Gratuità “taylor-made”. L’opinione di Gabriella Belli
Il direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia dice la sua in merito alle aperture gratuite “personalizzate” dei musei.
Tra i temi “caldi” della scorsa estate il dibattito sulle aperture domenicali gratuite nei musei statali ha ottenuto la massima attenzione non solo dei diretti interessati ma anche di molti soggetti coinvolti a vario titolo nella gestione dei beni culturali e pure di privati cittadini che sull’argomento hanno voluto dire la loro.
Il tema di per sé potrebbe sembrare oggi poco attuale vista la determinazione con cui il Ministro Bonisoli è prontamente passato dalla teoria alla pratica, abolendo quanto la direttiva precedente imponeva (in questo interpretando anche il pensiero e le esigenze dei direttori statali sentiti per un confronto) e ristabilendo così il principio dell’autonomia decisionale dei singoli musei, chiamati dunque a predisporre piani “personalizzati” di aperture gratuite.
Ma è giusto riflettere su quanto successo perché ci sembra un vero e proprio passo avanti rispetto al principio di omologazione da cui era nato il progetto delle domeniche gratuite della passata legislatura. Non c’è dubbio, infatti, che l’aver compreso quanto una disposizione generale in questa specifica materia poco si adatti alla peculiarità tipologica e geografica dei molti musei italiani collocati alle più diverse latitudini del Paese, significa aver rimesso al centro ‒ riconoscendola come valore fondante ‒ la diversità identitaria dei musei e dunque significa riconoscerli come istituzioni non solo capaci di autonomia organizzativa ma anche capaci di leggere il contesto in cui operano, di interpretarlo e di favorire la massima partecipazione del pubblico con gratuità “utili”, mirate e orientate alla migliore fidelizzazione. Non è cosa da poco se da questo primo passo ne discenderanno altri rivolti alla restituzione di ulteriori autonomie decisionali, tali da far funzionare con la massima economicità di tempo e denaro questi nostri meravigliosi musei, ostaggio fino a pochi anni fa di una burocrazia lenta e inesorabile, oggi forse meno attanagliante, ma certo ancora molto presente e impositiva.
“Non basta aprire le porte per fare cultura”.
A questo proposito è curioso osservare che la legge Franceschini, che ha promosso l’autonomia dei musei statali, non abbia dotato queste istituzioni di tutti gli strumenti necessari a far sì che il cambiamento fosse davvero radicale come era nelle premesse legislative. Per esempio la difformità di entrate tra musei di rilevanza internazionale e quelli di più marcata vocazione locale, così come le risorse umane in numero ancora troppo esiguo per avviare tutti i processi del cambiamento, non c’è dubbio rallentino gli effetti positivi della legge. Forse proprio per questo la politica degli ingressi gratuiti, che è stata un vanto per numero di visitatori entrati nei musei, mostrava anche tutta la sua debolezza, non corrispondendo affatto alle diverse esigenze dei diversi istituti, ciascuno dei quali votato a forme di fidelizzazione personalizzata, le sole capaci di rendere davvero efficace e soprattutto duratura la relazione con il proprio pubblico.
“È necessario che sia il museo a promuoversi e a organizzare in piena autonomia le proprie gratuità e, auspicabilmente, a guidare con interventi “su misura” l’approccio del proprio pubblico alle collezioni”.
Insomma non basta aprire le porte per fare cultura. Il museo è tutt’oggi una delle esperienze immersive nella bellezza e nella creatività tra le più straordinarie che si possano fare, ed è anche uno dei luoghi più carichi di significati simbolici e di valori umanistici che la nostra società ancora possiede, difende e conserva, cartina tornasole della civiltà alla quale apparteniamo. Ecco perché è importante che il pubblico scelga di vivere questa esperienza e abbia la piena consapevolezza che il percorso attraverso la conoscenza del museo non è né facile né scontato, ma richiede voglia e capacità non solo di guardare ma anche di ascoltare. Certo ammirare la bellezza è di per sé un esporsi alla cultura, ma i musei hanno l’obbligo di tentare di far sì che questo incontro non sia un’infatuazione passeggera ma diventi un vero e proprio fidanzamento. Ecco perché è necessario che sia il museo a promuoversi e a organizzare in piena autonomia le proprie gratuità e, auspicabilmente, a guidare con interventi “su misura” l’approccio del proprio pubblico alle collezioni, mettendo a disposizione nelle giornate prescelte un numero maggiore di strumenti didattici, incentivando mediazioni culturali strutturate in progetti costantemente monitorati, secondo un programma che sia davvero capace di trasformare una semplice gratuità in un’opportunità di crescita culturale.
‒ Gabriella Belli
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #13
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati