Appello al nuovo ministro della cultura Franceschini. L’editoriale di Stefano Monti
In un momento così delicato come quello attuale, in cui un nuovo governo sta riprendendo in mano le sorti del Paese, Stefano Monti chiede al Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini di garantire una visione a lungo termine, non legata soltanto alle singole leggi e riforme.
Qualche settimana fa, nel bel pieno di una crisi di governo, il nostro ex Ministro dei Beni Culturali ha firmato una riforma che, date le condizioni contingenti, poteva forse lasciare nel cassetto. Come ormai noto a tutti, invece, il Ministro ha presentato questa riforma con un tempismo che ricorda quando, da ragazzini, l’ultimo giorno delle vacanze trovavamo il coraggio di parlare con la persona che ci piaceva. Firmare una riforma in questo modo esprime una limitata coscienza del proprio ruolo costituzionale, per parafrasare Conte.
Non si tratta dei contenuti della riforma. Su questi si sono già espressi in molti, con critiche spesso anche condivisibili. Il punto centrale, di cui la Riforma Bonisoli è solo l’ultimo esempio, è la consapevolezza da parte delle nostre forze politiche del ruolo “transitorio” che esse rivestono. Questa considerazione attiene al funzionamento generale del nostro Paese, che prevede, per ogni carica, una naturale “scadenza”. Questa scadenza, oltre a evitare assolutismi, dovrebbe servire a ricordare a ministri e parlamentari che essi rivestono un ruolo temporaneo. Da ciò, ma forse questa è solo una riflessione leziosa, dovrebbe anche instillarsi il sospetto che bisognerebbe lavorare (nel pieno rispetto delle proprie visioni politiche) per fornire al nostro Paese una continuità nel tempo, anche a seguito del proprio mandato.
Inserire una riforma, che è più una “contro-riforma” come da molti indicato, negli ultimi giorni utili di un governo è per questo motivo irrispettoso e deleterio.
Irrispettoso, perché si condiziona un futuro di cui non si è “rappresentativi” e lo si vincola a regole e criteri che non necessariamente riflettono le visioni organizzative proposte.
Deleterio perché, come è giusto che sia, la riforma dell’assetto del Ministero probabilmente non rientrerà nelle prime tre priorità del nuovo governo e questo implica anche che, per un periodo stimabile almeno in sei mesi (a voler essere ottimisti), la contro-riforma sarà valida, ma non necessariamente sarà condivisa. Quindi: almeno sei mesi in cui gli operatori non sapranno se (e come) questa riforma sarà poi convalidata dal nuovo governo.
In pratica? Incertezza e stallo. Esattamente ciò di cui il nostro Paese non ha bisogno.
“Bisognerebbe lavorare per fornire al nostro Paese una continuità nel tempo, anche a seguito del proprio mandato”.
Ritorna così centrale il concetto di transitorietà delle nostre forze politiche, soprattutto per quanto riguarda il settore della cultura e dei beni culturali in senso ampio.
Il nostro sistema culturale, che già di per se non mostra una grande adattabilità ai cambiamenti, è già scosso dai profondi mutamenti che caratterizzano la nostra epoca.
È da queste riflessioni che, da più parti tra gli operatori culturali, si solleva un appello a chi dai prossimi giorni sarà chiamato a governare. L’Italia della cultura ha bisogno di un sostegno, di una visione di lungo periodo (vale a dire un periodo più ampio di una legislatura), in base alla quale “adattarsi” alle sollecitazioni contingenti senza perdere le proprie direzioni.
Nonostante la “mossa Bonisoli” possa essere un assist perfetto per una contro-contro-riforma, reazionarismi su reazionarismi, chiediamo a chi governerà di dribblare tale provocazione (e tale stallo) e lavorare alacremente per migliorare le condizioni attuali senza avvertire l’esigenza di vedere il proprio nome accanto a una legge.
– Stefano Monti
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