Matera 2019: lo Stato ha sostenuto davvero la Capitale europea della cultura?
Non c’è dubbio che Matera rappresenterà un evento storico per la Regione, un’occasione di turismo a breve termine come mai fino a oggi conosciuta. Ma forse lo Stato poteva fare di più per sostenere il progetto, per garantire maggiori ricadute a lungo termine. L'editoriale di Stefano Monti.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, il dibattito politico era principalmente occupato dalla riflessione sui rapporti tra democrazia, economia pianificata e liberalismo. La grande sfida politica vedeva, e sotto molti versanti il dibattito non è ancora concluso, due principali fazioni: chi ambiva a costruire uno Stato liberale e chi invece credeva in uno Stato interventista, che guidasse i cittadini sia sotto il profilo politico e legislativo, sia sotto il profilo economico. Nel tempo si è affermata una visione ibrida, che vuole uno Stato che ha una duplice veste: da un lato lo Stato che vorrebbe essere super partes (ma che, nei fatti, non ci riesce) e dall’altro uno Stato che si traveste da “privato” per intervenire direttamente nella nostra economia. In principio, tuttavia, lo scontro dialettico tra le due visioni aveva una ragion d’essere che nel tempo è stata smarrita o volutamente eclissata: il dibattito aveva infatti a oggetto l’opposizione di un’economia a conduzione privata a un’economia pianificata.
Sono passati molti anni, e la Storia (questa volta maiuscola) ha dimostrato, non senza un certo guizzo ironico, che, parafrasando Murphy, “preso un intervallo abbastanza lungo di tempo, ogni convinzione potrà essere ribaltata”. Perché ai tempi dei dibattiti politici condotti con una certa serietà (basti citare il dibattito tra Croce ed Einaudi sulla dicotomia tra liberismo e liberalismo), chi spingeva per avere una politica economica programmatica abbracciava una visione economica dello Stato. Oggi, invece, in questo nostro tempo paradossale e sorprendente, chi spinge per avere una politica economica programmatica sono gli investitori privati. E qui il discorso plana su Matera, ma potrebbe toccare più o meno tutti gli eventi (culturali e non) degli ultimi vent’anni, e tutti i comuni, le città, le province e le regioni d’Italia.
Il motivo per cui Matera Capitale europea della cultura 2019 non passerà alla storia delle Capitali europee della cultura non può che essere individuato nella struttura politica pubblica che, lontana da quelle condizioni di stabilità che potrebbero garantire il perseguimento di un obiettivo di lungo periodo, ha interpretato l’affluenza di investimenti diretti sul proprio territorio come un “premio” da attribuire al concorrente più abile.
Sia chiaro, purtroppo lo scontro politico di cui Matera è stata vittima non presenta alcuna anomalia rispetto al dato nazionale. Gli scontri che hanno caratterizzato la storia di Expo, i Mondiali di nuoto a Roma, Italia ’90 ripercorrono tutti uno schema che, è bene dirlo, è talmente radicato nella nostra cultura dello Stato che nemmeno più stupisce. Questa è una constatazione che chi agisce nel settore privato conosce molto bene, avendola appresa (a volte) a proprie spese: il settore politico è caratterizzato da forti incertezze e un accordo siglato oggi può non avere alcun tipo di validità domani. Cambi al vertice, giunte in rivolta, opposizione in piazza, accordi e disaccordi dell’ultim’ora. Tutto ciò fa parte di un gioco delle parti che si ripete instancabile.
È questo il reale freno alla crescita del nostro Paese, più della corruzione, più dell’evasione fiscale. Non si tratta di “stabilità politica”, ma di “stabilità degli impegni assunti”, che dovrebbe essere rispettata. Una sorta di codice morale ed economico a cui tutti i protagonisti politici dovrebbero naturalmente tendere: lo Stato è un soggetto degno di rispetto e ciò implica che, anche a fronte di cambiamenti di governance, non si assista ad alterazioni degli impegni assunti.
“È ormai lecito affermare, senza timore di smentita, che, nella nostra Italia contemporanea, chi guarda a sviluppi programmatici è il privato, mentre lo Stato si accontenta di massimizzare i ritorni a breve termine”.
Dare un valore “etico” allo Stato vuol dire che, in tutte le sue ripartizioni territoriali, chi governa agisca con una serietà che non potrebbe permettere a Trenitalia (società detenuta al 100% dal Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, a sua volta detenuta al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) di poter affermare (come è stato fatto) l’arrivo dell’alta velocità a Matera, senza poi tenerne fede. Basta questo per comprendere come sia necessario ripensare al ruolo dello Stato all’interno dell’economia. Prendiamo il caso più semplice e vicino a tutti, quello dell’investitore immobiliare. Una città alla vigilia di un evento a carattere europeo, con un nuovo trasporto e con nuove infrastrutture che ridurrebbero notevolmente i confini con il resto del Paese, dovrebbe rappresentare una grandissima opportunità di investimento. Questo investimento si tradurrebbe in maggiore denaro circolante nell’economia cittadina (il nuovo proprietario immetterebbe capitali per l’acquisto da proprietari precedenti, che nel caso specifico si suppone locali, e farebbe lavori di restauro e di valorizzazione appoggiandosi a imprese locali) che potrebbe tradursi in un aumento dei consumi, un aumento del gettito fiscale ecc.
Ma agli investitori avveduti è bastato guardare la linea ferroviaria per capire che ciò non sarebbe accaduto. Tant’è che oggi, sul sito Trenitalia, per percorrere i poco più di 400 km che separano Roma dalla Capitale europea bisogna acquistare una soluzione che preveda l’alta velocità fino a Salerno per poi prendere un autobus (il Freccialink). Il tutto in circa 5 ore e trenta (senza contare il traffico). A ciò si potrebbero aggiungere i numerosi e differenti ritardi nell’avvio delle opere pubbliche previste, ai quali senza ombra di dubbio andranno aggiunti i disagi che i cittadini di Matera dovranno subire al termine dell’imbellettata, e che non saranno altro che la conseguenza degli apporti di capitali che non troveranno sostenibilità di gestione nel medio periodo.
“I turisti verranno, spenderanno, se ne andranno. Ma nel 2021 nessuno, guardando Matera, troverà quel cambiamento che si voleva tanto creare”.
Non c’è dubbio che Matera rappresenterà un evento storico per la Regione, un’occasione di turismo a breve termine come mai fino a oggi conosciuta; ma, oltre l’anno, a Matera non rimarranno che i sassi e le briciole. Questo perché il turismo è uno strumento che, coniugando interesse a breve termine con interesse di medio periodo, può permettere lo sviluppo urbano attraverso investimenti, domestici ed esteri, in un territorio. E invece, come quasi ogni altro grande evento all’italiana, sarà un fuoco di paglia. I turisti verranno, spenderanno, se ne andranno. Ma nel 2021 nessuno, guardando Matera, troverà quel cambiamento che si voleva tanto creare. E non lo troverà perché chi doveva garantire la costruzione di infrastrutture fisiche e immateriali non lo ha fatto, confondendo la cultura con l’event management.
Purtroppo le evidenze, nella nostra realtà sensibile e nella storia conosciuta, sono talmente numerose che è ormai lecito affermare, senza timore di smentita, che, nella nostra Italia contemporanea, chi guarda a sviluppi programmatici è il privato, mentre lo Stato si accontenta di massimizzare i ritorni a breve termine. Sarebbe dunque giusto prenderne atto e lasciare a questo punto che sia il settore privato a programmare e a definire le politiche, garantendo al settore pubblico un ROE adeguato che ne consenta marginalità positive. In questo modo lo Stato, e i suoi rappresentanti, potranno ambire al palco del comizio con appropriazioni di meriti millantati che, almeno, non andrebbero a incidere sulla sostanza di un tessuto connettivo (imprenditoriale e sociale) che è sempre più in evidente difficoltà. Certo molti pensatori si rivolteranno nelle tombe, ma per quanto tempo ancora dovremo eludere ogni principio di realtà?
‒ Stefano Monti
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #47
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