fortissimo. Spesso decisivo nell’orientare elettorati mobili, post ideologici, straordinariamente confusi e manipolabili. Qualcosa che riguarda i media tradizionali, la rete, i social network; i sistemi editoriali e gli spazi del dibattito intellettuale; i flussi selvaggi e spontanei di opinione, ma anche quelli organizzati con precisione scientifica. Una combinazione complessa tra libera informazione e meccanismi della post verità, tra giudizio critico e contro-propaganda subdola.

Salvini su una durissima copertina de L'Espresso

Salvini su una durissima copertina de L’Espresso

Donald Trump – al pari di Salvini e di Casaleggio, guardando ancora in casa nostra – ha fatto della comunicazione un piano d’elezione per la conquista del consenso. Comunicazione di taglio propagandista, formulata secondo tecniche di marketing precise, tra analisi, obiettivi a medio e lungo termine, strategie operative. Governare, poi, è altra cosa. E i banchi di prova arrivano. Per Trump saranno le elezioni di medio termine, attese il prossimo 6 novembre. Per il governo italiano, chissà: la campagna elettorale sembra essere ancora in corso, più accesa che mai.
E a proposito di copertine-denuncia, ce n’è una, recentissima, che si potrebbe accostare a quella del TIME. La firmava L’Espresso, affiancando il volto del Ministro degli Interni Matteo Salvini a quello di Aboubakar Soumahoro, sindacalista amico del bracciante ucciso a fucilate in Calabria, Soumayla Sacko. Stile molto meno british, provocazione sfacciata, nessuna ironia, il primo piano come classica figura retorica di massima affezione/intensità. E un titolo feroce: “Uomini e No”. Nel riferimento possibile al trattamento disumano riservato da razzisti e caporali agli stranieri, pare emergere il senso di un attacco urlato alla disumanità del leader leghista (diversa la complessità nascosta nel titolo del romanzo di Elio Vittorini). Se questo è giornalismo, dicono alcuni. Lo è, nella pur radicale, violenta presa di posizione contro certe narrazioni in campo. Ed è il piano entro cui la politica si compie e si consuma, con oscillazioni varie, da un secolo a questa parte. Oggi con rinnovato vigore.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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