Chi sarà il nuovo ministro della cultura? I sogni di Gianluigi Ricuperati
Paolo Baratta o Stefano Boeri o Paolo Verri? Patrizia Sandretto o Michela Murgia? O forse Angelo Argento? Gianluigi Ricuperati si presta al totonomi per il prossimo ministro della cultura. Sapendo bene, lui per primo, che mai il nuovo governo farà una scelta così oculata.
Pensiero stupendo. Da quanto non lo associamo alla politica, e in particolar modo ai beni culturali, al Ministero dei Beni Culturali, alle figure che hanno occupato quello che in Francia (e in Italia, fino a pochi decenni fa) veniva offerto solo a veri intellettuali prestati alla cosa pubblica, e non a “cosi pubblici” prestati alla gestione culturale: scrittori come Malraux, o anche Spadolini o Ronchey, volendo, capaci di pensare “la cultura” come un Museo Immaginario con enormi conseguenze sulla vita reale, sulla percezione della felicità comune dei cittadini, sulla reputazione del Paese, sull’economia della conoscenza. E via discorrendo.
MAI PIÙ UN BONISOLI
Il pensiero stupendo sarebbe che la nuova o possibile colazione di governo decidesse che la parola ‘cultura’ ha almeno tre lettere in comune con la parola ‘Italia’, e che il nostro patrimonio dovrebbe essere amato di un amore istituzionale e individuale, gestionale e museale, organizzativo e poetico, architettonico, economico e musicale.
Il pensiero stupendo sarebbe che l’Italia, più ancora che qualsiasi altra nazione al mondo, non può e non deve permettersi di nominare al piano più alto del Ministero della Cultura una persona che non ami la produzione di conoscenza, non frequenti la produzione di bellezza, non respiri la sperimentazione artistica e intellettuale, non nuoti nei linguaggi estetici di almeno una disciplina con ampia profondità (con ampia curiosità per tutte le altre).
Non possiamo più permetterci un Bonisoli Bis, cioè uno – e lo dico con cognizione di causa – che non si è mai interessato ai contenuti di alcunché di culturale in vita sua prima di essere miracolosamente fatto ascendere al cielo della politica.
Voglio essere chiaro e disperato. Non è una questione privata: lo spessore intellettuale di chi occupa lo scranno del Mibac è una questione di assoluta importanza, un indicatore dello stato di salute complessivo della classe politica e dirigente. Non possiamo permetterci un ministro o una ministra che non vivano nella e della produzione culturale. Da decenni. Da sempre. Da quando avevano quindici anni.
Perciò mi permetto – vivendo nella produzione culturale da quando ho quindici anni – di stilare un elenco di cinque nomi che in un Paese meraviglioso sarebbero invitati senza alcun “ma” e al di là di qualsiasi “se” all’onere più importante di via del Collegio Romano.
CINQUE NOMI IMPOSSIBILI
Il primo è Paolo Baratta, mente raffinatissima dietro tutte le scelte della Biennale di Venezia, leader senza bisogno di bastoni o carote – ricordando che la Biennale è uno dei pochi fili per cui il contemporaneo sta ancora attaccato all’immagine del nostro Paese.
Il secondo è Stefano Boeri, che oggi è, per fortuna sua, più conosciuto come grande architetto che come organizzatore culturale, ma da direttore di Domus e Abitare e assessore alla cultura di Milano ha sempre mostrato una capacità di visione internazionale e di qualità, anche con il coraggio di sbagliare.
La terza è Patrizia Sandretto, una delle poche figure italiane che muove azioni e risorse nell’arte a livello globale, con un’intelligenza emotiva diplomatica che pochissimi altri nel nostro Paese possono vantare.
Il quarto nome è Paolo Verri, che a Matera ha fatto un lavoro straordinario di ideazione e “messa a terra”, spesso nonostante e qualche volta “contro” una certa miopia politica locale e nazionale.
La quinta, che farà storcere il naso ad alcuni perché non ha forse la sufficiente esperienza organizzativa, è una scrittrice che però rappresenterebbe la discontinuità rispetto all’homunculus del Papeete, se non altro per la quantità di insulti che si è presa: Michela Murgia, in ogni caso, porterebbe al ministero una ventata di idee e connessioni con cosmi e microcosmi finora marginalizzati dal potere culturale reale.
E SE FOSSE ANGELO ARGENTO?
Tutti questi, a dire il vero, sono impavidi sogni: nessuno dei cinque nomi che ho elencato per stima ed esperienza verrà preso in considerazione, perché la politica è arcigna e complessa, e ha il respiro da rivedere. Ci vuole forse allora una figura che la politica romana la conosca bene, ma ciononostante abbia mantenuto facoltà di libera opinione, e passione culturale, e capacità di vedere al di là dei nasi e dei nani, come hanno sempre fatto quelli che poi sono stati ricordati come giganti.
Esiste un uomo del genere? Forse no. Ma se esiste qualcosa di simile, io lo posso indicare nella figura di Angelo Argento, avvocato siciliano trapiantato a Roma, presidente di Cultura Italiae, una comunità trasversale a tutti i partiti e a tanti mondi, che unisce personalità di alto profilo istituzionale a curatori punk, creativi conosciuti in tutto il mondo e imprenditori visionari. Cultura Italiae non è una lobby, non è un movimento, non è un gruppo di pressione: principalmente una serie di chat che radunano persone che la pensano in modo anche radicalmente diverso, ma che sono unite dall’immaginare il nostro Paese come terra delle opportunità culturali e la cultura come campo di applicazione di valori intellettuali, umani, sociali, economici.
In tanti anni di social media non ho mai visto uno come Angelo Argento, capace di coltivare la difficile arte del dialogo tra opposti, un dialogo che ha necessità di basarsi su una fede assoluta (ma dubbiosa, va da sé) nel potere ingegneristico della condivisione. Appassionato d’arte e architettura e cinema, curioso di tutto il resto, cattolico indipendente vicino al PD e ben noto al Quirinale, ma rispettato anche dai Cinque Stelle più insospettabili e riottosi, e persino dagli arcigni leghisti, forse Argento potrebbe davvero essere l’avvocato dei produttori di cultura italiana, quelli vivi e quelli che non ci sono più. Chiunque sia a decidere, questa volta batta un colpo nella direzione della passione e della competenza.
– Gianluigi Ricuperati
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