In arrivo la controriforma dei Beni Culturali firmata Bonisoli. Quattro musei autonomi a rischio
Il Ministro dei Beni Culturali starebbe per varare la sua riforma, che in parte sconfessa quella di Franceschini. O meglio, che ne corregge e riequilibra alcuni aspetti. Preoccupazione per quattro musei e parchi autonomi, che potrebbero venire riassorbiti dalle soprintendenze.
È uno di quei Ministri di cui meno si è discusso, in questo primo anno di governo gialloverde. Il che è forse un bene, visto che dei suoi colleghi illustri si sono spesso evidenziate ingenuità, gaffe, errori, ripensamenti e contraddizioni, nel contesto generale di una tensione endemica, che ha visto convivere in un’unica squadra esecutiva il potere e l’opposizione, il sì e il no, l’alleanza e la discordia. Fino alle percentuali di voto esattamente ribaltate: la Lega dal 17% delle Politiche al 33 delle Europee, il M5S più o meno il contrario.
Alberto Bonisoli, Ministro dei Beni Culturali, non ha avuto lo spazio mediatico del Guardiasigilli Bonafede, autore del decreto col nome più populista della storia (lo “Spazzacorrotti”) e regista dell’imbarazzante film patinato sul prigioniero Cesare Battisti; non quello che Danilo Toninelli, Ministro delle Infrastrutture, si è conquistando fra il trafficatissimo Tunnel (inesistente) del Brennero e il Ponte di Genova, reinventato come galleria commerciale; né ha avuto l’eco del cattoleghista Fontana, con la sua nota idiosincrasia per le famiglie arcobaleno, o di Bussetti, Ministro dell’Istruzione, che dopo aver dato dei fannulloni ai docenti meridionali, s’è trovato nella bufera per la vicenda della prof. palermitana, ingiustamente sanzionata per un video antirazzista dei suoi studenti.
LA RIFORMA DELLA RIFORMA
Di Bonisoli poco s’è detto, insomma. Poche polemiche e uscite infelici, poca ribalta, ma anche poche azioni meritevoli di nota. Più dormiente che diligente? Non proprio. Sono mesi che un pool di tecnici, quasi tutti interni, scelti tra i più stretti collaboratori del Ministro, è a lavoro per sfornare quella che è stata battezzata la “Riforma della riforma”. Ovvero, la risposta a quanto fatto da Dario Franceschini nelle stagioni Renzi e Gentiloni. Una sfida che era nell’aria fin da subito, forse da sempre, almeno nelle mire di quel Movimento Cinque Stelle che il piano dell’ex Ministro – come del resto ogni misura riconducibile al renzismo o al piddì – non l’aveva mai amato, al punto da aver regalato al Paese uno scontro fra la sindaca Virginia Raggi e lo stesso Franceschini, consumato a colpi di sentenze del Tar Lazio e del Consiglio di Stato, in merito all’istituzione del Parco Archeologico del Colosseo. Battaglia vinta dallo Stato, su tutti i fronti e per tutti i punti di contestazione (coinvolgimento del Campidoglio, legittimità dell’istituzione stessa del Parco da parte del Dicastero, riduzione di proventi per le altre aree archeologiche del Comune, nomina di direttori non italiani).
I QUATTRO MUSEI A RISCHIO
Ad ogni modo quella riforma – per quanto significativa, trasversalmente apprezzata e suggellata da ottimi risultati in termini di numeri e di agilità gestionale – all’area pentastellata, di cui Bonisoli è espressione, non era mai piaciuta. Tutto da demolire, dunque? Non sembra andare così, sulla base di quella bozza di riorganizzazione che il Ministro e il suo staff hanno finalmente sfornato e che è ora al vaglio dei Ministeri dell’Economia e della Funzione pubblica, per essere definita e poi varata in Consiglio dei Ministri entro il prossimo 30 giugno. L’impianto c’è, ma si mettono in conto modifiche e aggiustamenti.
Tema centrale, la benedetta autonomia. Quella che l’ex inquilino del Collegio Romano aveva conferito a 32 musei statali e che si temeva potesse venire cancellata dal nuovo ordinamento. Stando al recente report di Repubblica e ai rumors ormai diffusi, sarebbero quattro i musei a rischio, quelli a cui si sta pensando di sospendere il regime di autonomia gestionale e finanziaria, non si capisce bene con quali vantaggi: il Parco dell’Appia antica e il museo di Villa Giulia a Roma, il Parco del Castello di Miramare a Trieste e le Gallerie dell’Accademia a Firenze.
Tutti e quattro diretti da professionisti vincitori dei bandi previsti dalla famosa riforma: rispettivamente Simone Quilici, architetto romano di 49 anni, nominato proprio in queste ore grazie all’ultimo concorso bandito, e per assurdo già finito nella lista dei siti a rischio; il 43enne umbro Valentino Nizzo, insediatosi nel 2017 e con un contratto che scadrà nel 2021, animatore assai vivace del museo etrusco, con buoni risultati alla mano in termini di visite, di iniziative culturali, di comunicazione e rapporto col territorio; Andreina Contessa, anche lei in carica (teoricamente) per altri due anni, impegnata con entusiasmo in un’operazione di rilancio del parco triestino, da tempo precipitato in condizioni di degrado; e infine Cecilie Hollberg, in sella da 2015 e oggi in scadenza (come gli altri direttori, scelti con la prima tornata di concorsi), fiera del lavoro svolto e incredula dinanzi alla prospettiva che sembra delinearsi: “Mi sorprende leggerlo, poiché siamo un museo che festeggia un successo dopo l’altro: siamo tra i primi due musei statali italiani”.
PIÙ POTERE ALLO STATO
Nulla di preconcetto, alla base di questa revisione generale, aveva assicurato già qualche mese fa Bonisoli in un’intervista all’agenzia AgCult, presentando la nuova “commissione d’indagine, che dovrà entrare nel merito di alcune situazioni per poi illustrare esattamente che cosa non funziona e quali eventualmente possano essere delle criticità”, e specificando “la volontà di affrontare il tema strutturale senza lenti di tipo ideologico (il dibattito ‘pro o contro la riforma Franceschini’ non mi interessa, conta solo capire cosa funziona e cosa no)”. Secondo il Ministro era chiaro che bisognasse “guardare all’organizzazione”, non chiedendosi se questa fosse “stata cambiata due anni fa, quattro anni fa o 20 anni fa (…). Ci sono degli aspetti da approfondire e altri che, invece, sicuramente, hanno bisogno di un tagliando e di una revisione critica. Più che gli aspetti strutturali veri e propri, è il modo in cui funzionano”.
I modi e i meccanismi, ma non solo. In quella stessa intervista, a proposito di autonomia e del ruolo dello Stato, Bonisoli era stato chiaro: “Quando ho visto la riforma, ho avuto l’impressione che ci fosse quasi un punto di vista ideologico: quasi a dire ‘lo Stato più di tanto non può fare quindi mettiamo un po’ di distanza tra lo Stato ed alcune istituzioni affinché queste possano funzionare al meglio”. Dove sia l’ideologia non è chiaro, semmai un eccesso di concretezza, se così fosse. In ogni caso, per il Ministro, “è lo Stato che deve trovare modalità per far funzionare al meglio queste istituzioni, ma il loro ruolo e il loro posizionamento devono essere all’interno del perimetro statale. I musei possono anche rimanere autonomi: tuttavia, una delle valutazioni che faremo è ‘quali musei’ e ‘che cosa significa’ essere autonomi”.
I quattro musei perderebbero dunque l’autonomia a seguito di valutazioni tecniche, di analisi dei numeri (dagli ingressi agli incassi), di redistribuzione di incarichi dirigenziali, ma anche di opportunità in merito al senso dell’autonomia stessa: nel caso dell’Appia Antica, ad esempio – che un museo non è, né un’area di scavi o un complesso monumentale circoscritti, ma una porzione urbanistica di Roma – l’ipotesi è che possa tornare a dipendere dalla Soprintendenza capitolina, in assenza di una conformazione che giustifichi l’esigenza di una governance indipendente.
Ma non è tutto. Sempre in linea con quest’idea di rafforzamento statale, si parla di maggiori poteri assunti dalle strutture ministeriali, con la nascita di una nuova direzione “Contratti e concessioni”: oltre una certa soglia di spesa il nuovo organismo si occuperà di bandire gare d’appalto anche per i siti autonomi, compresi quelli di grandi dimensioni (Uffizi, Pompei, Colosseo). Più controllo, maggiore centralizzazione. E meno agilità ed efficienza, daccapo. Stessa musica per i prestiti e le esportazioni delle opere d’arte: ad autorizzarli sarà la direzione generale “Archeologia, belle arti e paesaggio”, non più i direttori delle singole istituzioni museali. Cambia infine nome la Direzione “Arte e architettura contemporanee e periferie urbane”, sostituito dal più accattivante “Creatività contemporanea e rigenerazione urbana”, all’interno del quale confluiranno anche i settori moda e design.
Insomma ad un primo sguardo la palla della oggettiva debolezza di Bonisoli sarebbe stata presa al balzo dai funzionari e dai dirigenti centrali del Ministero, che riescono a riprendersi in mano un po’ di potere giustamente perduto.
TRA PUBBLICO E PRIVATO
Quanto ci sia di scientifico e di strategico in questa operazione controriformista – non drastica ma decisa, non distruttiva ma parzialmente incisiva – è difficile dirlo, in assenza di dati definitivi. La Riforma Franceschini non sarà fatta a pezzi, questo è ormai certo. Per fortuna. Ma un segnale, Bonisoli, proverà a darlo. In antitesi rispetto al suo predecessore, da un lato, ma anche in termini di maggiore audacia, per altri versi. Sembra infatti che la seconda commissione, istituita nei mesi scorsi per occuparsi dei rapporti tra pubblico e privato, si stia muovendo – secondo quanto trapela dalla pagine del Foglio – “in direzione di una maggiore modernità e flessibilità che non piaceranno ai soliti noti”. E il riferimento diretto del quotidiano qui è a Salvatore Settis e all’impianto del Codice dei Beni Culturali, tutto orientato al concetto di conservazione.
Meno rigidità nell’utilizzo di spazi monumentali e campo più libero ai soggetti privati che vogliano investire sui Beni Culturali (i vituperati “giacimenti culturali”, termine coniato da Gianni De Michelis ne lontano 1986)? Con quali criteri, garanzie, margini di innovazione? Bonisoli, come avevamo evidenziato in un articolo che ne delineava il profilo professionale, ancor prima che il governo si formasse, proviene da esperienze professionali legate al mondo della formazione ma anche dell’impresa, dell’innovation management, del sistema moda e delle sinergie tra ente pubblico e soggetto privato. Sarà davvero in questo senso che si orienteranno le nuove disposizioni?
Tutti i nodi saranno sciolti a breve. Nel giro di un mese il pacchetto dovrebbe avere il via del Consiglio dei Ministri. Sempre che la baracca tenga, resistendo ai colpi della UE, all’ipotesi nera di infrazione, all’esaurita pazienza di Conte e alle querelle social di Salvini e Di Maio. Un’Italia assai più fragile, oggi, stando agli indicatori economici, ai parametri di sviluppo, alla fiducia dei mercati e alla forza contrattuale in ambito europeo. La tenuta del settore culturale conta, soprattutto nel medio e lungo termine, e la partita di Bonisoli è di quelle che fanno la differenza, in termini di immagine, di autorevolezza e intelligenza politica.
– Helga Marsala
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