Le conseguenze di mesi e mesi di gestione dissennata seguiti ad una nomina dissennata hanno conseguenze che trascendono ogni scadenza. La scadenza della direzione De Finis al Macro – fissata dopo polemiche e recriminazioni vicendevoli, al 31 dicembre 2019 – conseguenze ne sta avendo eccome. Una conseguenza può essere la pessima (o inesistente) reputazione del museo in Italia e all’estero, ipotizzerete voi. Beh, certo, ma non solo. Una conseguenza clamorosa è che il museo è chiuso. Chiuso. Dal 1 gennaio 2020 è chiuso. Il Macro, uno spazio pubblico, ha vissuto così il suo ingresso negli Anni Venti: con le saracinesche abbassate. Si entra solo per accedere al povero e deserto bookshop, ma tutto il resto dell’enorme edificio progettato da Odile Decq è sprangato, con gli addetti che spiegano che non c’è nulla da vedere e con i profili social che avvisano un generico “chiuso per allestimenti”.
MACRO CHIUSO DOPO LA FINE DI DE FINIS
Finiva il vecchio progetto. Ancora occorre tempo per far partire il nuovo. E nel mentre il museo resta serrato. A Roma, dove si è abituati a benaltra sciatteria, tutto appare tristemente normale. In tutto il resto dell’occidente evoluto sarebbe una follia capace di mobilitare dibattito e cittadinanza attiva.
Il museo infatti è una infrastruttura pubblica di primaria importanza, chiamata a erogare dei servizi, ogni santo giorno della settimana. Come un ospedale, come una scuola, come una piazza. Per farlo ha una dotazione, per farlo è stato costruito attingendo a denari pubblici, per farlo ha un team di persone fisse che prescindono da questo o da quel direttore.
DI CHI È LA COLPA?
Non sappiamo se le colpe siano della gestione Giorgio De Finis che ha lasciato i cassetti vuoti di progetti per i mesi successivi infischiandosene dell’immediato futuro (Après moi le deluge, diceva il Re di Francia); non sappiamo se la circostanza sia naturale conseguenza di un museo senza un vero programma e senza una struttura, con una programmazione che usciva fuori all’impronta del day by day; non sappiamo (ma è la cosa più verosimile) se ci sia anche qui lo zampino della disorganizzazione dell’Assessorato alla cultura o del relativo Dipartimento o dell’azienda Palaexpo i quali – pur sapendo che De Finis avrebbe finito il 31.12 e pur sapendo che la nuova direzione non sarebbe di certo stata pronta immediatamente – se ne sono fregati.
Eppure sarebbe bastato poco. Trovare, realizzare o comprare una mostra-ponte. Allestire in qualche modo le collezioni comunali. Collaborare con qualche ente (l’Accademia di Belle Arti? Romaeuropa Festival? Le gallerie private? Una fondazione?) per riempire temporaneamente gli spazi. Invece nulla, un museo considerato alla stregua di una location, di un quartiere fieristico: se non ci sono i contenuti, si chiude in attesa che arrivino.
INEFFICIENZA, SCIATTERIA E DANNI D’IMMAGINE
Avendo scelto il nuovo direttore in clamoroso ritardo rispetto alla scadenza del direttore precedente (Luca Lo Pinto è stato nominato in ottobre), è del tutto normale che quest’ultimo abbia bisogno di tempo per far ripartire la macchina. Lo Pinto presenterà il suo programma e incontrerà la stampa all’inizio di Febbraio. Probabilmente riuscirà a infilare qualche contenuto nel museo a Marzo per poi partire con la programmazione a regime ben dopo l’estate del 2020, probabilmente ad ottobre.
A quella data i geniali amministratori della cultura capitolina avranno fatto sì che il Macro restasse nell’oblio quasi un’annata. Un danno. L’ennesimo.
–Massimiliano Tonelli
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