L’Uomo vitruviano e il rispetto dovuto alle leggi. L’editoriale di Antonio Natali
L’ex direttore degli Uffizi appoggia la decisione del Tar di negare il prestito dell’Uomo vitruviano al Louvre. Ricordando le disposizioni del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, con un decreto pubblicato l’8 ottobre del 2019 (ieri, per me che scrivo queste righe), ha sospeso il prestito all’estero dell’Uomo vitruviano di Leonardo. E sùbito ringrazio Italia Nostra perché col suo ricorso al Tribunale ha imboccato una via che va oltre gli sterili mugugni di tanti che son contrari ai prestiti d’opere celebrate fuori d’Italia. A buon diritto la risoluzione viene accolta come il “riconoscimento delle ragioni della tutela di un bene prezioso e fragilissimo”. Sento che molti ora si concentrano sullo stato di conservazione della carta vinciana. Preoccupazione sacrosanta; ma trovo sia imprudente in questa circostanza polarizzare l’attenzione sulle condizioni del disegno, giacché la politica trova sempre la maniera d’aggirare l’ostacolo d’un parere tecnico negativo, cooptando magari istituti o restauratori pronti a sottoscriverne uno che sia invece compiacente. Del pari fuorviante, ancorché fondata, mi pare qualsiasi discussione sulla sicurezza; che oltre tutto – a dispetto di quanto dicono le poco meditate voci levatesi a sostegno del prestito – mai e poi mai sarà assoluta. È inevitabile che in una trasferta ci siano rischi; a cominciare dal viaggio: fossero così sicuri quei voli che portano un’opera d’arte, salirei soltanto su quelli. Per quanto importanti siano le obiezioni sulla conservazione e sulla sicurezza di un’opera, la politica potrà ogni volta ribatterle facendo leva sulla soggettività dei giudizi. Il problema è un altro. E credo che l’occasione sia buona per affrontarlo di petto, giacché si tratta dell’osservanza d’una legge. Mi riferisco al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, noto come Codice dei beni culturali e del paesaggio. Legge su cui m’è già occorso d’invitare a una riflessione, che reputo però meriti d’essere rinnovata ora che la magistratura entra nel merito d’una vicenda, il cui svolgimento potrebbe pesare sul futuro della tutela del nostro patrimonio d’arte.
“Basterebbe che ogni istituto compilasse una lista di beni che ne ‘costituiscono il fondo principale’; e, una volta vidimata dal Ministero, quella lista metterebbe fine a controversie e abusi”.
Rileggiamo dunque il comma 2b dell’articolo 66, che – riguardo all’“uscita temporanea dal territorio nazionale dei beni culturali per manifestazioni, mostre o esposizioni d’arte temporanea” – dispone che non possano varcare i confini nazionali quei “beni che costituiscono il fondo principale di una determinata ed organica sezione di un museo, pinacoteca, galleria, archivio o biblioteca o di una collezione artistica o bibliografica”. Allora, la domanda da porsi nel frangente attuale è questa: l’Uomo vitruviano di Leonardo cosa rappresenta nella collezione del Gabinetto Disegni e Stampe delle Gallerie dell’Accademia di Venezia?
Gli si riconosce o no la prerogativa specificata dalla legge? Conosco abbastanza gli equilibrismi di cui è capace la politica per sapere come anche quest’impedimento possa essere scavalcato con l’aiuto di chi maneggi a suo tornaconto le leggi. Ho sperimentato quest’abilità sulla mia pelle quando l’Annunciazione di Leonardo (ch’è difficile negare sia fra le opere che ‘costituiscono’ “il fondo principale” degli Uffizi) fu impunemente spedita in Giappone per una mostra, del tutto trascurando il mio parere contrario, che segnatamente sulla legge giustappunto poggiava. Immediatamente approntai e inoltrai al Ministero per metterlo alle strette (2007) un elenco di dipinti e sculture degli Uffizi che a mio giudizio rispondevano ai requisiti del comma 2b dell’articolo 66. Non so cosa n’abbiano fatto i ministri che si sono succeduti; di sicuro so cosa sarebbe successo se fosse stato formalmente ratificato: le opere lì annoverate si sarebbero incarnate nella legge e non sarebbero più uscite dai confini italiani. Se davvero si volesse far chiarezza in questa materia non ci vorrebbe tanto. Basterebbe che ogni istituto compilasse una lista di beni che ne “costituiscono il fondo principale”; e, una volta vidimata dal Ministero, quella lista metterebbe fine a controversie e abusi. A mancare, in Italia, non sono le leggi; è il loro rispetto. Che invece è ovviamente d’obbligo; e non c’è ministro che possa sentirsene dispensato. Dev’esser chiaro a ognuno che tutto si paga; anche se non sùbito. I giovani, che assistono a un continuo mercato di principî, alla lunga finiranno per tollerarne l’ideologia sottesa. Con quanto ne consegue per la società.
‒ Antonio Natali
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