Chiese sconsacrate e arte contemporanea

A fronte di un ampio numero di chiese che hanno perso la loro funzione originaria, l’interrogativo che riecheggia sempre più di frequente è: perché non adibirle a luoghi culturali?

Uno dei grandi maestri dell’Arte Povera, Jannis Kounellis, diceva in maniera ironica: “Sono laico e di chiesa”. Gli capitò spesso di lavorare per committenze religiose, ad esempio a Bergamo, a Milano e Reggio Emilia. Accettava tali prove come delle sfide su cui buttarsi con franchezza, impegno, libertà, fervore. All’ex Oratorio di San Lupo, a Bergamo, chiesa dalle suggestioni teatrali, Kounellis nel 2009 realizzò un’installazione con cappotti, cappelli e scarpe distesi a occupare l’intero pavimento, sotto il quale un tempo venivano sepolti i defunti, all’ombra di una croce contemporanea in ferro incombente sul tutto. Una sorta di rievocazione di un cimitero particolare, di grande potenza comunicativa. Secondo l’artista la religione non deve essere solo spirituale, ma la devi “poter toccare” e la contemporaneità può esercitare un proprio ruolo. Nei tagli di Fontana, diceva, si può anche leggere una metafora delle ferite nel costato di Cristo. Affermava che ogni individuo deve avere il proprio rapporto con la fede e che “c’è un Cristo per ogni artista e un artista per ogni Cristo”.
Tutto questo, il rapporto tra arte contemporanea e chiesa, va di pari passo anche con un altro tema: cosa farne dei migliaia di siti di matrice religiosa che nel tempo hanno perso le loro funzioni e versano nel degrado. La banca dati dei “Beni culturali ecclesiastici in web” ‒beweb.chiesacattolica.it ‒, censimento sistematico del patrimonio storico e artistico, architettonico, archivistico e librario portato avanti dalle diocesi italiane e dagli istituti culturali ecclesiastici sui beni di loro proprietà, ha catalogato più di 65mila edifici di culto in Italia. Tuttavia non sono tutte le chiese del Paese, ma quelle di proprietà di 219 diocesi; sono esclusi gli ordini religiosi, le chiese del Fondo Edifici di Culto, ecc. Si stima un totale effettivo superiore alle 100mila unità. Stima ancora più difficile, quella che mira a valutare la condizione di tutti gli edifici.
Il riuso dei beni ecclesiastici abbandonati è un processo in costante crescita negli ultimi anni, non solo in Italia. In Germania dal 2000 sono state chiuse più di 500 chiese cattoliche; un terzo di queste è stato demolito, due terzi sono stati venduti o destinati ad altri scopi. Nel frattempo, più di 500 chiese chiuderanno in Olanda nel prossimo decennio. In Italia negli ultimi anni sembrano essere state almeno 700/800 le chiese che hanno dovuto ripensare il proprio ruolo. Molti di questi edifici si trovano in borghi abbandonati. Quel che è certo è che l’edificio chiesa è un elemento chiave del paesaggio del Paese, delle infrastrutture e degli spazi pubblici, sia a livello provinciale che, su un diverso livello, nei grandi centri. La Conferenza Episcopale Italiana ci sta dedicando studi, conferenze e ha cercato di dettare delle linee guida. Il mutamento della situazione demografica e sociale e della pratica religiosa, negli ultimi decenni, ha reso eccessivo in alcuni luoghi il numero delle chiese, con la conseguente necessità di una diversa destinazione d’uso. Il Papa ha affermato, in relazione a ciò, che “prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta a uscire dal pragmatismo utilitaristico” e ha ricordato “l’importanza del lavoro degli architetti e degli artisti nella riqualificazione e rinascita delle periferie urbane e in genere nella creazione di contesti urbani che salvaguardino la dignità dell’uomo”.

Jannis Kounellis. Dodecafonia. Exhibition view at Gavin Brown’s Enterprise, Roma 2016

Jannis Kounellis. Dodecafonia. Exhibition view at Gavin Brown’s Enterprise, Roma 2016

COINVOLGERE LA COMUNITÀ

Questo processo deve per forza di cose avere a che fare con un coinvolgimento della comunità locale, di una molteplicità di soggetti per interpretare i nuovi bisogni della società civile, dove la cultura e l’arte giocano un ruolo fondamentale. L’economia della cultura ha registrato nei decenni trascorsi il passaggio da società industriale a post-industriale, le risorse più disponibili hanno creato i presupposti perché più persone cercassero la propria autodeterminazione, la propria identità, interpretando la ricchezza come un mezzo per raggiungere obiettivi non materiali di realizzazione personale (Pierluigi Sacco, 2017). Il bisogno identitario viene percepito come prioritario, le persone caricano i beni e i servizi, ma anche i luoghi dove trovarli, di significati altri rispetto a quelli materiali, in una dimensione rappresentativo-espressiva. La crisi delle pratiche religiose fa i conti, in ogni caso, con una ricerca di identità e di significati, e in questo contesto il recupero di elementi architettonici simbolici ed espressivi può essere importante nella ricerca delle poetiche degli artisti contemporanei, spesso in crisi da questo punto di vista. Come diceva ancora Kounellis, “intervenire in spazi come questi è una cosa molto speciale, non devi ‘rompere’, ma nello stesso tempo non puoi non ‘rompere’. Se si guarda un quadro di Caravaggio, si capisce benissimo che bisogna comunque ‘rompere’. Ma la storia dice che tutti coloro che si sono occupati di cristi e di madonne, come Giotto, Masaccio, lo stesso Caravaggio, sono riusciti a proporre cose assolutamente rivoluzionarie: nell’arte occidentale questo è un fatto che ha a che fare con la chiesa in quanto ‘popolo’ e non con la spiritualità”. Certi luoghi e simboli costringono da un lato, ma esaltano dall’altro.
Argomenta ancora Sacco su come la cultura possa e debba sottolineare una sua vocazione di volano di sviluppo locale. Un cultura pensata come un “ecosistema nel quale varie dimensioni, dalla partecipazione dei cittadini all’educazione, dalle contaminazioni con i più vari settori sociali e produttivi alla produzione culturale e creativa vera e propria, sono legate da interdipendenze molto più complesse e interessanti di quanto si immagini normalmente”. Se è vero, come è vero, questo presupposto, è facile individuare nelle chiese in disuso ‒ dai paesini della provincia ai quartieri delle città ‒ dei possibili elementi architettonici identitari cardine dove questa cooperazione a livello locale potrebbe accadere, tesa a recuperare storie e valori, ma anche a guardare avanti con nuovo spirito critico. Potrebbero essere delle palestre dove sperimentare una nuova concezione ecosistemica della cultura e affrontare molti temi cruciali delle politiche del nostro tempo, come l’invecchiamento attivo, la sostenibilità socio-ambientale, il lifelong learning, la coesione sociale e il dialogo interculturale.

Le Langhe viste dalla Cappella del Barolo, con gli interventi di Sol LeWitt e David Tremlett, Tenuta Ceretto. Photo Gilberto Silvestri

Le Langhe viste dalla Cappella del Barolo, con gli interventi di Sol LeWitt e David Tremlett, Tenuta Ceretto. Photo Gilberto Silvestri

GLI ESEMPI

Se si cercano esempi recenti di come il luogo chiesa sia diventato ambito per progetti di arte contemporanea, ma anche di progetti culturali e sociali più ampi, si nota come il trend sia in assoluto sviluppo. La Cappella del Barolo, nella tenuta Ceretto, restaurata nel 1999 affidandone il compito a due artisti contemporanei, Sol LeWitt e David Tremlett, ha aperto una fase storica che ha visto i casi aumentare negli anni. Si dice che i due artisti, davanti a un bicchiere di Barolo, ebbero l’ispirazione: un “fuoco acceso sulla collina” per Tremlett, “un oggetto, un’opera d’arte, per la quale usare il colore” per LeWitt, e realizzarono un’opera d’arte contemporanea coloratissima che quest’anno compie vent’anni. E in questo, il legame arte e vino – e quindi territorio ‒ ha prodotto altri risultati degni di nota; si potrebbe ad esempio citare l’installazione di Anish Kapoor nella cappellina del Castello di Ama, nel Chianti: al centro del pavimento si apre un cerchio luminoso, una piccola accesa voragine, una percezione di fuoco e luce.
A Milano, nel 1996, inizia l’esperienza della Chiesa Rossa. Su invito del reverendo Giulio Greco, Dan Flavin concepì un’opera come elemento centrale del restauro, e come rinnovamento della chiesa parrocchiale progettata da Giovanni Muzio negli Anni Trenta, con la Fondazione Prada a sostenere l’impegno economico. La chiesa è tutt’ora luogo di culto ed è conosciuta e caratterizzata anche da “gesti di luce elettrica atti a definire lo spazio”, come diceva lo stesso Flavin.
A Milano si possono trovare anche la Chiesa di San Fedele e il Museo Francesco Messina. Nel primo caso, un vero e proprio museo di arte contemporanea è stato pensato all’interno della cinquecentesca chiesa a due passi dal Teatro alla Scala, con opere incentrate sulla dialettica fra laico e sacro di Fontana, Kounellis, Paladino, Simpson, Parmiggiani e altri. Il tutto cominciò nel 1956, quando Padre Favaro chiese a Fontana di realizzare una pala d’altare.
Il civico museo-studio Francesco Messina, invece, è collocato all’interno della chiesa sconsacrata di San Sisto al Carrobbio, nel cuore della zona antico romana della città di Milano. L’artista siciliano, ma milanese di adozione, inviò una richiesta al Comune di Milano di concessione dell’edificio in comodato a vita per l’utilizzo come studio, in cambio del restauro completo della chiesa e dell’annessa canonica.

Sean Scully, Opulent Ascension, 2019. Abbazia di San Giorgio Maggiore, Venezia 2019 © Sean Scully. Courtesy the Artist and KEWENIG, Berlino. Photo Stefan Josef Müller, Berlino

Sean Scully, Opulent Ascension, 2019. Abbazia di San Giorgio Maggiore, Venezia 2019 © Sean Scully. Courtesy the Artist and KEWENIG, Berlino. Photo Stefan Josef Müller, Berlino

VENEZIA

A Venezia, la Biennale ormai da molti anni è occasione per sperimentare il rapporto tra chiese e contemporaneo. Hanno lasciato traccia nella memoria i progetti di Pipilotti Rist nella Chiesa di San Stae, Bill Viola nella Chiesa di San Gallo, Recycle Group nella Chiesa di Sant’Antonin, e molti altri ancora, incluso Sean Scully all’Abbazia di San Giorgio Maggiore, ancora in corso. Le chiese in città sono 157, altre 40 sono andate distrutte e oltre 30 a oggi risultano “chiuse al culto”. Questo rende l’idea della rilevanza del tema in una città che ha fatto del rapporto con l’arte e la cultura la sua ragion d’essere.
Due righe a parte merita il progetto Ocean Space nella chiesa sconsacrata di San Lorenzo, nel sestiere di Castello. In questo spazio la Thyssen-Bornemisza Art Contemporary Academy (TBA21) ha aperto una sua sede permanente. La fondazione si è fatta carico degli interventi di restauro per dare continuità al suo progetto di grande attualità legato agli oceani e al loro delicato equilibrio, che coinvolge artisti, scienziati, politici, esperti di cambiamento climatico, organizzando mostre, residenze, spedizioni, convegni. Una chiesa che diventa luogo di riflessione sul presente, sperando magari nella suggestione e nel monito dell’austero ambiente ospitante.

Chiesa del Nuovo Ospedale PG23 di Bergamo. Intervento di Andrea Mastrovito

Chiesa del Nuovo Ospedale PG23 di Bergamo. Intervento di Andrea Mastrovito

BERGAMO E PADOVA

A Bergamo, dopo l’esperienza dell’Oratorio di San Lupo, nel 2014 è stata inaugurata la Chiesa del Nuovo Ospedale PG23 – luogo di culto dedicato a Papa Giovanni XXIII – con interventi di alcuni artisti contemporanei come Stefano Arienti e Andrea Mastrovito. Il piccolo e suggestivo ex Oratorio di San Lupo a Bergamo, gestito dalla Fondazione Adriano Bernareggi, negli anni ha dato vita a interventi di arte contemporanea, con Kounellis, Castella, Parmiggiani, Alviani e altri.
Nella vicina Padova, oltre all’esempio virtuoso del Museo Diocesano diretto da Andrea Nante, con un dialogo costante con l’arte contemporanea, è in fase di restauro la Chiesa di Sant’Agnese. Al termine della guerra venne sconsacrata e venduta ai privati. Divenne autofficina già alla fine degli Anni Quaranta e rimase tale fino agli Anni Ottanta. Quando l’officina chiuse, la chiesa versò per alcuni anni in stato di degrado e rimase inutilizzata, fino al momento in cui venne rilevata, qualche anno fa, dalla Fondazione Alberto Peruzzo, che ne completerà i restauri entro il 2020 per farne un luogo di cultura e arte, restituendola quindi alla città e a un uso pubblico. Una chiesa che ha conosciuto il proprio sviluppo mentre Giotto dipingeva, a poche centinaia di metri di distanza, la Cappella degli Scrovegni nei primi del Trecento, e anche qui sono stati trovati i segni del passaggio dei collaboratori del grande artista toscano. La fondazione darà vita, nella chiesa, anche a un dialogo con l’arte contemporanea.
Questi sono solo alcuni esempi, tralasciando gli utilizzi culturali di altro tipo (vedi le librerie, come a Maastricht in una chiesa del XIII secolo) o tutte le altre destinazioni non culturali (commerciali, ricreative, sociali, quali, ad esempio, lo skatepark di Llanera, in Spagna).

Okuda San Miguel, Kaos Temple, 2015. Photo courtesy Elchino Pomares

Okuda San Miguel, Kaos Temple, 2015. Photo courtesy Elchino Pomares

IL CONVEGNO

Tutto questo processo e questa attenzione hanno fatto sì che a fine 2018 il Pontificio Consiglio della Cultura, la CEI e la Pontificia Università Gregoriana organizzassero il convegno internazionale Dio non abita più qui? sull’uso delle chiese dismesse, nell’ambito del quale il Papa ha esternato i pensieri di cui abbiamo fatto cenno qui sopra. Un paio di settimane dopo il convegno, sono state pubblicate le linee guida per ‘la dismissione e il riuso’ delle chiese, a firma del Cardinale Ravasi. Tra le raccomandazioni finali si legge: “La cura del patrimonio culturale religioso è responsabilità principalmente di tutta la comunità e in particolare di quella ecclesiale, per le quali questo patrimonio ha importanza, a livello locale o globale (…). Ogni decisione sul patrimonio culturale deve essere inserita in una visione territoriale complessiva delle dinamiche sociali (flussi demografici, politiche culturali, mercato del lavoro, attenzione alla sostenibilità ambientale e paesaggistica ecc.), delle strategie pastorali e delle emergenze conservative in accordo con le norme internazionali e nazionali relative al patrimonio culturale”. Ma anche: “Sono certamente da preferirsi adattamenti con finalità culturali (musei, aule per conferenze, librerie, biblioteche, archivi, laboratori artistici ecc.) o sociali (luoghi di incontro, centri Caritas, ambulatori, mense per i poveri e altro). Per le costruzioni più modeste e prive di valore architettonico si può anche ammettere la trasformazione in abitazioni private”.
Un piano sulle chiese in disuso sarà in ogni caso un grande tema a cui far fronte nei prossimi anni, quando si parlerà di architettura, di arte contemporanea e di politiche culturali nel nostro Paese, in un’ottica auspicabile di ecosistema attivo e consapevole.

Marco Trevisan

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati