Scuola Politica Gibel. 2019 all’insegna dell’Antropocene. Intervista a Dario Nepoti
Si svolgerà dal 2 al 7 settembre presso l’Azienda Agricola Villa Catalfamo a Palermo e avrà come tema portante Antropocene 2019. Ecco tutti i dettagli
“L’edizione del 2018 è andata oltre le attese. Palazzo Butera si è trasformato per sette giorni in un luogo magico nel quale, dalla mattina alla sera, docenti e studenti hanno dialogato sulla società spaziando dal Mediterraneo alle reti globali, dal ruolo delle città alle tecnologie delle nuove guerre, con l’obiettivo, in altre parole, di decifrare l’oggi per meglio agire in futuro. La scelta di far rimanere gran parte dei docenti per tutta la settimana ha permesso di costruire un’esperienza formante molto intensa, a tratti faticosa ma capace di unire anche dopo la scuola costruendo una comunità “Gibel” sparsa un po’ ovunque”. A parlare è Dario Nepoti, giovane fondatore di un fortunato festival di musica, di una etichetta e della ormai arcinota Scuola Politica Gibel, progetto politico e culturale dedicato specialmente agli under 35, ma aperto a chiunque abbia il desiderio di confrontarsi. La seconda edizione, dopo un primo anno a Palazzo Butera, si svolgerà dal 2 al 7 settembre presso l’Azienda Agricola Villa Catalfamo e avrà come tema portante Antropocene 2019. Ma chi sono i protagonisti di questo percorso? Il parterre dei docenti è molto composito. Le lezioni saranno condotte da Massimo Amato, docente di Storia Economica alla Bocconi, Giuseppe Barbera, che insegna Colture arboree all’Università di Palermo, Francesca Governa, prof. di Geografia Economico Politica al Politecnico di Torino, tra gli altri, mentre tra i tutor dei laboratori figurano nomi come il collettivo artistico Alterazioni Video, lo studio di architettura e design Parasite 2.0, o Franco Raggi, tra i fondatori di Global Tools. L’intervista.
Con quali obiettivi si configura questo secondo appuntamento? Come cambia il format rispetto allo scorso anno?
Fin dal primo giorno in cui abbiamo pensato alla scuola lo scenario è stato parte del metodo Gibel, variabile essenziale per raggiungere i risultati che cerchiamo. Nei mesi successivi alla prima edizione abbiamo deciso di dare ai laboratori un’identità e degli obiettivi distinti da quelli che saranno i futuri corsi che invece necessitano di un ambiente didattico più classico.
E i laboratori?
Vogliono formare e al tempo stesso costruire e allargare la rete, per questo serviva un luogo più vasto, tra la città e la natura, elegante ma fortemente coerente con il tema scelto. Un luogo per dare agli iscritti un’esperienza densa e dirompente ad alto coefficiente formante, immersiva. Questo posto lo abbiamo trovato in Villa Catalfamo, un’azienda agricola biologica che si estende sul mare a pochi kilometri da Palermo, un lembo di terra contenente il Mediterraneo in tutta la sua biodiversità e bellezza e capace di ospitare per sette giorni in un unico habitat tutta l’organizzazione. Le lezioni mattutine saranno tenute tra il cortile e i saloni del baglio settecentesco, i laboratori saranno svolti tra la campagna e il mare e infine i talk in uno spazio costruito per l’occasione.
C’è inoltre un tema: che senso ha parlare di Antropocene e come questo si connette al discorso politico alla base della scuola?
Se interpretato nella sua completezza, cogliendo ed esplorando tutto il potenziale, oltre i trend e l’inquadramento puramente ecologista e o catastrofista, l’Antropocene è un tema esplosivo, trasversale, generante problemi che richiedono risposte non sempre ovvie. Se ripercorriamo la letteratura degli ultimi anni che ha affrontato forma e forza dell’impatto dell’attività della specie umana sull’equilibrio, stabilità e sostenibilità del pianeta che abitiamo, e che non casualmente chiamiamo Terra, si può facilmente intuire che quella nella quale siamo entrati, è un’era caratterizzata da epocali sconvolgimenti sociali, geopolitici, ambientali, tecnologici ed economici che generano sfide e problemi che per essere affrontati richiedono soluzioni inedite e dirompenti, pena il collasso del sistema sociale e politico all’interno di una già disorientata cornice internazionale.
In che modo?
Le nostre istituzioni, inevitabilmente, sembrano non essersi ancora adattate al nuovo contesto, che dalla caduta del muro di Berlino è mutato esponenzialmente. Questa inadeguatezza si manifesta nella loro ormai congenita lentezza nel decifrare la nuova trama e, poi, nella loro incapacità di agire / reagire rapidamente e concretamente in profondità oltre alla superficie, senza fermarsi allo strato ben levigato che ci abbaglia. Ciò che appare sempre più necessario, anzi urgente, è avviare una fase di ripensamento e ricerca per guidare un cambiamento già in corso ma che sta prendendo una direzione scomoda e imprevedibile (dunque rischiosa) per tutti. Abitiamo una società per alcuni versi sempre più insofferente e violenta, dove i muri sono di nuovo parte del nostro paesaggio, nella quale diseguaglianze, sofferenza e depressione aumentano nonostante il Pil sia in perenne crescita, dove le crisi ambientali ed ecologiche sconvolgono quotidianamente il mondo innescando moti migratori, guerre per le risorse, emergenze sanitarie.
Cosa significa quindi parlare di Antropocene?
È parlare della crisi delle istituzioni e del ruolo della politica, è parlare di finanza e della genesi della sua unità di misura, la moneta, è parlare del cambiamento climatico e di tutte le conseguenze estreme alle quali saremo sottoposti, vale a dire migrazioni, guerre, instabilità sociale e demografica. Parlare di antropocene significa parlare di noi, delle nostre responsabilità, delle nostre abitudini, di futuro, di istruzione. Il tempo sta per scadere o, forse, è già scaduto. Siamo di fronte ad una scelta: prenderci le nostre responsabilità e coordinarci per fare qualcosa che inverta la traiettoria del disastro, oppure accettare la nostra impotenza di fronte alla nostra mostruosa potenza che ci ha portato ad essere da normali abitanti della Terra a forze della natura in grado di compromettere tutto.
In che modo l’arte vi entra a fare parte?
La scuola, fin dall’inizio, si è relazionata con artisti e architetti in quanto creatori di immaginari e spazialità, narrazioni e critiche. Poter cogliere e integrare i loro discorsi in una scuola che vuole insegnare l’approccio politico è, per Gibel, la base di tutto. Il nuovo artwork prodotto dall’artista Francesco Simeti “Everyone’s Greater Good” ha questa genesi. Quando ho incontrato Francesco alcuni anni fa ne sono rimasto folgorato. In autunno, dopo aver definito il nuovo tema, avendo ancora negli occhi i suoi paesaggi, ho preso un aereo e sono andato a trovarlo nel suo studio a New York, un luogo straordinario che spazia dalla ricerca alla sperimentazione, immerso in paesaggi sempre diversi dove la natura, nella sua bellezza, delicatezza, sofferenza si relaziona con l’uomo. In quelle conversazioni il discorso di Francesco – che da anni ricerca linguaggi ed estetiche per metterci di fronte a noi stessi – si è fuso con ciò che proviamo a realizzare con Gibel. “Everyone’s Greater Good” ne è la sintesi.
Ci saranno anche i Masbedo…
Sì, guardare il pupo ideato dai Masbedo nell’opera Protocol no. 90/6 all’interno dell’archivio di stato, percepire il logoramento del potere, la potenza della memoria, elementi fondamentali sia della ricerca artistica e ovviamente dell’arte politica è stato illuminante. I Masbedo chiuderanno la scuola con un happening tra le dune, una sorta di rito assieme agli studenti e i docenti per imprimere nel tempo l’esperienza e immaginare ciò che verrà. Sono loro che una sera a Palermo mi hanno detto “il coraggio è un muscolo che va allenato”.
Che aspettative hai per questa edizione?
Che sia quel “piccolo inizio” di cui parla il grande Husserl. Siamo una generazione che può davvero fare dell’inadeguatezza la sua opportunità, occorre però mettere ordine, come avrebbe detto la Szymborska, alle “cianfrusaglie del passato”. È già accaduto, possiamo rifarlo.
– Santa Nastro
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