Gli artisti sono a rischio: bisogna dar loro un salario
Il salario minimo garantito è una delle proposte suggerite da Alberto Fiz per sostenere gli artisti in un momento di grande difficoltà come quello che stiamo vivendo.
Secondo un’inchiesta pubblicata da Affari Italiani, nella sola Lombardia, le attività culturali e creative danno lavoro a 365 mila persone con 25,4 miliardi di euro di valore aggiunto. Le imprese di questo settore producono il 10,1% dell’economia e occupano il 10,3% della popolazione. Sul territorio lombardo, poi, ci sono 190 musei riconosciuti dalla Regione, ma il complesso delle attività museali è di 585 strutture. Di tutto ciò, una parte del merito andrà pure agli artisti che sono, invece, l’anello più debole della catena, completamente trascurati dalle istituzioni? L’appello di Sergio Risaliti su Artribune affronta proprio questo argomento nodale: “Mentre ogni altra categoria è tutelata da sistemi di assistenza, di protezione sociale e salariale, i giovani artisti non hanno nessun meccanismo di questo genere a garantire loro la dignitosa sopravvivenza”, scrive. Il problema è della massima gravità in quanto gli artisti delle ultime generazioni appaiono apolidi spiaggiati in una terra di nessuno chiamati alla bisogna, sempre pronti a intervenire, ovviamente in maniera gratuita. In questi giorni, per esempio, fioccano encomiabili aste e iniziative di beneficenza dove si fa appello alla loro generosità. #DaiUnSegno, per esempio, il progetto organizzato dall’Accademia di San Luca a favore della Protezione Civile, ne ha coinvolti oltre 200. Ma è possibile che solo in queste circostanze qualcuno si ricordi della loro esistenza? Anche l’appello di ConfCultura a Giuseppe Conte parla genericamente di “salvaguardia dell’ecologia culturale positiva del Paese, un’energia propulsiva non inquinante che rappresenta un terreno fertile sul quale si fonda la grandezza dell’Italia nonché un importante motore economico che fa da traino a molti altri settori”. E si sottolinea come “il comparto museale contribuisca alla crescita economica italiana con 27 miliardi di euro l’anno, pari all’1,6% del Pil, generando 278 milioni di ricavi”. In tutto ciò, nemmeno un cenno agli artisti che di questo sistema dovrebbero essere la struttura portante.
UNA CATEGORIA DIMENTICATA
Se nemmeno le associazioni di categoria si ricordano di loro, è difficile pretenderlo da altri.
Di recente, si è sentito parlare persino di tutela del lavoro nero e di reddito di emergenza, ma degli artisti nemmeno l’ombra. In quale categoria rientrano? Lavoro nero? Partite Iva a cui va il sussidio di 600 euro? Difficile dirlo visto che la gran parte si sazia di creatività… Se si dovesse fare un reale censimento, si scoprirebbe che una buona fetta è tecnicamente disoccupata con l’onere di produrre senza guadagnare, una categoria che dopo questa crisi s’infoltirà ulteriormente anche tenendo conto delle difficoltà patite dalle gallerie. È ovvio che parlare genericamente di artisti può sembrare troppo vago. Ma, togliendo i dilettanti, gli hobbisti e quelli privi di un curriculum dignitoso, ce ne sono in Italia qualche centinaio di sicuro valore. E di questi solo qualche decina guadagna. Il resto sopravvive (anche i quaranta-cinquantenni) facendo appello alle risorse di famiglia o a qualche elemosina da parte di piccoli finanziatori che chiedono in cambio le opere a prezzo di costo. Ma non solo. In mancanza di qualunque strategia, gli artisti che non hanno una galleria forte alle spalle sono, spesso, costretti a contribuire, con formule differenti, al finanziamento delle loro mostre, comprese le sempre più rare pubblicazioni editoriali. È ben noto che molte istituzioni pubbliche, con budget indecenti, domandino un contributo alle spese mettendo a disposizione solo i locali e la guardiania. Se questo non bastasse, al termine di una mostra pubblica viene, spesso, chiesta, o perlomeno suggerita, la donazione di un’opera o un comodato a lungo termine. Che, per assicurarsi il famigerato quarto d’ora di celebrità, in moltissimi sono disposti a concedere, sebbene difficilmente vedranno esposta la loro opera, destinata a finire nei caveaux.
Il rapporto con gli artisti, dunque, appare non solo distorto sotto il profilo economico, ma anche etico (nessun altro lavoratore verrebbe trattato in questo modo), in base a una situazione che è andata peggiorando negli ultimi anni in concomitanza con la crisi economica. Ora, purtroppo, di fronte a un prevedibile ulteriore regresso, è quanto mai opportuno stabilire nuove regole per difendere e salvaguardare la cultura contemporanea. In primo luogo, l’artista, al di sotto di un determinato reddito, dovrebbe avere un salario minimo garantito e, vista l’esiguità dei numeri di professionisti seri, non sarebbe un problema economico insormontabile. Bisogna essere chiari. Il mercato non garantisce a tutti la sopravvivenza e a essere esclusi non sono i più scarsi (che talvolta, invece, sopravvivono benissimo) ma chi fa una ricerca non commerciale e al di fuori dei circuiti.
FAR ENTRARE L’ARTE CONTEMPORANEA NELLE RACCOLTE DEI MUSEI PUBBLICI
La storia ci ha insegnato che il mercato non è il solo criterio di riferimento. Da van Gogh a Manzoni, sono infiniti i casi di morti di fame entrati nella storia dell’arte!
Secondariamente, è importante che le istituzioni pubbliche non facciano affidamento solo su comodati o donazioni, ma stabiliscano un budget per implementare la loro collezione con opere di artisti delle ultime generazioni. Su questo si è già espresso con chiarezza Risaliti:
“È il tempo di rimpolpare le collezioni dei nostri musei di arte contemporanea, puntando sulle nuove generazioni che sono il nostro presente e l’immediato futuro. Rischiamo di perdere per strada una o due generazioni”. Di fronte a collezioni museali che, spesso, (fatte naturalmente le solite dovute eccezioni…) arrivano a stento sino alla Transavanguardia, c’è davvero il pericolo che si tuteli l’antico, ma si perdano di vista le nuove ricerche. Qualcosa in tal senso è stato fatto e va implementato: Acacia (è l’associazione dei collezionisti italiani creata da Gemma De Angelis Testa), per esempio, qualche anno, fa ha donato la propria collezione formata da 31 opere di 21 artisti italiani al Museo del Novecento di Milano e sul fronte privato la nascita nell’ultimo periodo di tante fondazioni può essere un sicuro incentivo per riformulare il rapporto pubblico-privato contribuendo ad allargare le opportunità per gli artisti e la divulgazione delle loro opere andando al di là dei soliti noti. E va nella giusta direzione lo stanziamento di 1,3 milioni di euro da parte di Dario Franceschini per la nuova edizione di Italian Councill che qualche mese fa ha premiato 23 progetti.
NUOVE COMMITTENZE
Un altro aspetto fondamentale è quello connesso con la realizzazione delle opere: come già era accaduto in passato per gli scultori (ne sono esempi illustri Arturo Martini e Fausto Melotti), oggi la produzione è diventato un problema molto grave. Soprattutto per chi non si rivolge ai consueti canali di mercato. Produrre, per esempio, opere di tecnologia avanzata come i tempi richiederebbero, ha costi altissimi che gli artisti nullatenenti non si possono permettere. In una società iper connessa, sarebbe fondamentale creare nuove forme di collaborazione tra artisti, istituti di ricerca e università. Nello stesso tempo, anche i settori della moda, della telefonia, così come quelli della robotica o della comunicazione, potrebbero trovare nuove sinergie con gli artisti attraverso uno scambio quanto mai proficuo di informazioni, strumenti tecnologici e creatività.
Non c’è dubbio che ai tempi del COVID-19 vada ripensato radicalmente il concetto stesso di committenza (attualmente la più attiva è ancora quella ecclesiastica), che si dovrebbe trasformare in una partnership allargata. Speriamo non si facciano tamponi e che il virus benefico del cambiamento si diffonda. Gli artisti sono a rischio e con loro tutta l’arte.
‒ Alberto Fiz
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