Il “nuovo” MiBAC in cento giorni. L’editoriale di Stefano Monti
Qualche riflessione sui primi cento in giorni in carica del ministro Bonisoli. Con uno sguardo alla poca incisività delle posizioni prese.
Ultimamente si è molto discusso circa le concrete attività che il MiBAC ha posto in essere nei suoi primi cento giorni di mandato. Al riguardo, come su tutto, ci sono state opinioni differenti. A ben vedere, tuttavia, il problema, in questa vicenda, non è avvalorare una tesi piuttosto che un’altra: il problema è comprendere per quale ragione il lavoro di un ministro (che si suppone di durata quinquennale) vada valutato sul primo 5% del proprio mandato.
Cento giorni sono una soglia psicologica, è vero. Ma è anche vero che, in alcuni ambienti, cento giorni, sono davvero pochi e il MiBAC (che per molti versi rappresenta forse l’ultimo baluardo stalinista della nostra Repubblica) è sicuramente uno di questi.
La cultura in Italia è stata per decenni un settore completamente dipendente dalla spesa pubblica, ragione per la quale si sono annidate attorno al dicastero un coacervo di matasse di interessi e di posizioni di “potere”: una sorta di aggrovigliato reticolo nascosto in un labirinto poggiato su un gradino di una scala di un dipinto di Escher.
Prendere un uomo, per di più esterno alle complesse dinamiche del ministero, inserirlo all’interno di questo quadro e pretendere che riesca a governare con mano ferma nei primi cento giorni del proprio mandato è forse troppo.
In questo tempo, un uomo normale riuscirebbe a malapena a imparare il tono con cui dire “buongiorno” alle persone che lavorano alle sue dirette dipendenze.
Detto questo, Bonisoli non è un uomo normale. È un ministro. E si suppone (giustamente) che abbia un talento maggiore rispetto a un “uomo normale”, cosa del resto più che confermata dalla sua esperienza.
“Avere un’idea ferma, rispettarla e condividerla è la base di partenza per poter trovare alleati”.
Perché, dunque, pur consapevole della grande attenzione mediatica cui era esposto, e delle grandi aspettative che aleggiavano intorno al suo operato, il ministro Bonisoli si è “rifiutato” di dare in pasto all’attenzione giornalistica delle attività che, necessariamente, non avrebbero mai potuto essere di sostanziale rinnovamento?
Semplice, il ministro Bonisoli è in attesa. Studia. Valuta con attenzione le sue mosse e cerca di comprendere i principali “nodi” da sciogliere.
Ne sono una prova anche le poche dichiarazioni pubbliche che hanno portato il ministro all’attenzione della stampa generalista. Piccoli tentativi, timidi, per valutare quale sarebbe stata la risposta dell’elettorato. Sassi buttati nel grande mare magnum di Internet e della carta stampata.
Se una nota di attenzione può essere espressa, questa riguarda proprio tali dichiarazioni. Troppo timide per convincere. Troppo generiche per poter creare un’opinione.
Le direzioni sono state chiare: ridurre le domeniche al museo abrogandone l’obbligatorietà, o la riforma del FUS, o l’attenzione all’Art Bonus. Meno chiare sono state invece le motivazioni e le dimensioni strategiche di tali opinioni.
In questo modo delle posizioni condivisibili diventano attaccabili da chi non aspetta altro che contestare.
Sostenere che le domeniche al museo possano terminare è una posizione più che legittima, che può portare a un miglioramento del sistema culturale italiano, ma per essere considerata tale è necessario conoscerne i contorni, comprendere quale “altra azione” attivare per “superare” il modello delle domeniche gratuite. Abolire il “bonus cultura” è una posizione altrettanto rispettabile. Basta riuscire a motivare tale decisione ed evidenziare quali ulteriori misure si renderebbero possibili con le “risorse aggiuntive” che il ministero si troverebbe ad avere con l’abrogazione di uno strumento che ha avuto più di qualche distorsione nella vita reale.
Favorire la mappatura dei beni culturali “a rischio”, soprattutto dopo l’ennesimo crollo, è un’azione dovuta, ma riuscire a fornire informazioni più dettagliate su chi, come, e soprattutto quando mapperà cosa avrebbe sicuramente avuto un impatto diverso agli occhi di chi da tempo si sente ripetere frasi di circostanza al riguardo.
“Il ministro Bonisoli è in attesa. Studia. Valuta con attenzione le sue mosse e cerca di comprendere i principali “nodi” da sciogliere”.
Tutto ciò però avviene, vale la pena ricordarlo, in un quadro politico che si potrebbe definire di monarchia mediatica, in cui il partito al governo è il primo partito all’opposizione, azzerando, di fatto, tutte le opinioni provenienti dall’esterno.
Muoversi in questo scenario è pertanto estremamente difficile ed è ancor più comprensibile l’incertezza che avvolge il lavoro del ministro.
Però, caro ministro, agire in modo così “delicato” potrebbe essere penalizzante. Avere un’idea ferma, rispettarla e condividerla è la base di partenza per poter trovare alleati. Nell’incertezza troverà soltanto nemici. Il lavoro politico che si intuisce sta portando avanti, in silenzio, si troverà a essere esposto su tutti i fronti, se non ha alleati.
Lei sarà criticato aspramente qualunque direzione prenderà, ma se avvierà delle decisioni con coerenza, individuando alleati che non solo rivestano posizioni di potere, ma che abbiano anche delle competenze inattaccabili, potrà finalmente iniziare a valutare le modifiche necessarie a rendere il ministero che lei gestisce quanto più vicino alla sua visione. Visione che, attualmente, è ancora un po’ fumosa.
‒ Stefano Monti
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