Ricostruzione senza ricostruttori nella task force per la fase 2. Da dove ripartire?
L’ingegnere Raffaele Giannitelli riflette sulle strategie del governo in vista della tanto discussa fase 2 nella gestione dell’emergenza Coronavirus. A balzare all’occhio è l’assenza, nella task force che coadiuverà il governo, di artisti e architetti.
Ricostruzione è un termine che evoca due immagini forti: la prima, un po’ datata, rimanda alla ricostruzione post bellica, un’altra epoca, ma racconta di un processo virtuoso che ha portato il nostro Paese a grandi traguardi economici, sociali e culturali; la seconda immagine è uno schiaffo in pieno viso e, purtroppo, è molto più recente, la ricostruzione dopo gli ultimi terremoti dell’Aquila e di Amatrice. Quest’ultimo processo possiamo definirlo come un fallimento da manuale, avvenuto in un’epoca in cui metodologie, regole e prassi sono sostanzialmente quelle odierne.
Che fare, quindi, ripetere i recenti fallimenti o riflettere sullo spirito e sull’identità che ha spinto la prima delle ricostruzioni e tutti noi verso un futuro migliore?
All’indomani del terremoto di Amatrice, chi scrive suggeriva di fermarsi un attimo a ragionare prima di ripetere errori commessi nel precedente evento sismico. Il primo obiettivo della ricostruzione doveva essere recuperare la memoria dei luoghi devastati, per usare l’identità collettiva quale primo elemento per rendere il processo di ricostruzione un processo condiviso, in grado di generare luoghi nuovi (resistenti ad altri eventuali terremoti), ma con la stessa anima e identità di quelli distrutti. Ovviamente nulla di tutto ciò è avvenuto e l’urgenza, tanto sbandierata, ha lasciato a distanza di anni macerie fisiche e morali.
E oggi è ancora tempo di ricostruzione, a fronte di un dramma enorme che ha portato e sta portando una quantità di lutti indicibile, mettendo in luce criticità grandissime nelle nostre infrastrutture di servizio e nella nostra capacità di gestire un’emergenza, alla quale stanno in realtà fornendo argine solo le strutture sanitarie, con le tecnologie e risorse di cui dispongono, mentre la risposta sociale e politica è sostanzialmente la stessa data quattrocento anni fa alla peste a Milano (state a casa e aspettiamo che passi…).
LA TASK FORCE PER LA FASE 2
Durante la conferenza stampa del 10 aprile, Giuseppe Conte ha annunciato che per la gestione della fase 2 dell’emergenza Coronavirus il governo si avvarrà di una task force di esperti in materia economica e sociale, che opererà in coordinamento con il comitato tecnico-scientifico, composta da Elisabetta Camussi, docente di Psicologia sociale presso l’Università degli Studi di Milano “Bicocca”, Roberto Cingolani, responsabile Innovazione tecnologica di Leonardo, già Direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, Vittorio Colao, dirigente d’azienda che presiederà la task force, Riccardo Cristadoro, consigliere economico del Presidente del Consiglio ‒ Senior Director del Dipartimento economia e statistica, Banca d’Italia, Giuseppe Falco, Amministratore Delegato per il Sistema Italia-Grecia-Turchia e Senior Partner & Managing Director di The Boston Consulting Group, Franco Focareta, ricercatore di Diritto del lavoro presso l’Università di Bologna, Enrico Giovannini, docente di Statistica economica all’Università di Roma “Tor Vergata”, Giovanni Gorno Tempini, presidente di Cassa Depositi e Prestiti, Giampiero Griffo, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, Filomena Maggino, consigliera del Presidente del Consiglio per il benessere equo e sostenibile e la statistica ‒ docente di Statistica sociale all’Università di Roma “La Sapienza”, Mariana Mazzucato, consigliera economica del Presidente del Consiglio ‒ Director and Founder, Institute for Innovation and Public Purpose, University College London, Enrico Moretti, Professor of Economics alla University of California, Berkeley, Riccardo Ranalli, dottore commercialista e revisore contabile, Marino Regini, Professore emerito di Sociologia economica all’Università Statale di Milano, Raffaella Sadun, Professor of Business Administration, Harvard Business School, Stefano Simontacchi, avvocato, presidente Fondazione Buzzi, Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’AUSL di Modena ‒ Presidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica, Domenico Arcuri, Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19, Angelo Borrelli, Capo Dipartimento Protezione Civile. Un dream team di personalità di grande profilo, all’interno del quale è evidente una mancanza.
A margine dell’istituzione di questa task force è quindi opportuno ribadire ancora una volta la necessità di riconciliare obiettivi e identità del nostro Paese, prima di formulare un progetto che possa, per prima cosa, evitare una devastazione economica e sociale senza precedenti, ma poi rilanciare sviluppo ed economia reale “qui e ora”, con la necessaria considerazione appunto di storia e geografia.
Tanto per far pace con le parole, più che di ricostruzione parlerei di “rinascimento”, così il processo che si vuole innescare diventa proprio una cosa nostra, con un riferimento chiaro al momento più alto di sviluppo della nostra identità, appunto il Rinascimento, quando a ogni progetto, a ogni iniziativa economica, sociale, culturale non si mancava di associare una mente creativa (un artista), in grado di traguardare obbiettivi e qualità per un qualcosa che ancora non c’era, ma di cui si sentiva il bisogno. Anche oggi, a fianco alla necessità di risollevare attività ed economie già presenti, ma in grave difficoltà, appare indispensabile creare sistemi nuovi, sviluppare economie e processi innovativi che possano realizzare quel “boost” in grado di superare la crisi generando valore e valori oggi non immediatamente disponibili.
L’ASSENZA DI ARTISTI E ARCHITETTI
Questo dovrebbe fare il supergruppo governativo, ma scorrendo i nomi dei componenti, sicuramente di altissimo livello, si avverte subito un’assenza che, si fosse parlato esplicitamente di rinascimento, anziché di ricostruzione, sarebbe apparsa ancor più evidente: manca l’arte e manca chi progetta e armonizza lo sviluppo dei territori. Come se Federico da Montefeltro, nell’immaginare la sua Urbino, si fosse rivolto, anziché a Francesco di Giorgio, a Luciano Laurana o Piero della Francesca, a un banchiere veneziano, il quale sarà stato probabilmente coinvolto, ma per definire le linee di credito con cui realizzare il Palazzo Ducale.
Solo per fare un esempio più concreto, due dei motori sopiti, che potrebbero produrre sviluppo ed economia, potrebbero consistere nel far funzionare meglio le nostre città e ripopolare e valorizzare i numerosi borghi quasi abbandonati di cui la penisola italiana è piena. Queste cose non si fanno “per decreto”, non si impongono solo con una infrastruttura nuova, ma si sviluppano lavorando sull’identità e autenticità dei territori, sollecitando la partecipazione ai processi, ricercando armonie e orgogli annichiliti attraverso arte e architetture collettive e vissute come segno di vitalità e appunto orgoglio geografico. Questi processi, anzi la necessità di questi processi, è ben chiara a chi si occupa di arte pubblica o di architettura partecipata. La creazione di sistemi armonici condivisi e collettivi può generare sviluppi e sistemi solidali inaspettati, come è avvenuto in Italia nei secoli scorsi, realizzando luoghi e opere in cui tutti (in tutto il mondo) ci riconosciamo e che riteniamo valori inestimabili. Lo stesso metodo può e deve essere attivato nella produzione di innovazione industriale, attraverso la ricerca di funzioni, attività e oggetti impensabili senza un pensare laterale, un pensare antidisciplinare, creativo e realmente innovativo. La sfida per l’Italia non può essere certamente nel produrre a minor costo, ma non solo nell’efficientamento dei rapporti tra filiere produttive e mercati: bisogna essere in grado di immaginare e realizzare ciò che non c’è, ma che ci fa sentire epigoni di un passato che tutti vorrebbero avere o quantomeno condividere.
Per questo e per molto altro appare almeno strano che nel definire un quadro per la “ricostruzione”, tra i protagonisti non si pongano al centro della scena l’arte, gli artisti e gli architetti, quale stimolo e catalizzatore di idee per un futuro necessario, la cui alternativa è un tracollo drammatico e senza speranze.
All’interno di un gruppo, che giustamente vuole essere interdisciplinare, appare gravissima l’assenza di chi è abituato a generare innovazione, attraverso un pensiero e una prassi realmente creativa e innovativa, in grado di realizzare sintesi formale e funzionale da esigenze concrete, sentimenti condivisi e identità comuni. Sia che si tratti di immaginare nuovi prodotti, nuove organizzazioni per il lavoro, finanche nuove modalità di socializzazione e relazione a una giusta distanza (sul lavoro, nei ristoranti, nei luoghi dello spettacolo), l’arte è uno strumento indispensabile e pensare di farne a meno oggi è un errore imperdonabile, che impedirebbe di sviluppare nel migliore dei modi le potenzialità di questo Paese.
L’arte è il nostro cavallo sulla scacchiera della crisi pandemica, l’unico in grado di fare una mossa a sorpresa, scavalcando la crisi stessa e riapparendo là dove nessuno se l’aspetta, pronto a essere in prima fila verso un nuovo Rinascimento e fuggire da questo buio e soffocante presente.
‒ Raffaele Giannitelli
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