Riflessioni sulla crisi di M9, il museo del ‘900 di Mestre
Massimiliano Zane fa il punto della situazione che vede protagonista M9, il museo del ‘900 di Mestre, inaugurato nel 2018 e già a rischio tracollo finanziario. Fondazione di Venezia, ente che lo sostiene, sta ipotizzando la vendita della Casa dei Tre Oci, sede espositiva sull’isola della Giudecca, per salvarne le sorti. Ma siamo sicuri che sia una strategia vincente?
Riassumendo: da una parte ci sono un polo culturale e un museo, nuovo, ipertecnologico, l’M9 – museo del 900 di Mestre, inaugurato in pompa magna il 1° dicembre 2018 e realizzato con un investimento complessivo di 110 milioni di euro, che oggi si trova ormai sull’orlo del tracollo finanziario; dall’altra parte c’è la Casa dei Tre Oci, sede espositiva storica di Venezia, specializzata in fotografia, sede dell’archivio Zannier e del fondo De Maria. Nel mezzo ci sono una lunga sequela di errori di pianificazione per la gestione efficiente e sostenibile del polo culturale mestrino e una Fondazione di origine bancaria, la Fondazione di Venezia, portata quasi al collasso economico dall’intera operazione e che oggi, per salvare il salvabile, propone (s)vendite di fine stagione di parte del proprio patrimonio espositivo (i Tre Oci, appunto). Presupposti, questi, che, se non fossero drammatici, avrebbero i connotati grotteschi della soap-opera Sud Americana.
Venendo a oggi, in questi tempi già tormentati di pandemia e quarantena, i tanti nodi mai sciolti nell’intera operazione M9 sono arrivati tutti al pettine (e nel peggiore dei modi): dall’assenza cronica di una vera strategia a una scarsa attrattività e catalizzazione di pubblici, fino a buchi di bilancio dati sia dallo squilibrio tra costi e rientri che dai mancati introiti del retail di supporto dall’affitto di spazi e uffici hanno creato una situazione di grave affanno economico dell’intero polo; così grave che, stando alle ipotesi messe sul piatto dal pool di advisor chiamati a correre ai ripari dalla Fondazione di Venezia, ente di gestione unico del museo, rischia di portare all’alienazione dell’altra sede museale con sede storica alla Giudecca. Una opzione, questa, che, anche se per ora posta solo come ipotesi, è qualcosa di sconcertante.
M9: UN FALLIMENTO ANNUNCIATO
Eppure era (quasi) tutto prevedibile, addirittura previsto, almeno stando anche alle dichiarazioni ufficiali. Io stesso ne scrissi per Artribune già un anno fa, proprio a maggio 2019. Eppure, nonostante i molteplici segnali di allarme rosso su flussi e cassa, la rotta di gestione del polo non è mai stata messa realmente in discussione, portando quello che fu descritto come “il più importante progetto della Fondazione di Venezia per contribuire al rilancio e allo sviluppo della terraferma veneziana” alla situazione attuale: dimostrazione di come una gestione miope e unilaterale del patrimonio culturale possa condannare una grande risorsa alla marginalità.
In tutto questo, fanno nota a sé le curiose dichiarazioni del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro (che a suo tempo sponsorizzò e caldeggiò fermamente l’operazione M9, dicendo: “Con questo museo stiamo suggellando di fronte al mondo che Venezia è una grande città viva e moderna”), che oggi dichiara: “La Casa dei Tre Oci non si tocca! Non è svendendo il patrimonio che si sistemano i bilanci”, forse dimentico che nel 2015 fu lui stesso a proporre la simile (e sventurata) idea della (s)vendita di parti della cultura locale per fare cassa con la messa all’asta di alcune opere di Klimt e Chagall, parte della collezione del Museo Civico di Ca’ Pesaro. Operazione fortunatamente sfumata nel nulla per ovvie impossibilità giuridiche.
Tornando all’affaire M9-Tre Oci, il fulcro della questione non è il tentare o meno di salvare un museo dal fallimento, ma voler a tutti i costi salvare un “investimento oneroso” sacrificandone un altro ritenuto meno remunerativo, quindi marginale. Peccato che qui si parli di luoghi della cultura, e quella marginalità sia una rappresentanza identitaria e storica della cultura cittadina, già fortemente compromessa da anni di overtourism e mercificazione massiccia e indiscriminata.
LA CASA DEI TRE OCI ALLA GIUDECCA
La Casa dei Tre Oci è per l’isola della Giudecca un punto di riferimento culturale molto importante, tanto per i veneziani che per tutto il mondo: l’offerta culturale che propone è ricercata e differenziata dal resto di quella presente sul territorio, rendendola una realtà unica in città, che trova proprio in questa sua unicità un grande valore aggiunto. Allora, piuttosto che una svendita inutile e dannosa non sarebbe meglio ragionare su un sistema integrato tra realtà museali? Soprattutto in questo momento, in cui i consumi culturali saranno totalmente da reinterpretare per colpa del COVID19, ciò che serve è lavorare su una offerta culturale rinnovata e tutt’altro che compartimentata. Serve vedere Venezia come un unicum culturale coeso e come tale proposto e reso accessibile. Fare altrimenti significa semplicemente perdere un’occasione.
In ogni caso, oltre le polemiche e le opinioni sull’opportunità o meno di (s)vendere i propri “gioielli di famiglia”, l’intera faccenda riporta all’attenzione la volontà di recuperare risorse attraverso il nostro patrimonio, ma anche di come questa opportunità venga messa in atto, a volte, con troppa leggerezza e spesso senza il giusto equilibrio nelle valutazioni tra necessità, obiettivi e alternative. L’aumento della circolazione dei capitali mossi dalle strutture museali oggi deve passare da nuove dinamiche e strategie che mirino a rafforzare la credibilità nelle potenzialità delle strutture stesse, soprattutto sul piano internazionale, creando un circolo virtuoso di richiamo economico, non attraverso soluzioni miopi che antepongono il ritorno immediato a una progettazione di ampio respiro che garantisca rientri costanti nel tempo.
Oggi come non mai si necessita di una nuova visione attiva, e non più solo passiva, della messa a valore del nostro patrimonio culturale, pensata e non casuale, pianificata e non occasionale. Implementare gli “asset stabili” di reputazione creando una sempre più fitta rete di programmazione congiunta di esposizioni e prestiti con altre istituzioni internazionali; avviare campagne di valorizzazione e relazione di mission e intenti che coinvolgano direttamente più e diversi soggetti, anche privati; sviluppare offerte che indirizzino e rinnovino fasce di pubblici differenti, e non solo le gestiscano, evitando così la sclerotizzazione dei flussi turistici. Continuare altrimenti, e perseguire vecchie logiche, significa avere (solo) ricadute negative d’immagine e credibilità, sia dell’intero sistema museale italiano, che per la città di Venezia. Il rilancio di un sistema culturale come quello italiano allora deve iniziare proprio dal patrimonio minore (che minore non è) e dalla sua piena e solida messa a valore, quindi delineando un più accorto principio di economicità gestionale che guardi all’efficacia ed efficienza nella ripartizione delle risorse in modo più mirato, in grado inoltre di stimolare e stuzzicare la capacità di ognuno di noi di riconoscere il valore dell’immenso patrimonio d’arte in cui abbiamo la fortuna di vivere; un patrimonio culturale immenso che attende solo di poter tornare a esprimere a pieno le proprie potenzialità.
I PROBLEMI DI M9 E I RISCHI PER IL FUTURO
In questo senso M9 ha decisamente tralasciato moltissimo ogni aspetto relazionale, tanto nella narrazione quanto in una programmazione integrata a supporto, isolandosi, autoescludendosi dal contesto, puntando decisamente troppo sul mezzo (tecnologico) come fine e, purtroppo, per un luogo della cultura, la connessione con il contesto sociale in cui è inserito è fondamentale. Non curarsi di questo significa aver mal interpretato l’intero progetto fin dalla sua stessa origine. Perché quando non si attiva un processo collettivo, se manca un movimento che veda i musei quale tassello essenziale dell’ecosistema sociale ed economico in cui sono inseriti, i risultati (purtroppo) non possono che essere negativi, con tutte le conseguenze del caso.
A Venezia allora, oggi come non mai, serve una strategia che abbia nel proprio comparto culturale un asset fondamentale: serve una visione, un’idea e un progetto. Non rattoppi raffazzonati, o ancora formule sterili di (s)vendita, o, peggio, di spettacolarizzazione. Cose così non solo sono inutili, soprattutto senza alcuna strategia dietro, ma sono anche controproducenti in termini di sostenibilità (e non da meno di immagine). Quel che serve a Venezia, e non solo, è iniziare fin da subito a implementare una programmazione di produzioni culturali “native”, siano esse teatrali, cinematografiche, museali, di spettacolo o altro. Il terreno veneziano è culturalmente fertile e attrattivo per sua stessa natura. Pensiamo ai musei della rete civica, che grazie anche a un ottimo lavoro con le scuole, erano una realtà consolidata ma che necessita di essere rilanciata: le prospettive non sono incoraggianti, visto i cambiamenti con cui siamo oggi costretti a fare i conti e che faranno sentire i loro effetti per molto tempo al di là della crisi sanitaria. Un rallentamento che peserà anzitutto sulle realtà “minori”. O prendiamo ad esempio l’importantissima presenza del Teatro, del Toniolo a Mestre e del Goldoni a Venezia, luoghi della relazione ancor prima che della cultura, che possono divenire punti di riferimento, tanto più se in compresenza della Fenice, per quanto riguarda la lirico/sinfonica, per una nuova socialità post pandemica. O la Biennale, che dopo oltre cento anni ancora è luogo di cultura di altissimo livello, riconosciuto da tutto il mondo, attirando centinaia di migliaia di visitatori (e su cui proprio in questi giorni aleggia la presenza di Sgarbi, richiamata dallo stesso sindaco, ma non dal presidente Cicutto). O ancora, tornando al tema M9, con una revisione sostanziale del progetto: perché, ad esempio, non pensare un rilancio attraverso un “piano infanzia” in cui i musei (compreso M9) possano diventare centri aggregativi per i bambini per l’estate e non solo. Una cosa del genere risponderebbe a esigenze diverse su tre livelli: bisogni delle famiglie, bisogni dei genitori lavoratori, bisogni (da settembre) delle scuole. Senza contare il fatto di offrire una grande opportunità di sostegno a strutture altresì vuote. Insomma, la priorità di rilancio dell’anima culturale (e turistica “sana”) della città deve partire da qui, e non dal proporre ancora prospettive già viste in passato, decisamente poco auspicabili in generale e tanto meno perseguibili in questo momento. Serve agire in maniera oculata per rilanciare occupazione e investimenti, non effimere occasioni di intrattenimento fini a se stesse (o di chi le propone).
‒ Massimiliano Zane
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