La Cultura nel Dopoepidemia. Ora ripartiamo dalle idee

Cristina Da Milano, vice-presidente di Culture Action Europe, partecipa al forum aperto organizzato da CoopCulture e Artribune puntando lo sguardo sulla necessità di finanziare i futuri progetti a base culturale.

Durante le ultime settimane Culture Action Europe (CAE) ha continuato a lavorare, cercando di restituire in maniera più chiara e completa possibile il ruolo del settore culturale e creativo in questo momento di crisi, mettendo in evidenza le potenzialità che il settore ha per contribuire al superamento della crisi stessa e le difficoltà in cui si trova e si troverà nei prossimi mesi. Essenzialmente, CAE ha lavorato a iniziative volte a cercare di analizzare i provvedimenti presi dai singoli Stati membri in favore del settore culturale e creativo e monitorarne gli effetti; ad analizzare i provvedimenti presi a livello europeo a sostegno di tutti i settori produttivi, incluso quello culturale e creativo; a svolgere la consueta attività di advocacy attraverso appelli alle istituzioni europee affinché sostengano il settore culturale e creativo con misure ad hoc in grado di contribuire in maniera mirata e specifica alla sostenibilità dell’ecosistema culturale.
I membri italiani di CAE formano un gruppo molto attivo di persone che – ovviamente – condividono una serie di valori e di idee, oltre che di pratiche, che ci ha portato negli anni a riunirci sotto l’ombrello di CAE e a sostenere le iniziative lanciate dalla rete, condividendone la visione.
In queste ultime settimane, abbiamo continuato a incontrarci virtualmente con regolarità per discutere e confrontarci su quanto sta accadendo e accadrà nel settore culturale, con particolare riferimento alla situazione italiana ma con un occhio sempre attento all’’Europa, vista la vocazione fortemente europea della rete a cui apparteniamo.
Le riflessioni che seguono sono anche frutto del continuo e fruttuoso dialogo con tutti loro.
Paola Dubini e Valentina Montalto hanno scritto, in un bell’articolo pubblicato recentemente, che “non è semplice misurare in maniera esaustiva gli impatti occupazionali di arte e cultura che, in quanto settori economici, restano per molti versi invisibili: la vita di poche istituzioni e imprese note ai più dipende, infatti, dalla vitalità di molti lavoratori che si vedono solo nei ‘titoli di coda’. Le chiusure e le cancellazioni che hanno interessato i luoghi d’arte e di cultura stanno avendo conseguenze disastrose, che vanno ben al di là del singolo cinema, museo o teatro. Artisti, autori, registi, guide turistiche, mediatori, curatori, operatori culturali, progettisti sono solo alcune delle professionalità che alimentano queste istituzioni e che rischiano di essere letteralmente travolte perché prive di un’adeguata rete di protezione dato che si tratta per lo più di lavoratori autonomi. La percentuale di lavoratori autonomi nei 27 Paesi UE è infatti notevolmente più elevata nell’occupazione culturale (32%) che nell’occupazione totale (14%) e tale differenza è rimasta pressoché stabile nel tempo”.

RENDERE VISIBILE LA CULTURA

Proprio la consapevolezza, sempre più marcata, dell’estrema frammentarietà e debolezza del settore culturale e dell’invisibilità di molte organizzazioni/operatori che vi lavorano è alla base delle riflessioni che seguono. Infatti, ci troviamo ancora una volta di fronte a un quadro che riflette il mancato riconoscimento delle peculiarità del settore (in primis, la complessità e l’eterogeneità del sistema culturale) quando si è trattato da parte degli Stati membri e dell’UE di mettere in campo misure a sostegno delle organizzazioni e dei singoli individui. Gli strumenti ci sono e ne potranno beneficiare gli operatori di tutti i settori, ma non ci sono misure specifiche (se non alcune, estremamente settoriali) per un comparto che, in Italia ma anche in molti Paesi UE, viene identificato con le istituzioni culturali pubbliche (o finanziate dal pubblico) e con i grandi nomi.
Ma se le risorse ci sono e il settore culturale può beneficiarne, qual è il problema? Il problema – non formale ma sostanziale ‒ riguarda l’invisibilità di cui sopra e il ruolo che cultura e creatività hanno nell’immaginare il futuro (che è – per l’appunto ‒ un atto di immaginazione).
Prendiamo come esempio lampante quello dei programmi europei per la cultura (ma non solo, il discorso vale anche per i Fondi Strutturali): negli ultimi 20 anni, molti di noi hanno lavorato con i fondi europei stanziati attraverso vari programmi per cultura, educazione e ricerca ma anche programmi non necessariamente legati a questi settori ma che hanno riconosciuto la trasversalità di educazione e cultura rispetto anche ad altri ambiti. I finanziamenti sono sempre stati legati ad alcune priorità chiave individuate in sede di programmazione, tra cui la mobilità delle persone e la produzione di attività.
Se da una parte è evidente che ci fossero delle ragioni chiare e condivisibili dietro l’identificazione di queste strategie – la mobilità delle persone (il cui esempio più brillante è senz’altro il programma Erasmus) ha seguito idealmente, in un certo senso, il concetto di mobilità delle merci, che è uno dei cardini del progetto europeo e la produzione di attività è ovviamente ciò che molti di noi fanno, occupandosi di cultura, sia in senso stretto (attività culturali vere e proprie, sia in senso lato formazione e ricerca) ‒, dall’altra in questo specifico momento la mobilità è fortemente a rischio e la produzione di attività, la cui ragion d’essere è la fruizione da parte del pubblico, deve essere necessariamente ripensata. Quello di cui abbiamo bisogno adesso è carburante (inteso come fondi) per continuare a pensare, a produrre idee e progetti per il futuro, che siano simili a quelli che già producevamo ma anche che riescano a immaginare modalità diverse di fruizione e relazione con i pubblici.
In sintesi, abbiamo bisogno di essere messi in condizione di progettare per il futuro prossimo, attività generalmente non coperta e non riconosciuta dai fondi europei a gestione diretta (e nemmeno in verità da quelli a gestione indiretta in capo a Stati membri o enti locali o altri tipi di fondi nazionali o locali, se si eccettuano alcuni casi lungimiranti di bandi che sostengono la progettazione, come ad esempio quelli di Fondazione Cariplo). Fa eccezione il programma Horizon, che è chiaramente orientato alla ricerca ma molto spesso fuori dalla portata di molti operatori del settore culturale per dimensioni e obiettivi.

IL SOSTEGNO ALLA PROGETTAZIONE

In un momento come quello che stiamo vivendo e nel prossimo futuro il mancato sostegno alla progettazione rischia di diventare più importante da affrontare anche di un altro argomento spinoso come quello del co-finanziamento previsto da gran parte dei programmi europei, e particolarmente oneroso nel caso di Europa Creativa, che sicuramente rappresenterà nei prossimi mesi/anni un ostacolo ancora più grande di quanto non sia stato in passato per molti operatori culturali.
Altro tema di cui si parla molto in questo periodo è quello del “nessuno si salva da solo”: se questo è vero, facciamo in modo che la trasversalità della cultura, di cui siamo convinti in piena adesione ai princìpi sanciti dalla nuova Agenda Europea per la Cultura, sia messa in evidenza attraverso le possibili forme di contaminazione e osmosi tra settori diversi, la permeabilità degli schemi di finanziamento e – di nuovo ‒ la progettazione di attività complesse e collegate tra loro.
Un esempio molto chiaro a riguardo è quello dell’uso delle nuove tecnologie, il cui impatto è stato dirompente in queste ultime settimane. Le abbiamo usate come surrogati per gli incontri, le visite ai musei e la visione di spettacoli, ma al tempo stesso ci siamo accorti che non possono sostituire la “vita reale”; alcuni di noi forse si sono anche accorti, meno confusamente di altri, che le potenzialità delle nuove tecnologie sono molto maggiori di quello che pensiamo e che potrebbero essere usate per produrre cultura, e non solo nuovi modi di fruirne. D’altronde, quando nello Studio sull’Audience Development scrivevamo che il digitale è una delle strategie potenzialmente più efficaci per creare una relazione con il pubblico, al tempo stesso sottolineavamo la necessità di approfondire, studiare, pensare in che modo questo potesse essere fatto senza diventare solo un surrogato o la brutta copia in caso di necessità di quello che sappiamo fare così bene in analogico. Ci sono già degli esempi in tal senso che possono fungere da apripista (penso al progetto europeo BeSpectative e al Kreisky Test in particolare, una produzione ripensata in modalità online, interattiva e immersiva in risposta alla crisi), ma la strada è ancora lunghissima: la necessità di pensare, avere idee, progettare e sperimentare diventa in questo ambito ancora più pressante e – di conseguenza – lo diventa la necessità di finanziamenti che ci mettano in grado di fare queste cose prima di produrre nuove attività o nuovi strumenti tecnologici. Altro esempio, sempre legato al tema dell’audience development: da anni, grazie al riferimento teorico offerto dalla Convenzione di Faro, diciamo che la relazione con il patrimonio e con le attività culturali deve essere rinforzata/ri-creata soprattutto per quel che riguarda la cittadinanza locale, senza puntare tutto solo sul turismo. Adesso più che mai avremo bisogno di ri-pensare l’offerta di cultura rispetto a una domanda locale, e si tratterà per alcuni comparti del settore culturale di un ripensamento radicale.
Continuiamo a spingere affinché sia aumentato il budget per il settore culturale e creativo e per l’educazione attraverso programmi come Europa Creativa e per Erasmus+, come chiediamo da anni, ma chiediamo che ciò avvenga tenendo presenti questi aspetti. E lo stesso valga per altri programmi che, come ho detto all’inizio, possono avere un ruolo nel sostenere il settore culturale e creativo proprio in nome del riconoscimento della sua trasversalità. Ma facciamolo in un’ottica chiara di ridefinizione delle priorità e del ruolo della cultura e della creatività nel futuro del progetto europeo. Ci serve una risposta chiara dagli Stati membri e dall’UE: quale migliore occasione per rimediare al “peccato originale”, di cui tutti parlano quasi facendo una sorta di mea culpa, di aver voluto creare il progetto europeo su basi economico-commerciali e non su basi culturali?
Abbiamo la responsabilità di proteggere e sostenere l’ecosistema culturale e creativo in Europa ora e in futuro. Abbiamo bisogno di risorse per immaginare il futuro e non solo per realizzare attività.

Cristina Da Milano

LE PUNTATE PRECEDENTI

La Cultura nel Dopoepidemia #1
La Cultura nel Dopoepidemia #2
La Cultura nel Dopoepidemia #3
La Cultura nel Dopoepidemia #4

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Redazione

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