Dopo la tassa di soggiorno, la tassa d’ingresso. Nuove riflessioni su Venezia
Stefano Monti torna a occuparsi del “biglietto di ingresso” che dovrà essere pagato da chi desidera visitare Venezia. Esclusi i residenti in Veneto e chi arriverà su barche private. L’ennesima assurdità incontrollabile?
Ad alcuni è parsa come una barzelletta, una provocazione che il Comune di Venezia, nella persona del sindaco, ha voluto lanciare per dichiarare guerra a un turismo “mordi e fuggi” che in molti casi (questo è vero) non sempre genera ricchezza né per il territorio né per il turista stesso.
Ma nell’era delle provocazioni, tutte le trovate vengono applicate e così, adesso, chi vorrà visitare la città dovrà pagare un biglietto di ingresso per vederla.
Sorvolando sull’aspetto etico, i dubbi riguardano la dimensione economica reale del provvedimento.
Quanti soldi entreranno nelle casse del Comune? Probabilmente le risorse derivanti dal biglietto per Venezia saranno corpose e, in una visione piuttosto miope della gestione del territorio, questo corrisponde a una misura di successo.
Ma quale sarà la risposta dei viaggiatori in termini aggregati?
Qui la risposta diviene meno semplice, e forse vale la pena di approfondire la questione.
Punto primo: non esistono misurazioni dei reali visitatori di Venezia. Si conoscono i posti letto, ma non si conosce con esattezza il flusso incoming all’interno della città. Quindi non sarà per noi possibile stabilire se l’introduzione del pagamento di ingresso avrà o meno effetti sulla domanda turistica.
Punto secondo: i budget quotidiani di spesa.
Molti visitatori, soprattutto quelli che non si possono permettere di pernottare una notte a Venezia, hanno un budget giornaliero di spesa cui si attengono. Ciò significa che il pagamento di un biglietto ridurrà la disponibilità economica residua del turista che, così, si troverà a spendere di meno in città.
Se voglio spendere 100 euro per stare a Venezia un giorno, probabilmente comprerò delle cartoline, o qualche altro (brutto) gadget venduto in città.
Ma se voglio spendere 100 euro e 10 di questi euro li pago per entrare, allora dovrò ridurre tutte le altre spese.
“Adesso chi vorrà visitare la città dovrà pagare un biglietto di ingresso per vederla”.
Punto terzo: l’applicazione di un prezzo a fronte di una risorsa scarsa.
Punto astruso nella definizione, molto semplice nella pratica. L’idea che è alla base di questa misura è la sua supposta capacità di regolare i flussi di visitatori attraverso la variabile del prezzo. Più una risorsa diventa scarsa, più costa. Questo significa che i periodi più “estivi” saranno probabilmente quelli su cui graverà una tassa più corposa. Anche questo è sbagliato. Perché gran parte dei flussi turistici è governata e gestita da tour operator internazionali, mentre la tassa di ingresso verrà pagata dal visitatore.
Punto quarto: capitali vincolati.
Il flusso di entrate economiche derivanti dall’ingresso dei turisti in città permetterà di poter avere un po’ “di ossigeno” all’amministrazione, Quei capitali dovranno però essere trattati in modo “separato” e avere una funzione di investimento nel turismo e per il turismo.
Punto quinto: è una “tassa” anticostituzionale.
In Italia vige il principio di progressività dell’imposizione fiscale. Questa tassa, tuttavia, colpisce evidentemente le fasce più deboli della popolazione.
Avere una visione di lungo periodo non è più una caratteristica desiderabile, ma una conditio sine qua non per poter governare il territorio.
Esattamente ciò che manca a questa proposta.
‒ Stefano Monti
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