“I cinesi mangiano topi vivi”. Luca Zaia si dimentica che anche i veneti lo facevano

La frase choc del governatore del Veneto – che attribuirebbe la “colpa” del Coronavirus alle abitudini gastronomiche cinesi – ha messo a repentaglio i rapporti diplomatici con la Cina. Zaia si scusa, ma sbirciando sul suo profilo Facebook ecco un post di due anni fa con una foto d’epoca che testimonia come 100 anni fa a Belluno si mangiassero proprio topi!

Mentre in Italia l’emergenza Coronavirus è ancora in corso e purtroppo si registrano nuovi casi di persone colpite, i settori dell’economia, dell’istruzione e della cultura provano a risollevarsi dal momento di crisi che ha già causato rallentamenti nel sistema industriale, cali in Borsa, cancellazioni e rinvii di manifestazioni e fiere soprattutto a Milano (tra tutti, il Salone del Mobile). Un Paese sotto scacco, insomma, soprattutto le regioni del Nord maggiormente interessate dall’epidemia, ovvero Lombardia, Piemonte e Veneto. Quest’ultima, in particolare, nelle ultime ore si trova al centro di un polverone mediatico che ha messo a rischio i rapporti diplomatici con la Cina: il governatore della Regione, il leghista Luca Zaia, durante un’intervista ad Antenna Tre Nordest, commentando quanto sta accadendo in Italia e in Veneto per via del Coronavirus, ha dichiarato: “penso che la Cina abbia pagato un grande conto in questa epidemia perché li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi o cose del genere… Sa perché noi dopo una settimana abbiamo 116 positivi, dei quali 63 non hanno sintomi e ne abbiamo solo 28 in ospedale? Sa perché? Perché l’igiene che ha il nostro popolo, i veneti, i cittadini italiani, la formazione culturale che abbiamo è un regime di pulizia personale particolare. Anche l’alimentazione…”. Un’affermazione, questa, arrivata alle orecchie del governo cinese, che non ha per niente apprezzato lo scivolone: “in un momento cruciale come questo, in cui Cina e Italia si trovano fianco a fianco ad affrontare l’epidemia, un politico italiano non ha risparmiato calunnie sul popolo cinese. Si tratta di offese gratuite che ci lasciano basiti”, si legge su una nota stampa dell’ambasciata cinese a Roma. “Ci consola il fatto che moltissimi amici italiani non sono d’accordo con tali affermazioni e, anzi, le criticano fermamente. Siamo convinti che quelle parole non rappresentino assolutamente il sentire comune del popolo italiano. “Il popolo italiano è un popolo civile e nostro amico. Il nuovo Coronavirus è un nemico comune, che richiede una risposta comune. In un momento così difficile, è necessario mettere da parte superbia e pregiudizi, e rafforzare la comprensione e la cooperazione al fine di tutelare la sicurezza e la salute comune dell’umanità intera”.

LA FRASE DI ZAIA E LA RISPOSTA DELLA CINA

Crisi diplomatica esplosa e mondo della politica e dei media in subbuglio: da una parte c’è chi in maniera più o meno blanda la pensa come Zaia – mangiare carne di topo, cane o gatto non sarebbe molto salutare per l’uomo –, dall’altra c’è chi accusa il governatore veneto di razzismo e anche di non sufficiente conoscenza e comprensione delle tradizioni culturali di altri popoli. Ad ogni modo, sono arrivate inevitabili le scuse di Zaia, che ha dichiarato: “mi spiace che qualcuno abbia montato una polemica su questo, non ho mai detto che i cinesi non si lavano. E mi scuso se ho urtato la sensibilità di qualcuno, anche per i rapporti personali, noti e testimoniati, che ho con la comunità cinese. Mi spiace d’essere stato da alcuni frainteso, e da altri volutamente strumentalizzato. La mia era una riflessione che non voleva offendere nessuno; si riferiva alla montagna di materiale e video, molti dei quali fake, che pesano sulla ‘reputazione’ di questo virus. È indubbio”, prosegue Zaia, “che le condizioni che abbiamo qui sono diverse da quelle in Cina. Ma il qualunquismo e la generalizzazione non sono nel mio stile. È pur vero, tuttavia, che in un paese dalle mille sfaccettature, che presenta contesti metropolitani di assoluta innovazione, come Shanghai, Pechino, Shenzhen, ve ne sono altri che sono agli antipodi. Ho deciso di intervenire personalmente su questo per un fatto di correttezza e lealtà, ma devo dire anche che siamo molto impegnati nella partita del contenimento del virus, e non ho tempo da perdere su queste cose”. 

SOLO IN CINA SI MANGIANO I TOPI? LA MOSTRA CITATA DA ZAIA SUL SUO PROFILO FACEBOOK 

Insomma, nessun “qualunquismo” e nessuna “generalizzazione”, però è anche vero che “le condizioni che abbiamo qui sono diverse da quelle in Cina”. Forse è vero, almeno adesso, e dando una sbirciata tra i piatti della tradizione gastronomica delle regioni italiane, non sembra che tra le ricette compaia la carne di topo. Troviamo però, potrebbe fare notare qualcuno, la carne di gatto, di rana, d’anguilla, non considerando che per molte popolazioni del mondo – per motivi culturali e religiosi – è impensabile concepire l’idea di cibarsi di carne di maiale o di vacca.
Tralasciamo però per il momento questa digressione gastronomica e torniamo alla frase di Zaia, secondo cui “le condizioni che abbiamo qui sono diverse da quelle in Cina”. Nel 2020 in Italia non si mangiano topi, è vero, però abbiamo documenti fotografici che attestano che fino a un secolo fa, e proprio in Veneto, cibarsi di topi non era poi una stranezza. E a dircelo è stato proprio lo stesso Zaia, citando sulla propria pagina Facebook una mostra tenutasi a Belluno due anni fa!

Il post pubblicato da Zaia sulla propria pagina Facebook il 26 novembre 2018

Il post pubblicato da Zaia sulla propria pagina Facebook il 26 novembre 2018

LA MOSTRA SULLA PRIMA GUERRA MONDIALE A BELLUNO A PALAZZO CREPADONA

La mostra citata da Zaia e inaugurata il 23 novembre 2018 a Belluno a Palazzo Crepadona, e a cura dell’Archivio Storico del Comune, si intitolava Belluno, una città. Il nuovo secolo, la guerra, un’esposizione che attraverso documenti e fotografia d’epoca raccontava le vicende della città veneta a cavallo tra la fine dell’Ottocento e la Prima Guerra Mondiale, e quindi la drammatica fase dell’occupazione austroungarica tra il 1917 e il 1918, nota come “an de la fam”, ovvero “anno della fame”. Tra quelle in mostra, una fotografia in particolare racchiude tutto l’orrore della guerra, e soprattutto le tragiche conseguenze che essa ha avuto sulla popolazione del bellunese: uno scatto di Pietro De Cian, facente parte della collezione Massenz-Baldini della Biblioteca Civica.
“Topi messi ad essiccare a Belluno durante ‘l’an de la fam’, l’anno della fame. Questa straordinaria immagine è esposta, insieme a moltissime altre, nella straordinaria mostra documentaria, iconografica e multimediale su Belluno durante la Prima guerra mondiale appena inaugurata a Palazzo Crepadona”, scriveva il 26 novembre 2018 Zaia sulla propria pagina Facebook, terminando il post con l’hashtag “VenetoDaAmare”. I topi messi ad essiccare sarebbero poi stati mangiati dai bellunesi, rappresentando a quanto pare l’unica fonte di nutrimento possibile in quel momento storico.
100 anni sono tanti, è vero, e i bellunesi mangiavano topi per necessità, non per tradizione o scelta, tuttavia non sembrano differenze così clamorose da potersi ergere ad alfieri della tradizione culturale igienica del mondo. Che la differenza stia nel fatto che i cinesi mangiano a detta di Zaia “topi vivi” e i bellunesi invece li mettevano a essiccare al sole? “Topi vivi” = virus e topi essiccati = “straordinario”? In ogni caso una buona occasione per andarsi a rivedere recensioni e catalogo di quella mostra di due anni fa.

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Redazione

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