È il momento di riaprire. L’opinione di Renato Barilli
Il critico bolognese Renato Barilli condivide le posizioni di Vittorio Sgarbi sul fronte della riapertura dei musei, delle biblioteche e dei luoghi di cultura, illustrando le proprie ragioni in questo appello, scritto prima del nuovo decreto del governo che prolunga il lockdown al 4 maggio ma ammette la riapertura delle librerie.
I miei rapporti con Vittorio Sgarbi sono sempre stati altalenanti. L’ho conosciuto negli ormai lontani Anni Settanta, quando io mi trovavo in una immeritata posizione altolocata (uno dei pochi colpi di fortuna nella mia carriera), a essere addirittura Direttore dell’allora Istituto di storia dell’arte dell’Università di Bologna, poi diventato Dipartimento arti visive. Mi trovavo alla testa di una istituzione che trasudava attaccamento a Roberto Longhi da tutti i pori, mentre io provenivo da una storia del tutto diversa. Il giovane Sgarbi era già allora abbastanza conformista nei gusti, cioè in sostanza era, ed è rimasto, un longhiano, ma il suo spirito ribelle lo aveva già portato a rompere con tutti i longhiani di casa nostra. Io, scherzosamente, mi definivo come il capo di una legione straniera, assieme a pochi altri, come per esempio il teorico e pratico della fotografia Italo Zannier. Avevamo preso a benvolere quel giovanotto, inviso ai suoi, ma che mostrava di avere già le unghie ben affilate, e lo portavamo a pranzo con noi nei ristoranti della zona. Poi ho assistito, meravigliato, sorpreso, infine, diciamolo pure, anche invidioso, alla sua infinita scalata, di acrobata sempre pronto ad abbandonare un trampolo per afferrarne un altro posto più in alto. E dunque lui mi ha stra-battuto lungo la scala degli onori, ora io sono quasi un nulla mentre lui è salito ai più alti gradi di rinomanza.
Tuttavia la vecchia familiarità mi consente talvolta di prenderlo in contropelo, di incrociare un rapido scontro, subito rintuzzato da un ruggito da parte sua. Ma ora sono ben lieto di schierarmi con lui, ha perfettamente ragione che è l’ora di riaprire i musei, e aggiungerei le librerie, le biblioteche, e perfino le mesticherie, dato che ho ripreso a dipingere ma ora sono rimasto a secco di colori. Nel mio blog inveisco contro i nuovi monatti, che beninteso a differenza di quelli manzoniani non cercano vili vantaggi economici, ma li eguagliano nella sommessa speranza che questo clima eccezionale determinato dal contagio duri il più possibile, visto che per merito suo fanno il girotondo in tutti i media, divenuti delle superstar, al medesimo grado di Vittorio, pronti a snocciolare i loro dubbi ed esitazioni, accompagnati dal monotono predicozzo di fare piano, di non aprire, di aspettare, chissà forse a giugno, forse dopo l’estate… E dire che basterebbe poco per rendere sicure le visite alle mostre, dovrebbero esistere, o almeno così ci dicevano ai primi tempi della crisi, degli strumenti di pronto uso per valutare di colpo la misura della febbre, e ovviamente chi ha più di 37,5 vuol dire che è positivo, e dunque per lui o lei sarebbe vietato entrare. Ma per quanto riguarda gli altri, basta che i custodi, come fanno di solito, impediscano che ci si assembri attorno alle opere, che si tengano le distanze di sicurezza, e il gioco è fatto, tranne che per i nostri monatti, che trovano da ridire anche su misure così semplici e di buon senso. Se noi osassimo ribellarci, dove andrebbe a finire il loro altezzoso prestigio?
‒ Renato Barilli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati