Casapound, il Salone del Libro e la società civile. L’opinione di Helga Marsala

Dopo le proteste contro il Salone torinese per la presenza di una casa editrice filo-fascista, è arrivato il dietrofront. Diverse le strategie possibili di contestazione, mentre le Istituzioni legittimano (o combattono) una deriva progressiva. Cosa succede al Paese? La politica al centro delle vicende culturali. E il dibattito è già una conquista.

La casa editrice Altaforte alla fine non ha avuto il suo stand al Salone del Libro di Torino. Ha raccolto i suoi frutti il caos mediatico esploso dopo l’insurrezione di alcuni personaggi pubblici, contrari alla presenza di una società riconducibile a Casapound tra gli espositori della buchmesse torinese.
Ottenuti così l’isolamento e la marginalizzazione di un editore dichiaratamente fascista, un personaggio con precedenti per rissa e aggressione, con una militanza attiva tra le fila della destra estrema. Uno che fa apologia di Fascismo senza remore e che poi rivendica spazi di democrazia per esprimere il suo odio verso la democrazia stessa. Vittimismo strabico che farebbe sorridere, se non facesse indignare. E che obbliga a ribadire l’ovvio: qualunque ‘magna carta’, che stabilisca l’istituzione di ordinamenti democratici e la tutela di diritti universali, offre ai posteri gli strumenti necessari alla protezione dei principi sanciti. La democrazia non può cioè commettere suicidio: il suo limite implicito si rivela nello scontro con chi attenta alla sua sopravvivenza.
Complicato e controverso il tema dei reati d’opinione, ma in Italia l’orizzonte resta quello della Costituzione, espressamente antifascista, e dell’ordinamento giuridico (Legge Scelba del 20 giugno 1952). Tra le teorie fondative e la realtà c’è poi di mezzo un mare di lassismo, leggerezza, opacità. Casapound occupa da anni, illegalmente, uno stabile nel centro di Roma (ma minaccia di stupro e di morte una famiglia Rom che ottiene regolarmente una casa popolare). Casapound si candida alle elezioni e fa attivismo politico nei quartieri, fomentando i cittadini contro stranieri e minoranze etniche. Casapound manifesta liberamente il suo nostalgismo mussoliniano, la sua xenofobia e il suo autoritarismo di stampo fascista e nazionalista. Dunque, mentre scoppia il caos per uno stand al Salone del Libro, si tollera che l’eredità del PNF sia raccolta e rilanciata da nuove formazioni politiche, impegnate ad accendere micce di odio tra le periferie italiane. La prima circostanza può essere l’utile sintomo di una patologia strisciante?

Il manifesto per il Salone del Libro di Torino 2019, realizzato dall'artista MP5

Il manifesto per il Salone del Libro di Torino 2019, realizzato dall’artista MP5

SPAZI PUBBLICI E RESPONSABILITÀ POLITICA

Il Salone, si dirà, è una normalissima fiera, uno spazio commerciale. Un luogo in cui dei privati acquistano stand per vendere libri. Altaforte non è fuori legge, firma un regolare contratto, prenota uno stand ed espone quel che vuole. Si chiama libero mercato.
Non è così semplice. Il Salone del Libro di Torino è gestito sì da soggetti non profit di natura privata – Associazione Torino, Città del Libro e Fondazione Circolo dei lettori – ma ha il sostegno di diverse istituzioni pubbliche, tra cui Regione Piemonte, Città di Torino e Ministero dei Beni Culturali. Si tratta cioè di un soggetto polifonico, in cui vocazioni e identità diverse si incontrano, generando una piattaforma aperta per il nutrimento e la circolazione democratica del dibattito culturale. Uno “spazio pubblico” a tutti gli effetti. In cui il riverbero di dinamiche, forme e conflitti del vivere comune ha una sua valenza politica, estetica, culturale. Oltre l’affitto di uno stand c’è la vita di una comunità, ci sono la fotografia e l’orizzonte di un Paese, c’è l’attenzione della politica e delle istituzioni ad alcuni temi caldi.
E sono infatti Chiara Appendino e Sergio Chiamparino ad aver risolto il nodo, spinti dall’acutizzazione delle polemiche: denunciando per apologia di Fascismo Francesco Polacchi, titolare di Altaforte e dirigente di Casaopound, la Sindaca di Torino e il Governatore del Piemonte hanno compiuto la mossa definitiva, dinanzi a cui la direzione della fiera non ha potuto più abbozzare. Dopo gli intellettuali che boicottano, dopo il Museo di Auschwitz che lancia un aut-aut, le amministrazioni-partner si sono esposte con un gesto inequivocabile. Gesto che acquista un significato politico fragoroso: non solo un esposto alla Procura, ma un posizionamento netto, una spessa linea di separazione tracciata dai vertici di due amministrazioni. Un fatto importante: il mondo della cultura ha sollecitato, pungolato, alimentato la discussione politica. Arrivando a determinare una riposta istituzionale.

Il libro intervista su Salvini pubblicato da Altaforte

E la politica resta il punto. Non Altaforte, ma Casapound. Non il libro-intervista dedicato a Matteo Salvini, ma Matteo Salvini stesso. Un Ministro degli Interni che risponde a 100 domande, che acconsente alla pubblicazione per un marchio filo-fascista e che però pensa di potersene lavare le mani: come se non conoscesse Polacchi (con cui è stato più volte fotografato), come se non fosse affar suo – uomo delle Istituzioni, con un profilo e un’immagine da difendere – la scelta dell’editore. Siamo oltre il ridicolo. Un Ministro degli Interni che fa dell’offesa e del dileggio, del qualunquismo e della prepotenza uno strumento di seduzione e di propaganda. Un Ministro degli Interni che fonda la sua forza sull’attacco ad alcune categorie deboli (migranti e Rom in testa) e che arriva a fare ironia sul ladruncolo di 16 anni ferito a Roma o sul ragazzo tunisino morto a Empoli durante un fermo di polizia. Un Ministro che invoca la grazia per un assassino, reo di aver immobilizzato e ucciso a sangue freddo un ladro disarmato: apologia della violenza, senza ombra d’imbarazzi.
La figura di Salvini, che per una mera strategia del consenso liscia il pelo alla peggiore destra radicale, dando continui segnali simbolici – ripetere massime del Duce, indossare divise militari, sdoganare case editrici vicine a Casapound, sbandierare metodi punitivi, fomentare la retorica sui confini o la legittima difesa – è oggi il vero detonatore. Espressione di una legittimazione perniciosa, anche solo sul piano della narrazione e della manipolazione mediatica. Tutto questo non è e non può essere scisso dalla vicenda Altaforte-Salone o dalle guerriglie razziste nel quartiere romano di Casal Bruciato.

Lo storico e saggista Carlo Ginzburg

Lo storico e saggista Carlo Ginzburg

ANTIFASCISMO, TRANELLI MEDIATICI E STRATEGIE

E veniamo all’autogol generato in seno alla protesta. Ovvero la ribalta mediatica regalata a una piccola, sconosciuta casa editrice, al suo fondatore e al relativo partito di riferimento. Nessuno sapeva chi fosse Francesco Polacchi e quali titoli pubblicasse Altaforte. Oggi non c’è testata giornalistica, blog o social network che non si sia occupato del caso, dando voce anche a chi, parlando di “censura” (!) e minacciando ricorsi, denuncia la propria esclusione e la rescissione del contratto. È una trappola inaggirabile: la visibilità è fattore implicito a qualunque guerra mediatica. E premia i buoni come i cattivi, i perdenti e i vincitori. “Abbiamo fatto in tre giorni il fatturato di 4 anni”, ha esultato Polacchi, colui che considera il Duce il più grande statista di sempre. E il famigerato libro dedicato a Salvini è schizzato in cima alle classifiche. Amara constatazione per gli oppositori: è il coté fallimentare di una sfida comunque vinta.
L’alternativa? Ignorare, ridurre all’irrilevanza. Ma si tratta di una strategia incerta. Chi voglia imbastire una lotta politico-culturale può davvero farlo nel segno del silenzio, fingendo che nessuna anomalia esista? Un po’ come quando si suggerisce di non condividere e commentare i post di Salvini, sperando di sgonfiarne la portata. È un’ipotesi, che si fonda sul depotenziamento dei canali di comunicazione (oggi praticamente un’utopia) e sulla neutralizzazione atarassica dell’avversario; col rischio che quest’ultimo proceda indisturbato nella conquista di spazi, strumenti e occasioni di autoaffermazione. Contraddizione irrisolvibile.

Un disegno di Zerocalcare

Un disegno di Zerocalcare

Scrittori come Christian Raimo e il collettivo Wu Ming, uno storico del calibro di Carlo Ginzburg, il fumettista Zerocalcare, ma anche il museo-memoriale di Auschwitz-Birkenau e Halina Birenbaum, sopravvissuta ai campi di concentramento, hanno scelto di far esplodere la bomba, alimentando la tensione e optando per il boicottaggio. ‘Se ci sono loro non ci saremo noi‘, hanno chiarito. È il vecchio metodo della resistenza passiva, dell’ostruzionismo non violento, che ha una dignità e una storia importante, e che pure – come in questo caso – non è privo di rischi. Altri, come la scrittrice Michela Murgia, hanno preferito la via morbida, ovvero esserci ma sfruttare l’evento per praticare un po’ di sano antifascismo, generando discussioni e producendo contenuti. Un approccio costruttivo, fondato sul valore della partecipazione. Due legittime forme di protesta.
E una cosa è certa, al di là di certi contro-estremismi ideologici: l’attuale livello di deriva populista, sovranista e autoritaria – su cui alcuni partiti spingono e che ha modificato geografie politiche e sentiment dell’elettorato – è tale da rendere inevitabile l’emersione del conflitto. Ignorare e ridimensionare può essere un metodo, ma fino a quando? C’è un momento in cui il nodo oscuro va identificato e tramutato in oggetto di un’opposizione manifesta.

TRA NEVROSI E CAMBIAMENTO. IL VALORE DEL DIBATTITO

Il fronte intellettuale che ha guidato la protesta contro Altaforte, trascinando nella bufera un grande evento come il Salone del Libro e offrendo agli esclusi i titoli dei principali quotidiani, ha certo avviato una macchina mediatica feroce. Contestabili o meno le strategie, alla base c’era la necessità di denunciare un vulnus del panorama italiano, segnato da sinistri rigurgiti d’intolleranza. Con tratti sotterranei di eversività più o meno dissimulata (e qui tra Salvini e Casaleggio è una bella gara).
Il punto, allora, non sono Wu Ming o la signora Birenbaum. Il punto sono le contraddizioni che abitano il sistema. Chi ha consentito di accogliere Altaforte per poi ripensarci goffamente? Perché non si è affrontata prima la questione, anziché trasformarla in un teatrino tardivo, con tanto di guerriglie e contratti annullati in corner? La casa editrice di Casapound doveva stare lì? E se non doveva starci, perché può presentarsi alle elezioni? Il fallimento politico-culturale alla base di questa storia è tutto qui. E ha il sapore di uno stato confusionale generale: un Paese sull’orlo di una crisi di nervi, incastrato tra un passato irrisolto e un presente incosciente.
La vicenda sbocciata intorno al Salone del Libro di Torino, comunque la si pensi, è il segno di un processo in corso, consumato nel perimetro di quella “sfera pubblica” in cui la società civile definisce le proprie opinioni e spinge mutamenti sociali, politici, culturali. Qualcosa accade. E il Salone, al di là di tutto, è stato palcoscenico di un dibattito spinoso, complicato. Uno spazio di verifica e – si spera – di consapevolezza. Oltre le nevrosi, i passi falsi e il male dell’indifferenza.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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