Nuovo Governo, Dario Franceschini torna a essere Ministro dei Beni Culturali e del Turismo
Dopo la parentesi Bonisoli, la coalizione di governo targata M5S-PD nomina come Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, che ha già ricoperto la carica dal 2014 al 2018. La delega del Turismo, dopo essere stata accorpata al Ministero dell’Agricoltura, torna di nuovo ai Beni Culturali
Ritorna dopo un anno al Collegio Romano Dario Franceschini, rinominato in queste ore Ministro dei Beni Culturali e del Turismo nel nuovo governo targato dalla coalizione Movimento 5 Stelle – Partito Democratico. Franceschini era già stato alla guida del Ministero – a cui adesso finalmente ritorna la delega al Turismo, dopo che il precedente governo M5S-Lega l’aveva bizzarramente accorpata al Ministero dell’Agricoltura – dal 2014 al 2018, prima nel governo Renzi e poi riconfermato nel governo Gentiloni. Lascia così la carica di Ministro dei Beni Culturali, dopo poco più di anno, Alberto Bonisoli, della compagine del M5S, che fino a pochi giorni fa, in piena crisi di governo, ha firmato un decreto che vede ribaltare quanto, nel 2014, era stato fatto nell’ambito della Riforma Franceschini, il cui punto saliente era una sostanziale autonomia gestionale e finanziaria data ai grandi musei italiani di interesse nazionale, con direttori altamente specializzati e scelti attraverso concorso pubblico, aperto anche a stranieri (quelli che poi, una volta selezionati, vennero chiamati “superdirettori”). Insomma, pare proprio che, almeno dalle impressioni iniziali, il nuovo governo voglia in qualche modo risollevare le sorti di un Ministero che nell’ultimo anno ha collezionato più gaffe che consensi. Giusto per ricordare uno degli esempi più eclatanti, e anche più recenti? Il già citato decreto della “controriforma” Bonisoli, che prevede la sospensione del regime di autonomia gestionale e finanziaria del Parco dell’Appia antica e il museo di Villa Giulia a Roma e la Galleria dell’Accademia a Firenze, rispettivamente diretti dai “superdirettori” Simone Quilici, Valentino Nizzo e Cecilie Hollberg. E stando sempre al suddetto decreto, la Galleria dell’Accademia di Firenze viene accorpata agli Uffizi creando una situazione di caos unita alla sottrazione di molte autonomie per tutti i “superdirettori” e ad un accorpamento dei poteri a Roma, soprattutto nel Segretario Generale del Ministero. Non male, invece, si era comportato Bonisoli a Milano dove l’unificazione di Brera (e relativo sblocco della Brera Modern) con il Cenacolo Vinciano aveva convinto abbastanza e dove ci si era mossi in maniera tempestiva per garantire alla città una credibile rete di musei del design. Queste, forse, le uniche cose da salvare dell’interregno Bonisoli, non certo l’abitudine dell’ex ministro a rilanciare sui propri profili social istituzionali ogni iniziativa del proprio partito politico. Questi siparietti, per fortuna, al ministero non li vedremo più da domani.
DARIO FRANCESCHINI NUOVO (MA NON TANTO) MINISTRO DEI BENI CULTURALI
Nato a Ferrara nel 1958, Dario Franceschini oltre ad una lunghissima carriera politica che affonda le origini nella Democrazia Cristiana ha già ricoperto la carica di Ministro dei Beni Culturali e del Turismo dal 2014 al 2018, periodo in cui il suo ministero si è distinto per una decisa spinta riformista. Si parla ancora ad esempio della Riforma che porta il suo nome (e che speriamo lo stesso Franceschini riesca a riprendere presto soprattutto in quei punti in cui è stata modificata da Bonisoli), con la quale dava nuovo assetto alla struttura organizzativa del Ministero e soprattutto veniva data autonomia gestionale e finanziaria ai musei statali, con direttori altamente specializzati e selezionati attraverso procedure pubbliche.
LA RIFORMA FRANCESCHINI
Come spiegava in questo articolo Stefano Monti, “uno dei grandi cavalli di battaglia del Ministro del MiBACT, Dario Franceschini, è stata la selezione, attraverso bando pubblico internazionale, di super-manager per i grandi musei del nostro Paese”, a cui poi si aggiungono iniziative quali l’Art Bonus, con cui viene dato un credito d’imposta del 65% per privati e imprese che donano una somma per il restauro del patrimonio culturale pubblico o per attività di musei, fondazioni lirico-sinfoniche o teatri di tradizione; l’Italian Council, struttura che opera all’interno della Direzione Generale arte e architettura contemporanee e periferie urbane del MiBACT con il compito di “promuovere la produzione, la conoscenza e la disseminazione della creazione contemporanea italiana nel campo delle arti visive”.
La Riforma Franceschini, inoltre, prevedeva la trasformazione delle direzioni regionali del Mibact in segreterie regionali, con il compito di coordinare tutti gli uffici periferici del ministero operanti nella Regione. A tali uffici veniva riconosciuto il ruolo amministrativo degli uffici, tutti dirigenziali di II fascia, senza sovrapporsi alle competenze tecnico-scientifiche delle Soprintendenze. Venivano costituite poi due Direzioni trasversali di supporto, una per l’organizzazione e il personale e una per il bilancio, così da rendere più efficiente la gestione e il funzionamento del ministero.
L’INGRESSO DOMENICALE GRATUITO NEI MUSEI STATALI
Appena insediatosi, Franceschini nel 2014 ha lanciato una delle iniziative di maggiore successo (soprattutto di pubblico) del suo Ministero, ovvero l’ingresso gratuito, ogni prima domenica del mese, in tutti i musei statali. Con numeri da capogiro: stando ai bollettini ministeriali, gli introiti totali relativi a musei, circuiti museali, monumenti e aree archeologiche sono passati dai 40,7 milioni del 2013 ai 45,4 del 2016, con un bel traguardo raggiunto nel 2015, pari a 45,7 milioni. Nel 2017 si è arrivati così alla super cifra di 48,6 milioni. Le domeniche gratuite quindi non solo hanno avvicinato diversi target di pubblico ai musei, ma hanno anche rimpinguato le casse delle stesse istituzioni, dato che è aumentata la percentuale dei visitatori paganti (dai 17,649 milioni del 2013 ai 24 milioni del 2017, per un +37%). Insomma, l’impatto mediatico delle domeniche gratuite ha avuto un effetto positivo anche a livello economico, nonostante lo scorso anno l’ex Ministro dei Beni Culturali Bonisoli avesse messo in discussione la misura promossa da Franceschini, salvo poi fare dietrofront e addirittura rilanciare aumentando le giornate gratuite nei musei.
I “SUPERDIRETTORI”
L’iniziativa più importante – e anche quella più dibattuta – lanciata nell’ambito della Riforma Franceschini è senza dubbio il maxi bando di concorso che ha portato, nel 2015, alla nomina di nuovi dirigenti – chiamati appunto “superdirettori” – alla guida di 20 tra le principali istituzioni museali italiane. Una sorta di rivoluzione, che ha visto per la prima volta in Italia la nascita della figura di “direttore-manager”, con compiti legati non solo alla valorizzazione e promozione delle collezioni dell’istituzione di competenza, ma anche alla gestione della macchina organizzativa del museo, grazie all’autonomia manageriale che ai direttori veniva conferita. I risultati di pubblico, ricerca e introiti dei musei si sono fatti decisamente sentire in positivo.
Nel 2017, però, il Tar del Lazio annulla le nomine di 5 direttori, a causa della natura “aperta” del concorso. Secondo il Tar, non sarebbe stata giustificata l’apertura del bando anche a “stranieri”: su questo tema era stato accettato un ricorso di un candidato escluso che segnalava come “irregolare” la chiamata di “non italiani” alla direzione dei musei statali. Ma anche un italiano, Mauro Felicori, era stato oggetto di un ricorso, poi però respinto dal Tar. La questione era poi passata al Consiglio di Stato, che ha poi confermato i direttori oggetto del ricorso. Oggi questa riforma, oltre ad essere salvata dagli attacchi dell’ultimo anno, ha bisogno di essere sviluppata ancora e di garantire ulteriore autonomia ai direttori che spesso si sono trovati spiazzati non potendo impattare in maniera decisa sul lato del personale, delle promozioni, dei licenziamenti, della selezione di nuove risorse di qualità. Quella parte non può restare centralizzata se si vuole assicurare una gestione davvero efficace ai grandi musei del paese.
IL CASO DEL PARCO ARCHEOLOGICO DEL COLOSSEO
Eclatante era stata poi, sempre nel 2017, la sentenza del Tar del Lazio contro l’istituzione del Parco Archeologico del Colosseo a Roma, uno dei punti fondanti della Riforma Franceschini. Roma Capitale, su iniziativa della sindaca Virginia Raggi, aveva presentato un ricorso al Tar del Lazio chiedendo l’annullamento del decreto del 12 gennaio 2017, che istitutiva il Parco Archeologico del Colosseo. “È inaccettabile che a Roma ci siano aree di serie A e aree di serie B, in pratica sembra che il governo voglia gestire in totale autonomia e senza alcuna concertazione il patrimonio culturale dell’amministrazione stessa”, argomentava la sindaca di Roma. Ma anche in questo caso, il Consiglio di Stato si è pronunciato a favore del Ministero dei Beni Culturali.
COSA RIMANE DEL MINISTERO BONISOLI. LA RIFORMA
Del Ministero Bonisoli rimane, e speriamo venga modificata presto, la sua “controriforma”, che tra i vari punti prevede la cancellazione del Polo museale del Veneto, assimilandolo a quello della Lombardia, entrambi approdati sotto l’egida della nuova Direzione territoriale delle reti museali di Lombardia e Veneto. “Un gesto che richiama alla mente metodi vecchi di cinquant’anni e che ha dato vita a un macro-contesto centralizzato, burocraticizzato e totalmente sconnesso da quei territori che invece dovrebbe curare e valorizzare”, commenta Massimiliano Zane in questo articolo.
Nel dettaglio, il decreto firmato recentemente da Bonisoli contiene nuove disposizioni sull’organizzazione dei musei statali, introducendo le Direzioni territoriali delle reti museali al posto dei Poli museali regionali, ripartite in questo modo: Direzione territoriale delle reti museali del Piemonte e della Liguria, di Lombardia e Veneto, dell’Emilia Romagna, della Toscana, del Lazio, di Abruzzo e Molise, della Campania, della Puglia e Basilicata, della Calabria e della Sardegna.
I musei non interessati alle nuove Direzioni territoriali vengono inglobati in altri musei autonomi, come nel caso della Galleria dell’Accademia che, insieme al Museo di San Marco, viene accorpata alle Gallerie degli Uffizi. Allo stesso modo, la Pinacoteca di Brera ingloba il Cenacolo vinciano, il Parco di Miramare di Trieste adesso comprende tutti musei dell’ex Polo regionale del Friuli-Venezia Giulia, i Musei Nazionali delle Marche inglobano la Galleria Nazionale delle Marche e tutti i musei dell’ex Polo regionale delle Marche, mentre fanno parte dei Musei Nazionali dell’Umbria la Galleria Nazionale dell’Umbria e tutti i musei dell’ex Polo regionale.
Nasce inoltre una nuova istituzione, ovvero i Musei Nazionali Etruschi con sede a Villa Giulia, dotato di autonomia “speciale” (ovvero sia scientifica, sia gestionale), che ricomprendono i musei etruschi e archeologici nazionali di Chiusi, Rocca Albornoz, Tarquinia, Tuscania, Cerite – Cerveteri, e le necropoli etrusche site nel Lazio (Banditaccia – Cerveteri e Monterozzi-Tarquinia) e in Toscana (Poggio Renzo – Chiusi, Tomba della scimmia – Chiusi).
BONISOLI E IL CASO DELLA GALLERIA DELL’ACCADEMIA DI FIRENZE
Tra tutti i nuovi accorpamenti, quello della Galleria dell’Accademia alle Gallerie degli Uffizi è il caso che ha scatenato maggiori discussioni e critiche: come si fa ad accorpare – e in questa operazione sarebbe quindi implicita una sorta di subordinazione dell’elemento che viene inglobato – un museo autorevole come la Galleria dell’Accademia a un’altra istituzione di eguale se non superiore autorevolezza e importanza? Per non contare poi le differenze che intercorrono tra i due musei, a partire dalla storia e dalle collezioni: “l’Accademia ha una storia completamente diversa e ha bisogno di una gestione personalizzata. Gli Uffizi sono un museo mediceo, noi no, siamo un’altra cosa e dobbiamo avere una guida diversa”, sottolinea Hollberg in un’intervista al Corriere della Sera. E dello stesso avviso è il sindaco di Firenze Dario Nardella, che a FirenzeToday ha dichiarato: “sto assistendo in questi giorni ad una serie di accelerazioni di nomine e atti da parte del ministro dei Beni Culturali. Trovo insolito e grave che con un governo sfiduciato, un ministro faccia atti che vanno oltre l’ordinaria amministrazione. Ciò non si vede dai tempi della prima Repubblica”. E continua: “l’accorpamento è una operazione inspiegabile nata all’ultimo momento. Fa parte di una ‘riformicchia’ che spero venga rivista al più presto. È stato declassato un museo nazionale di prim’ordine, l’Accademia che non è la ruota di scorta degli Uffizi, è avvilente per Firenze e il patrimonio italiano”. Ora lo spazio per rivedere le “riformicchie” ci dovrebbe decisamente essere, sebbene, nel programma del nuovo governo, la cultura è praticamente inesistente, come spiega Massimiliano Zane in questo articolo.
I CASI DI PALAZZO DEI DIAMANTI A FERRARA, VILLA PAOLINA E MCDONALD’S A ROMA
La “controriforma” è solo uno dei provvedimenti più criticati e dibattuti che Bonisoli ha attuato nel corso del suo ministero, molti dei quali afferenti il tema architettura. Un caso eclatante è stato quello di Palazzo dei Diamanti a Ferrara: nel 2017, il raggruppamento formato da 3TI PROGETTI, Labics, arch. Elisabetta Fabbri e Vitruvio s.r.l. si è aggiudicato il concorso internazionale indetto dal Comune di Ferrara per l’ampliamento degli spazi espositivi dell’architettura rinascimentale. La prospettiva di “innestare” il nuovo nel vecchio ha però scatenato il panico tra i più conservatori, spingendo addirittura la Fondazione Cavallini Sgarbi a lanciare una petizione per “salvare” Palazzo dei Diamanti. Petizione che è stata accolta dal Ministero dei Beni Culturali, che pochi giorni dopo con un documento ufficiale ha bloccato il progetto. Segue poi il caso di Villa Paolina a Roma, edificio a cui Bonisoli ha apposto il vincolo perché simbolo della speculazione urbanistica capitolina, e quello più recente di McDonald’s alle Terme di Caracalla.
– Desirée Maida
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