Domeniche gratis nei musei. Il punto su un grande dibattito, tra Bonisoli e Franceschini
Prima domenica del mese gratuita, dal 2014 a oggi. Nei musei è boom di visite. Il neo Ministro dei Beni Culturali però vuole cambiare. E scatena le polemiche. Vediamo cosa ha detto davvero, dove sono le criticità attuali e dove i limiti di un eventuale cambiamento. Con i numeri alla mano.
Non proprio un granché come prima misura significativa, con cui segnare la differenza rispetto al governo precedente e insieme affermare la propria visione. A due mesi dall’insediamento dell’esecutivo Lega-Cinquestelle, il Ministro dei Beni Culturali arriva in piena estate con un’affermazione che è già un assaggio (in teoria) delle azioni future e che però ha il sapore dell’uscita a effetto, buttata là per dire qualcosa che segni un cambio di passo e che indichi una qualche intenzione operativa. Alberto Bonisoli non annuncia ancora nessuna riforma vera, non spiega nel dettaglio che intenzioni ha, da un punto di vista programmatico e in tema di regia complessiva, però dà una notizia. Una di quelle che dividono e fanno rumore. E che comunque ha avuto il merito di sollevare una sana discussione. Peccato che non sia un progetto, una nuova idea, ma un tentativo di annullare i progetti degli altri.
BONISOLI E LO SCOOP DI MEZZA ESTATE
Basta con le prime domeniche del mese gratis per i musei statali: la norma introdotta dal suo predecessore, il dem Dario Franceschini, è destinata a saltare nelle settimane a venire. “Le domeniche gratis“, ha spiegato, “andavano bene come lancio pubblicitario, ma se continuiamo così, a mio avviso andiamo in una direzione che non piace a nessuno. Per l’estate non cambia nulla, ma poi le cose cambieranno“. Come? Bonisoli ha parlato della necessità di “superare” quella regola e ha chiamato in causa proprio i direttori dei musei, la cui opinione sulle domeniche free sarebbe “unanime“, secondo la sua valutazione: “Ci stiamo orientando nella decisione di abolirle“, ha spiegato lapidario. Aggiungendo un passaggio chiave che rafforza ed estende l’idea di autonomia (la stessa su cui si è edificata la riforma Franceschini): ai direttori, dice, “darò maggiore libertà, se vogliono mettere una domenica gratuita non c’è niente di male, ma quando obbligo a farla non va bene“.
LE DOMENICHE GRATIS E I DENARI PERSI
Scoppia il caos. Titoloni sui giornali, dibattito infuocato sui social, discussioni tra gente comune ed esperti del settore. E la reazione, sul momento, è in buona parte negativa: perché eliminare qualcosa che funziona? Uno strumento semplice che ha contribuito ad aumentare gli accessi ai siti, che ha coinvolto milioni di persone, che ha consentito a tante famiglie con poca disponibilità economica di godersi un pomeriggio d’arte e cultura (e stare insieme), risparmiando decine di euro. Una misura il cui successo è certificato dai numeri, ma che si valuta anche in termini di cifre ‘perse’ per le biglietterie, nonostante la parziale compensazione derivata dalla sospensione degli ingressi gratuiti per gli over 65 (il tentativo era quello di favorire tutti, a tappeto, e non delle specifiche categorie). Quanto avrebbero guadagnato in più, piccoli e grandi musei, se per tutte queste domeniche, dal 2014 in qua, il pubblico avesse regolarmente pagato? In teoria un bel gruzzolo a sei zeri. Da investire magari nei vari capitoli che riguardano manutenzione, restauro, valorizzazione, comunicazione. I calcoli e le stime, però, non si fanno con i “se” e non si coniugano al condizionale. Le variabili reali da considerare sono tante: senza la domenica gratuita quale sarebbe stato il flusso dei visitatori, paganti e non?
UN PO’ DI DATI
I dati diffusi dal Ministero, rispetto agli anni post riforma, sono tutti più che positivi, con un trend in salita perenne che riguarda, in media, tutte le aree museali e monumentali. Prendiamo come esempio il Colosseo: visitatori aumentati del 13,6%, nel primo triennio, passando dai 5,8 milioni del 2013 ai 6.408.852 del 2016, con un picco di 6.551.046 nel 2015 (+6% rispetto al 2014). Nel 2017 ancora record, con la soglia dei 7 milioni di ingressi ampiamente sfondata.
Cifre gonfiate, scrissero alcuni, proprio in ragione di quelle domeniche gratis: dei quindici milioni di visitatori in più, diversi erano da attribuire a quel “regalo” mensile. Una nota che nulla toglie al provvedimento, anzi. È la prova, semmai, che l’intuizione era corretta. Molta più gente va al museo se incoraggiata dall’agevolazione economica.
Ma il dato non supporta la tesi dell’”impoverimento delle casse”: a crescere, in realtà, sono stati anche gli incassi, in modo inequivocabile. Nonostante le giornate gratis. Tornando ai bollettini ministeriali di cui sopra, si apprende così che gli introiti totali relativi a musei, circuiti museali, monumenti e aree archeologiche, sono passati dai 40,7 milioni del 2013 ai 45,4 del 2016, con un bel traguardo raggiunto nel 2015, pari a 45,7 milioni. Nel 2017 si è arrivati quindi alla super cifra di 48,6 milioni. Anche qui il trend è in continua ascesa, con Colosseo e Fori Imperiali costantemente in testa, subito seguiti – con ampio distacco – da Pompei e poi dagli Uffizi. Le domeniche open, dunque, non hanno indebolito le finanze dei tanti gioielli statali, raggiunti da milioni e milioni di visitatori, paganti e non.
Soprattutto paganti, in verità. Altro dato interessantissimo fornito dal Mibact: a crescere di più è stato il pubblico che ha messo mano al portafogli (dai 17,649 milioni del 2013 ai 24 milioni del 2017, per un +37%), rispetto a quello che ha usufruito della gratuità (+25%). Insomma l’impatto “pubblicitario” delle domeniche, stigmatizzato dal neoministro, è proprio l’elemento positivo di questa storia. Molte persone hanno “scoperto” i musei (magari i musei dietro casa, fino a ieri misconosciuti), ne hanno parlato con altri conoscenti, li hanno raccontati ai parenti e agli amici, gli hanno fatto “pubblicità” e molta più gente c’è poi andata, anche e soprattutto pagando.
PAGARE È GIUSTO, MA REGALARE FA BENE
Prestazioni dunque migliorate, almeno dal punto di vista numerico (i capitoli “qualità dell’esperienza del visitatore” e “qualità dei contenuti” toccano tutt’altre questioni). Paradossalmente anche sul piano dei guadagni. Come si spiega? Sarà forse quel sano, imprevedibile, straordinario effetto virale, su cui sempre si spera quando si facilita l’accesso alla cultura? Dischiudere luoghi, porgere bellezza, incoraggiare alla conoscenza, è una prassi che non si conclude in sé stessa ma che si autoalimenta, tramutandosi in abitudine, in educazione. Cultura produce cultura, detto in tre parole. La gratuità diventa volano, strategia di comunicazione, stimolo progressivo: soffermarsi in generale su un simile ragionamento, soprattutto se suffragato da dati concreti, potrebbe rivelarsi strategico.
Musei gratis di default, per tutti? Anche no. Gli introiti dei biglietti sono essenziali per la vita del patrimonio storico-artistico, tra sedi espositive, monumenti e collezioni: pagare per produrre cultura è giusto, a proposito di coscienza collettiva e di spirito civico. Resta però importante valutare il feedback potenziale restituito da una politica a lungo termine, basata anche sull’apertura, sulla condivisione, sul dono, sulla lenta possibilità di far abituare e appassionare. Avvicinare, rendere normale qualcosa di straordinario, gettare dei semi. Alla lunga è un approccio che paga. Derubricarlo a “pubblicità” in accezione negativa è corretto? O è più corretto parlare di un approccio intrinsecamente culturale? E poi cosa c’è di male se delle istituzioni culturali si fanno “pubblicità” per arrivare ad allargare il proprio target?
Il rischio che l’effetto diminuisca, dopo la prima ondata di entusiasmo, c’è. Ma dopo quattro anni dall’introduzione della norma i numeri raccontano qualcosa di diverso. E sembrerebbero rafforzare la tesi del “principio ideale”, con lo Stato nei panni di regista unico, responsabile di alcuni minimi strumenti chiave che superino la specificità di singoli territori e singoli musei. Un fatto di exemplum, di impostazione generale, tra educazione, governance ed etica dei beni culturali.
GLI STRANIERI, SLI SPONSOR E GLI ANNUNCI
“Migliaia di turisti stranieri che arrivano pensano che gli italiani sono pazzi a regalare i propri tesori“. Altra preoccupazione del Ministro. Il retrogusto provinciale si avverte: esiste il coraggio di sperimentare modelli, di reinventarsi sulla base della propria singola storia e condizione socio-culturale. Anche se lo “straniero” critica. Ma soprattutto, quali stranieri? Nel Regno Unito e negli USA, ad esempio, l’accesso alle grandi collezioni museali di Stato è molto spesso gratuito – non solo 12 giorni l’anno! – mentre le mostre si visitano a fronte di regolare ticket; e così in Germania e in Francia sono tante le occasioni in cui si entra liberamente in un museo: il Louvre – per citare un caso esemplare, che a differenza di molti sconosciuti musei italiani di pubblicità non ha bisogno davvero – ogni prima domenica del mese è gratis. Per tutti.
Certo è che in molti paesi la vita dei musei è fortemente legata ai finanziamenti privati, tra aziende, fondazioni, banche, mecenati, grazie a un sistema fiscale vantaggioso e a un’abilità nel perseguire politiche di fundraising coltivata da decenni. L’Italia è ben lontana da una messa a regime veramente fruttuosa, virtuosa.
Eppure, anche in quest’ottica, il lavoro di Franceschini acquista un più preciso significato, se è vero che una riforma non va mai analizzata nelle sue singole parti, a discapito della coerenza e dell’armonia complessiva. Ecco che l’introduzione dell’Art Bonus indica – insieme agli ingressi agevolati, all’introduzione dell’autonomia, ai concorsi per i direttori-manager – una direzione chiara: lavorare per aumentare l’apporto di risorse private, svincolando i siti dal giogo del biglietto come unica fonte di sussistenza. Fare cassa è importante, ma non è tutto. O il rischio è che la mission culturale – l’unica davvero essenziale – si tramuti in puro business.
Una cornice programmatica che oggi Bonisoli vuole evidentemente rivedere. Con che obiettivi? Con quali metodi? Al di là della sortita di queste ore, un piano coerente è ancora tutto da conoscere. Nel mentre, il giudizio va sospeso. Ancor più saggio sarebbe, per il Ministro, limitare le uscite-scoop in assenza di una pianificazione ragionata di (almeno) medio periodo, che sia complessiva, armonica, condivisa con le forze di governo. La prudenza conviene (soprattutto dopo l’ubriacatura di promesse vane, urlate nella più squallida campagna elettorale di sempre). Dunque, annunciare meno e comunicare i fatti solo dopo, al termine di un processo di scrittura delle norme e di discussione interna: è la strada migliore. Oppure tutto finisce per assomigliare a una specie di test, con eventuale retromarcia – come fu nel caso recente del “Bonus 18 anni” – utile a sondare le reazioni della massa e in particolare quelle del variegato bacino di elettori a cinque stelle.
IL SOSTEGNO DEI SUPER DIRETTORI E LE CRITICITÀ
Bonisoli, nel mentre, ha in parte ritrattato. O forse s’è spiegato meglio. In un video amatoriale – che sapeva un po’ di toppa messa su un messaggio arrivato male – ha chiarito ulteriormente che il concetto di gratuità non è in discussione. Semmai, questa va rimessa nelle mani dei singoli ed eventualmente modulata in relazione alle caratteristiche di ogni luogo, di ogni stagione, di ogni territorio. Direttori ancora più manager, ancora più liberi, eliminando anche quel minimo di principi guida spalmati a livello nazionale. Niente di particolarmente innovativo dunque: l’obbligo – che era sì una novità – si cassa, mentre la libertà di organizzare orari di apertura, bigliettazione e politiche dei prezzi è cosa che compete già ai direttori – in sintonia con la Direzione Generale Musei e secondo le linee guida ministeriali – ma che certo potrebbe essere ampliato e agevolato.
In ogni caso il sostegno di figure importanti come Eike Schmidt, a capo degli Uffizi, o di Mauro Felicori, che dirige la Regia di Caserta, è arrivato: bene la prima domenica gratis, hanno detto, ma solo in una fase iniziale. Oggi una maggiore elasticità e una piena autonomia diventano necessarie, per meglio rapportarsi ai contesti e per decongestionare gli accessi. Il primo, ad esempio, ha avanzato sulle colonne di Repubblica l’idea di alcune “giornate di ingresso gratuito in occasione di anniversari importanti per la storia della città e degli Uffizi come quello di Anna Maria Luisa de’ Medici, l’Elettrice Palatina, alla quale si deve, grazie al Patto di famiglia, il mantenimento a Firenze del patrimonio mediceo. O di Vittoria Della Rovere, che con la sua eredità permise di raddoppiare le collezioni del museo”, mentre Felicori ha ipotizzato sul Fatto Quotidiano anche “più di dodici giornate di ingresso gratuito”, ma concentrate“durante i mesi della bassa stagione”.
Tra le criticità individuate c’è soprattutto quella relativa all’affollamento nei giorni del biglietto free. Preoccupazione condivisibile, a cui il Ministro è giustamente chiamato a rispondere. Se da un lato è detestabile la logica elitaria secondo cui troppi visitatori sarebbero un male – portare gente nei luoghi di cultura è una conquista – dall’altro resta prioritario salvaguardare la salute delle opere d’arte (temperatura, umidità, sicurezza) e la qualità della visita, che in certi casi si trasforma nell’incubo di una gincana, tra mille teste, mille occhi e nessuna possibilità di concentrazione e contemplazione. L’anti-museo, in sostanza.
L’idea di rimodulare – non di eliminare – l’obbligatorietà degli appuntamenti gratis potrebbe allora avere un senso. Con alcuni rischi: i direttori avrebbero facoltà di eliminare del tutto l’opzione e per i visitatori diventerebbe complicato orientarsi. Se viene meno una calendarizzazione certa, valida per tutti, la comunicazione si frammenta e la resa è per forza di cose assai minore. Da un punto di vista pratico, ma anche ideale. Viene meno insomma proprio quell’impatto “pubblicitario”, insieme a quella sensazione – da Trieste a Reggio Calabria – di far parte per un giorno di un progetto paese, di un comportamento culturale diffuso e non – per una volta! – all’insegna di una partita di calcio o di uno show televisivo. Milioni di persone, da un capo all’altro dello Stivale, in fila davanti a un museo aspettando di entrare gratis. E scusate se è poco.
Nell’attesa che il Ministro sforni un piano d’azione definito, il dibattito incalza. Per fortuna. Non solo di presunte invasioni di migranti, di aerei di Stato, di crocifissi nelle scuole e di legittima difesa si discute in Italia. Nonostante l’ironia su radical-chic e intellettuali, la cultura mantiene un suo appeal. E i musei, combattendo ogni giorno contro eccessi di burocrazia e risorse insufficienti, restano luoghi d’identità e di passione. Fare meglio, fare di più: dopo la bella stagione Franceschini non è facile, ma gli spazi di manovra e di crescita sono ampi. E il governo del cambiamento è appena iniziato. Tempo al tempo, chissà.
– Helga Marsala
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