Il Macro Asilo e la necessità del dibattito. L’opinione di Adrian Tranquilli
L’artista originario di Melbourne partecipa al dibattito innescato su queste pagine da Massimiliano Tonelli attorno al progetto Macro Asilo di Roma. Sottolineandone le incongruenze.
Condivido in pieno la lucida analisi di Massimiliano Tonelli e la sua insistenza nell’affermare che ci deve essere spazio per una critica pubblica, soprattutto se costruttiva e pertinente. Il progetto Macro Asilo davvero rappresenta il sintomo di una tendenza più vasta, che se rimane non analizzata e non contestata nei suoi punti più ambigui, rischia di imporsi come modello unico. Una prospettiva che mi spinge a prendere parte al dibattito che Tonelli ha avviato. Soprattutto perché il suo intervento rimarca e difende la dignità di ciò che un artista, o ogni altro professionista che opera nel settore della cultura in Italia, rappresenta. L’attuale retorica delle forze politiche al potere, per opportunismo o per pressappochismo, sta creando una totale confusione che rende difficile e a volte anche inutile ogni tentativo di confronto.
Mi sento di dover dare atto alla sua capacità di centrare il punto: il museo che si offre come un parco giochi agli interventi di artisti e a tutti coloro che si sentono tali è una visione svilente sia per l’istituzione che per gli artisti che vi espongono.
“Qui il paradosso è che, svuotando le istituzioni delle loro prerogative, si rende impossibile attribuire dignità a ciò che le riempie di contenuto”.
Un’istituzione culturale che offre solamente spazio e potenziale visibilità in cambio di una presenza, una “libertà” di espressione, ma a spese degli espositori. Nulla di nuovo. Anche il “sistema” opera spesso in questo modo. Un vero cambiamento di rotta sarebbe introdurre normative che obblighino i musei a pagare all’artista un fee proporzionato all’entità della sua mostra, come accade nei Paesi nordici, per non parlare di contributi per la produzione o l’acquisto delle collezioni.
Ma qui, tristemente, siamo di fronte a un’altra declinazione di quella doppia morale che contraddistingue la “narrazione” dominante: chiamarsi “alternativa” e mirare a conquistare tutte le istituzioni e il potere. Aprire uno spazio alternativo, “libero”, “accogliente”, che “mappa” artisti romani (insieme a tutti gli altri che si considerano tali) sarebbe stato possibile in un luogo qualsiasi.
“L’attuale retorica delle forze politiche al potere, per opportunismo o per pressappochismo, sta creando una totale confusione che rende difficile e a volte anche inutile ogni tentativo di confronto”.
Ma doveva essere proprio nel Museo d’Arte Contemporanea della capitale? Il “salotto buono”, come definito da coloro che lo dirigono oggi, quindi un’istituzione che, almeno simbolicamente, ne dovrebbe rappresentare l’autorevolezza?
Offrire una vacua visibilità in un tempo in cui la visibilità è la cosa più facile da ottenere grazie ai social media; offrire l’autorevolezza delle istituzioni con frasi-slogan come “museo della città per gli artisti della città”, pur negando in ogni suo punto ciò che un museo è per definizione, comprese anche le scelte e le esclusioni che si fanno in base alla complessità del pensiero e il modo in cui viene espresso attraverso i mezzi artistici.
Sembra sia questo il sotto-testo dell’operazione Macro Asilo. Non dissimile dal paradosso del movimento luddista del periodo della prima rivoluzione industriale. Qui il paradosso è che, svuotando le istituzioni delle loro prerogative, si rende impossibile attribuire dignità a ciò che le riempie di contenuto. Fraintendere, o mal interpretare per convenienza, lezioni fondamentali, da Duchamp a Beuys, toglie la dignità agli artisti più che riuscire ad affermare che tutti hanno diritto a esprimersi.
E il livello si abbassa ancora.
Più che un Macro asilo ci servirebbe un Macro università.
‒ Adrian Tranquilli
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